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CulturaGuglionesi
Pubblicato in data 22/6/2016 ● Click 1802

Appunti di diario: Festività di S. Adamo Abate 2016 in Guglionesi e altre riflessioni…


Pietro Di Tomaso © FUORI PORTA WEB

(1) La festività di Sant’ Adamo Abate (svoltasi il 2/3 giugno 2016) è una ricorrenza molto sentita a Guglionesi (CB). I festeggiamenti di quest’anno, oltre alla presenza del Vescovo Mons. Gianfranco De Luca della Diocesi di Termoli-Larino, hanno beneficiato della visita del benedettino Donato Ogliari nuovo Abate di Montecassino. A tal riguardo, mi sia consentito ricordare la ricerca avviata dal canonico Angelo Maria Rocchia negli ultimi anni dell’Ottocento (cfr. ‘Presentazione’ di Cloridano Bellocchio del libro ‘Sant’Adamo di Guglionesi Abate nel monastero benedettino delle isole Tremiti’-Palladino Editore- autori: Gerardo Cioffari e Luigi Sorella), che <<vede in competizione Termoli, Petacciato e Guglionesi nel contendersi la gloria di aver dato i natali al Santo e la determinazione con cui i guglionesani operarono la traslazione delle reliquie, e la intricata vicenda ad essa legata, confermano l’attendibilità storica di questo giudizio. Il prestigio ed il carisma che Adamo ha saputo creare sono legati, evidentemente, alla complessa funzione che egli ha svolto in difesa dell’abbazia di Tremiti e dei suoi ingenti e crescenti possedimenti, in un contesto difficile e convulso, quale risultava essere il periodo a cavallo dei secoli X ed XI, tempo di passaggio del dominio longobardo e bizantino al sopravvento dei Normanni… >> . Nella stessa opera qui segnalata leggasì, altresì, “Il monaco Adamo, le Tremiti e Guglionesi tra i Normanni e Montecassino” (pag. 68, 69, 70, 71) a cura di Luigi Sorella. Il territorio di Guglionesi entra così nel raggio d’azione dei Normanni. “L’acquisto di Guglionesi dovette, per altro, costar caro a’ Normanni, giacché per averla in suo potere, Gaufredo (conte di Capitanata) fece un voto alla Madonna, in forza di cui egli eresse, o ricostruì un Tempio in questo Paese” (cfr. Angelo Maria Rocchia, Cronistoria di Guglionesi, op. cit.). (Nota 185): “Benché fosse rotta e dispersa la lapide commemorativa di questo voto, pure sembra certo che qui si tratti della Chiesa di S. Maria Maggiore, giacché nell’inventario dei beni appartenenti alla medesima, fatto nel 1727 per ordine del Vescovo Salvatore d’Aloisio, dal Notaro Carlo di Nicolantonio, assistito dai capitolari, e da altri Cittadini vecchi, si asserisce che la Chiesa di S. Maria Maggiore è stata edificata da’ Signori Principi Normanni, quali Signori fecero Seggio in questa predetta terra di Guglionesi, come si vede dall’edifizio di detta Venerabile Chiesa lavorata all’uso francese. (…) Sotto questi nuovi Signori il Paese acquistò grante incremento e potenza; di fatto, avuto in suo potere questo Castello, fu facile a Gaufredo estendere le sue conquiste. Nel 1060, dopo la partenza de’ fratelli Ruggiero e Roberto, egli occupò il Contado di Termoli e poi si impadronì di tutta la Provincia Chietina. Ed essendo allora Guglionesi di molta importanza la costituì a Metropoli di tutta la Regione sino a Chieti. Il Ciarlanti lo ripete. Il Biondo si esprime così: Normanni etiam duxerunt dignam apud quod (Castellum Guilliniacum) Aprutinorum gubernationis Sedem tenerent”. (Nota 186): “Al cospetto del papa Niccolò II la strategia dei Normanni mise l’abate Adamo – successore di Guisenolfo nel governo dell’abbazia di Tremiti – nelle condizioni di assoluta autorità politica, soprattutto durante il concilio di Melfi del 21 Agosto del 1059, quando dallo stesso Papa furono respinte le pretese patrimoniali sulle proprietà del monastero di Tremiti rivendicate dall’abate Desiderio del monastero di Montecassino” (pagina 72).

