Condividi l'articolo:
 


HOMEPAGE FUORI PORTA WEB

 

CulturaGuglionesi
Pubblicato in data 15/1/2016 ● Click 1842

Achille e Ulisse. Genio e talento.


Mario Vaccaro © FUORI PORTA WEB

Ci siamo da poco augurati un anno a venire migliore. Certo è che il mondo in cui viviamo non migliora da sé. Bene, non so quale opinione abbiate maturato al riguardo, ma il progresso dell'umanità è xlo+ opera di pochi, dei migliori tra noi a cui va il tributo degli altri, noi gente solitamente indaffarata nella soluzione dei problemi quotidiani ... di solito di carattere materiale. Sebbene composta da miliardi di tasselli, l'umanità è un puzzle da considerarsi alla stregua di un individuo e, come tale, dotata di una propria coscienza. Ciascuno di noi può incidere su questa, tenendo un comportamento che sia di esempio per gli altri ... però, ecco, diciamo così, solo i migliori tra noi riescono a veicolare il proprio esempio di contegno virtuoso all'intera collettività con particolare efficienza.
Orbene, quelli che "tirano la carretta" appartengono a due categorie la cui differenza sarebbe bene tenere a mente. Già, sebbene più avvezzi a catalogare il prossimo sulla base di ben altre classificazioni, tipo ricchi e poveri alias vincenti e sfigati, in quanto homo sapiens sapiens dovremmo invece considerare le superiori facoltà mentali quale utile criterio meritocratico.
Detto questo, ho scelto i due eroi greci quale esempio in quanto non potrei immaginare modelli migliori, dato che a riferire delle loro differenti doti è il più grande poeta dell'antichità e, inoltre, questi lo fa in occasione del medesimo evento. E poi non occorre esser colti, aver letto l'Iliade o l'Odissea per conoscerli, poiché percorsi alternativi hanno consentito ai due di fare breccia nell'immaginario collettivo.

Ora, senza fare ripassi di letteratura, un veloce schizzo delle due figure.
Tutti gli eroi greci sono presenti a Troia - Ulisse aveva provato, fingendosi pazzo, ad affrancarsi - ma fra loro è Achille l'eroe per antonomasia, colui che con la sola presenza in battaglia dà sicurezza ai propri compagni, certi con lui di poter vincere. È il prototipo di tutte le figure nobili, sacre e profane, che la letteratura seguente riproporrà nelle varie salse: il cavaliere bianco dei western, il principe azzurro delle favole, S. Sebastiano, l'eroe senza macchia e senza paura ... nei successivi 27 secoli di letteratura occidentale assisteremo ad una lunga sfilata di suoi epigoni. Bellezza, forza, purezza d'animo, ideali aristocratici, il possesso di uno stupendo linguaggio e una mirabile oratoria ... è pure un aedo, quindi ha una voce armoniosa: è egli simbolo della perfezione che nella realtà non esiste (e qualcuno inventerà la faccenda del tallone a cui Omero non fa riferimento alcuno). Netta la profezia: Troia avrebbe significato per lui la gloria perpetua, lo avrebbe consacrato, fra tutti, quale eroe più celebrato, ma al prezzo di una morte certa. Ed il mostrarsi impavido dinanzi alla morte, l'affrontarla nello splendore della giovinezza, eccola l'ultima pennellata, il tocco decisivo per consacrare l'archetipo definitivo dell'eroe tragico. La sua è una mente profonda, capace di superare la propria esperienza ed approdare ad una coscienza superiore: la sua capacità di comprendere e giudicare è simile a quella degli dei. Anche la sua ira non è comune a quella dei mortali, bensì è la menis, una passione divina: egli è l'unico mortale a cui il destino ha riservato il dover assumere decisioni tipiche di un dio.