(2) Riflessioni sul libro di Nicolino Del Torto: ”Guglionesi tra spinte risorgimentali e brigantaggio postunitario”. L’autore, nell’introduzione, scrive che si riterrà soddisfatto se “dalla lettura dei documenti presentati, oltre che dalla breve ricostruzione storica dei fatti e degli avvenimenti, avrà contribuito ad aggiungere un tassello alla comprensione della realtà locale”. Mi permetto di ritenere che abbia fatto qualcosa di più, ovvero un ampio lavoro d’archivio. E’ evidente che per condurre un’indagine storica si debba visionare i documenti e che l’analisi sia effettuata sulla scorta di tutte le fonti dirette ed indirette che si possono avere a disposizione. Nel caso che ci occupa, i documenti esaminati da Nicolino Del Torto sono inediti e riguardano principalmente quelli dell’amministrazione comunale dell’epoca. <<A Guglionesi –sottolinea l’autore – non si formarono bande di briganti, per la presenza massiccia dei militari, né il paese fu teatro di veri e propri assalti, come invece avvenne in molti altri paesi della zona. Tuttavia furono presi duri provvedimenti per arginare il fenomeno del brigantaggio, come ad esempio la fucilazione di quattro detenuti accusati d’esser briganti senza alcun processo e senza indignazione generale (…). Molte persone considerate solo favorevoli ai Borboni furono fucilate, tra le quali diverse erano di Guglionesi>> (cfr. pag. 143 del libro). In generale, le cause che hanno dato vita al fenomeno del brigantaggio postunitario sono molteplici. Dai piemontesi fu abolito il concordato firmato nel 1818 tra la Santa Sede e il Regno delle Due Sicilie e furono emanati una serie di decreti che abolivano pressoché totalmente la proprietà ecclesiastica, che fino ad allora aveva costituito una vitale risorsa per i tanti che vivevano in situazioni di precarietà e di indigenza. Era scontato che questo avrebbe alimentato la rivolta, ma al governo sabaudo importava incamerare l’ingente patrimonio ecclesiastico per rimpinguare le sue esangui casse. Il carico fiscale si abbattè come una mannaia sulle popolazioni dell’ex regno napoletano. Lo scopo era ben preciso: tutelare la ricca borghesia liberale che aveva abbracciato la causa unitaria. Il nuovo governo disattese le aspettative sia dei repubblicani sia di alcuni ‘moderati’ che nonostante tutto avevano favorito l’unità, ma che auspicavano un nuovo ordinamento agrario. Molti braccianti meridionali avevano sperato che il nuovo regime assicurasse una riforma agraria, ma le loro aspettative andarono deluse. Ciò detto, va evidenziato che il brigantaggio postunitario, inteso come rivolta antisabauda e generalmente antiunitaria, interessò quasi esclusivamente i territori meridionali continentali ex-borbonici, mentre in pratica non si verificò nei territori di tutti gli altri stati preunitari italiani annessi al Regno di Sardegna per formare l’Italia unita durante il Risorgimento; tale diversità di avvenimenti e comportamenti indica la profonda differenza, già esistente nel 1861, tra il nord ed il centro da un lato, ed il sud della penisola dall’altro, divario che sarà in seguito meglio noto con la locuzione ‘questione meridionale’ (cfr. Wikipedia). A Nicolino Del Torto, appassionato cultore di storia locale, va il plauso per l’impegno profuso nella realizzazione dell’opera qui segnalata. Va altresì sottolineato l’ottima Prefazione di Sergio Sorella e l’ottima Post Prefazione di Antonio D’Ambrosio.

(3) Da ultimo alcuni appunti sul Maestro Riccardo Muti alle soglie dei 75 anni. Nella sala Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica in Roma (cfr. Repubblica, 19 giugno 2016) Muti ha dichiarato: “Insegnare musica fa bene al Paese”. In un dialogo con la giornalista Leonetta Bentivoglio, alle soglie dei 75 anni che compirà il prossimo 28 luglio, ha mostrato quanto ci tiene alla musica. Ha parlato di Verdi <<uno degli autori più traditi>>, ma soprattutto di noi, dell’Italia di come questo paese tradisca le sue radici e sia così disattento alla musica. <<L’ignoranza della musica è ignoranza delle proprie radici e senza radici la pianta muore. Non posso che dispiacermi per il disinteresse verso la musica che mostra questo nostro paese… Ma la musica è medicina dell’anima ed è fondamentale per la società, perché mostra che specificità diverse possono convergere sullo stesso punto. Nei Conservatori italiani si diplomano centinaia di ragazzi che poi non ce la fanno e vanno a fare altri mestieri. Lo vedo anch’io con la Cherubini l’orchestra che ho creato. In Corea ci sono 30 orchestre. E’ ora di cambiare e ritrovare la fierezza di essere italiani e non per stupido nazionalismo, ma per la nostra storia…>>. Bene ha fatto Roma a rendergli un omaggio caloroso.


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