A questa figura monolitica, un diamante puro, trasparente ma brillante, personaggio dai tratti decisi, immutabili, scolpiti nella roccia, si affianca un'altra con caratteristiche agli antipodi. Pur'egli grande, ma diversamente ... la profezia attribuiva la vittoria greca ad una necessaria presenza di Achille in battaglia, eppure nei fatti la si conseguì grazie alla trovata di Ulisse. Tanto l'Odissea è un'opera moderna, così il suo personaggio appartiene ad un mondo nuovo, è il prototipo di un moderno concetto di eroe. Egli non ha virtù divine, non è un semidio, ha doti umane che mostra di possedere in misura talentuosa. Non è dominato da impulsi irrazionali come l'altro, bensì decodifica la realtà a misura della propria ragione. Il suo talento è la metis, traducibile con astuzia, il camaleontico ingegno che a tratti fa apparire taluni suoi comportamenti come meno nobili rispetto a quelli dell'aristocratico Achille. In realtà egli sa come imbastire un inganno, senza tuttavia ricorrere alla simulazione infida: non usa la menzogna ... omette di dire, dissimula. Non biondo e bello come Achille ma scuro, basso e tozzo ... eppure si distingue nella ressa e seduce donne d'alto rango. Un problema genera nel primo una reazione passionale, uno scatto d'ira che innesca quel sacro furore che l'ostacolo andrà ad annientare, in Ulisse è invece l'intelligenza multiforme a congegnare l'ideale percorso che lo condurrà alla relativa soluzione. Achille è pura luce, Ulisse i molteplici colori dello spettro visibile. Per ottenere la misura della grandezza di entrambi vi è, nella cultura greca, un metro infallibile: la Nemesi. È la dea che personifica la giustizia storica, riparatrice. Si sostanzia in un avvenimento o serie di avvenimenti negativi che si ritiene seguano ineluttabilmente, quale fatale compensazione, un periodo di particolare prosperità esistenziale: tanto tragica la fine quanto epico il vissuto ... e con entrambi, non v'è dubbio, il Fato si è accanito con assoluta pervicacia.
Detto questo, andiamo sul pratico: chi dei due vorreste come spalla ideale per affrontare le asperità della vita - e magari, così coadiuvati, "per aspera ad astra"? In realtà è una domanda retorica, essendo noti i gusti della massa riguardo i capipopolo. Già, come narrato nell'Iliade, tutti vorrebbero essere al seguito di Achille. Ma se la massa seguisse, anziché la consueta onda della passione, un approccio puramente razionale, non credete sia per essa più consono ergere a simbolo della specie chi ha sacrificato la vita non per la gloria personale ma sull'altare della conoscenza?

Sono i versi di Dante a consacrare Ulisse: mettendogli in bocca le celebri parole dell'orazion picciola fa di lui il totem dell'uomo moderno. Seguire il percorso della conoscenza e coltivare i propri talenti, ecco ciò che consente all'uomo di ergersi al di sopra della condizione bestiale.
E perché nella vita sociale, in politica, insistiamo invece nel voler fare affidamento sugli Achille? Alludo all'uomo forte, carismatico, che con un "tranquilli, sono un unto di Dio e ci penso io!" ipnotizza chiunque entri nel suo orizzonte d'intenti. Certo, a noi risulta comodo affidare il nostro destino a sedicenti Achille che, credendo di possederne il genio, alimentano il culto della personalità ... siamo usi firmare cambiali in bianco a favore dei Mussolini, Berlusconi, Renzi, mentre i Rodotá, i Cacciari, che illustrano le soluzioni a cui giungere con partecipata ragionevolezza, con una dialettica seducente (ma occorre essere disponibili ad essa) restano nell'ombra di chi ci offe un elenco di "farò questo, questo e quest'altro" ... già, la politica del fare, che relega il dire a mera quisquiglia. Eppure dai secondi ci viene chiesto un ruolo partecipativo, nell'altro caso meramente adesivo. Per adoperare una metafora spicciola, con gli uni è questione di solo sesso, degli altri occorre innamorarsi ... impegnativo, decisamente. Dunque il problema è che seppure fossero degli Achille - ma quando mai! - ciò comunque non li aiuterebbe a passare alla storia come grandi statisti. Pensiamo agli autentici geni che la storia ci ha consegnato in campo militare, Alessandro Magno e Napoleone: le loro strabilianti imprese hanno avuto effetti in campo politico del tutto trascurabili. Troppo avanti nei tempi! Il primo tentò addirittura di mettere in pratica l'inclusione, concetto tuttora astruso.

Proprio un genio, Carmelo Bene, soleva citare un'aforisma del filosofo Deleuze, all'apparenza criptico: "il talento fa quello che vuole, il genio fa quello che può". Genio viene dal latino e allude alla capacità di generare, creare ... facoltà divina dunque. Questa diretta provenienza dal trascendentale rende tale concetto difficilmente assimilabile. Non è collegabile ad espressioni delle facoltà umane, il genio non intrattiene relazioni con l'intelletto, non dipende da questo. È un mistero che va ben oltre il mistero stesso dell'intelletto, che pure intreccia relazioni col divino mediante l'intuizione e l'ispirazione. È questo l'ambito in cui si muove invece il talento, manifestazione diretta dell'intelletto, dunque tutta umana. La persona di talento è un virtuoso di alcune facoltà intellettive, mostra una predisposizione all'uso di questo meraviglioso strumento, dote che tuttavia egli deve coltivare mediante l'esercizio: il talento é un'antica unità di misura della massa, indica un peso, quindi una responsabilità. Raggiunto un elevato grado di perizia, la persona di talento riesce ad ottenere tutto ciò che vuole grazie alla tecnica acquisita. Del genio non si può al contrario avere padronanza, è una facoltà divina che quando si manifesta, come la menis di Achille, prevale su tutto, se ne è soggiogati. Il genio crea ma non sa di farlo, è qualcun altro ... la divinità ad agire direttamente, lui - appunto - fa unicamente quel che può. "Del genio ho ereditato l'assoluta mancanza di talento" ... altro aforisma che Bene amava citare per ribadire l'estraneità tra i due concetti. Omero stesso fornisce chiari indizi su cosa sia il talento nell'incipit dell"Iliade: "Cantami, o Diva ..." e dell'Odissea: "Musa, quell'uom di multiforme ingegno dimmi ...". Capito? Il più grande poeta del mondo classico si considera un artigiano o poco più: egli non crea il capolavoro, ma porge l'orecchio alla Musa ispiratrice e, col sapiente uso delle parole, il suo talento, riesce a cucire un bellissimo vestito a quanto suggeritogli da un Altrove. Il genio invece non produce capolavori, è lui il capolavoro ... non ammiriamo Achille, come invece avviene per Ulisse, per quel che fa, ma per ciò che è. Di tanto in tanto all'uno la divinità sussurra, fornisce indizi, nell'altro si manifesta in tutta la sua potenza. Insomma, la differenza tra queste due genìe di savi non è meramente quantitativa ma qualitativa.

A questi rari uomini, di entrambe le categorie, va tributato un ringraziamento per il solo fatto di esistere. I geni, rarissimi e riconoscibili solo da chi ha talento, scoprono nuove strade al di là della linea dell'orizzonte, che conducono in luoghi della cui esistenza non nutrivamo alcun sospetto. Gli uomini di talento sono invece i nostri pastori, quelli che le giuste vie da percorrere, a noi più prossime, sanno riconoscere ed indicare. Come la fulgida luce di una stella, il genio non può essere contemplato da vicino, dai suoi contemporanei, egli dialoga con le generazioni a venire.
Quando il popolo crede di intravedere della genialità in un simile, proprio qualificandolo tale lo dequalifica. Il genio autentico è per antonomasia incompreso. Sono tutt'al più i talenti a poter riconoscere la genialità in un loro "collega" ... Dylan, Bowie, Lou Reed ci hanno suggerito Zappa quale genio musicale: il genio ispira i talenti che a loro volta sono fonte di ispirazione per noi comuni mortali. Ecco, è questo a mio parere l'ordine esatto delle cose, questo il canale in cui dover indirizzare quel flusso positivo che può condurci a migliori auspici per il futuro. Buon 2016.


HOME NEWS


www.guglionesi.com
fpw@guglionesi.com



FUORI PORTA WEB
È un'iniziativa culturale di ARS idea studio.


ARS IDEA STUDIO
C.so Conte di Torino 15 | 86034 Guglionesi (CB)
Tel. +39 0875 681040 | P. IVA 01423060704
Tutti i diritti riservati Fuoriportaweb by ARSideastudio.com