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EventiTermoli
Pubblicato in data 17/12/2015 ● Click 1214

Apertura della Porta Santa nella Diocesi, il vescovo: il giubileo "evento di Grazia"


Diocesi Termoli-Larino © FUORI PORTA WEB

L’evento di Grazia dell’apertura della Porta Santa a Termoli è iniziato nella Chiesa di San Timoteo da dove è partita la processione che ha guidato tutti i fedeli verso la Cattedrale, accompagnati dal canto delle Litanie dei Santi.

Tutte le comunità della Diocesi erano presenti e hanno seguito con partecipazione intensa tutti i riti, che sono culminati nella Celebrazione Eucaristica, esprimendo, come ha sottolineato il Vescovo nell’omelia, il desiderio e la determinazione della nostra Chiesa di aprire il proprio cuore, la propria vita, la propria azione al Dono di Dio: Gesù Crocifisso, volto della misericordia del Padre.

Di seguito, riportiamo integralmente l’omelia di Mons. Gianfranco De Luca.

La liturgia della Parola di questa terza domenica di Avvento, illumina e dà senso profondo a quanto stiamo vivendo: l'inizio dell'Anno Santo della Misericordia.
Il gesto dell'Apertura della Porta della nostra Cattedrale e l' attraversamento che ognuno di noi ha fatto, esprimono il desiderio e la determinazione della nostra Chiesa di aprire il proprio cuore, la propria vita, la propria azione al Dono di Dio: Gesù Crocifisso, volto della misericordia del Padre. E così entrare nella gioia dell'infinito amore di Dio e diventarne testimoni e presenza tra gli uomini e le donne del nostro territorio.

Ad introdurci nel mistero della misericordia fonte di gioia e di vita nuova, sono due banditori straordinari, annunciatori e testimoni appassionati del nuovo che sta per accadere in modo sorprendente e inatteso, e del "più forte" che si rende presente e opera nella storia oltre ogni immaginazione e attesa.

Sofonia: Profeta che annuncia la distruzione e la fine, causate dal male che dilaga e conduce alla morte e alla condanna irrevocabile, ci sorprende, perché, all'improvviso, senza alcuna ragione evidente, cambia linguaggio. Le parole della gioia prendono il posto di quelle della condanna, il linguaggio dell'amore il posto di quello dell'ira.

Si tratta di promesse che riguardano tanto le nazioni quanto il popolo di JHWH: "allora io darò ai popoli un labbro puro, perché invochino tutti il nome del Signore e lo servono tutti sotto lo stesso giogo. "
Al centro di questo annuncio compare il nome del Signore, JHWH, luogo sicuro su cui costruire l'identità di un popolo di salvati, nel quale anche le nazioni straniere sono chiamate ad entrare invocando lo stesso nome.
Nel rivelare il proprio Nome, Dio stesso offre la sua carta d'identità, lo accompagna con tre coppie di attributi: tenero e misericordioso, longanime e pietoso, lento all'ira e ricco di amore e fedeltà. (Es. 36,40).
Il punto culminante di questa fisionomia di Dio è nell'evidente travalicamento della giustizia operata dal perdono amoroso: secondo la mistica delle cifre si dichiara infatti che Dio "castiga la colpa dei padri nei figli e nei figli dei figli fino alla terza e alla quarta generazione", ma "conserva il suo amore perdona la colpa, la trasgressione del peccato fino alla millesima generazione" (34,7). Il tre e il quattro evocano il sette della pienezza della giustizia, il 1000 rimanda all'infinito divino ed è questa sconfinata misura del perdono che eccede la logica del diritto. Tutto il cammino del popolo di Israele è segnato da questo profilo morale di Dio. Il vero fedele ha davanti a sé un Dio che non ignora, certo, la giustizia ma la invera, secondo un canone ulteriore, superiore, quello del perdono che è frutto di amore. E l'amore, di sua natura non calcola, ma va oltre e per ricorrere ad una metafora del perdono divino, getta alle spalle le colpe.
È questa fede che fa gridare al profeta Sofonia: "rallegrati, figlia di Sion, grida di gioia, Israele, esulta e acclama con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme, il Signore ha revocato la tua condanna, ha disperso il tuo nemico."
L'irruzione graziosa di Dio, libera dalla rassegnazione, dallo scoraggiamento, dal fatalismo: "non temere, non lasciarti cadere le braccia! Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un Salvatore potente".
Il Nuovo e il Meglio sono sempre possibili grazie alla fedeltà e alla misericordia di Dio.
Giovanni Battista: annuncia il compimento di quella promessa che già apriva alla gioia, e lo indica presente ed operante in Gesú, che viene dopo di Lui ed è " più forte di Lui". Luca definisce la predicazione di Giovanni Battista come consolazione, evangelizzazione, annuncio della buona notizia. Lo colloca, in questo modo, sulla stessa linea degli angeli e dei successivi discepoli che annunceranno il Salvatore ai Giudei e ai Gentili. Così raccontando di Giovanni e del suo battesimo con acqua, allude al battesimo nel nome di Gesù, che è sì, immersione nell'acqua, ma per una rinascita a vita nuova che è puro dono dello Spirito, dinamismo messo in moto dalla potenza dello Spirito.
"Viene Colui che è più forte di me" dice Giovanni di Gesù. In questo modo apre la mente e il cuore dei suoi ascoltatori e il nostro, a quel Dio "semper maior" di cui parla Sant'Ignazio di Lojola; un Dio che non può essere rinchiuso in schemi e definizioni, relegato in luoghi, né essere possesso di alcuni, quel Dio che spiazza lo stesso Giovanni, quando manifesta il suo essere più forte nella debolezza del Crocifisso.
Celebrare il Giubileo è cercare di capire cosa significa che il Crocifisso ci salva.
All'uomo religioso, il crocifisso pare immondo, sconveniente, blasfemo. Un Dio che non salva se stesso e si perde per gli altri, è radicalmente diverso da quello che i religiosi immaginano e gli atei negano, e svela l'inganno di fondo nel nostro modo di pensare Dio.
Così come l'uomo di potere e l'uomo d'affari considerano la Croce come ridicola e debole. Un Dio che si perde per gli altri, risulta terribilmente scomodo ed inquietante.
Un Dio che muore con noi, ci interroga sul senso che diamo alla nostra vita: essa non è qualcosa da possedere, ma un dono, e i nostri limiti sono la possibilità di essere noi stessi in comunione con gli altri e con Dio.
Il Crocifisso ci presenta un Dio ferito, debole, vulnerabile per tutto il nostro male, che ci guarisce dalle cattive fantasie di un dio potente e antagonista dell'uomo che le religioni e gli ateismi in vari modi suppongono.
Il Crocifisso, mostrandoci un re, tanto libero da saper dare tutto, anche se stesso, ci guarisce dai deliri di possedere e di distruggere tutto.
Il Crocifisso ci dice che la morte non è la fine della vita, ma la comunione piena con il Padre. Solo così la vita è vivibile, bella, come dichiarato da Dio fin dalla creazione.
La croce non è soltanto un evento di 2000 anni fa. Rimane il segno costante con cui Dio si presenta all'uomo per offrigli la salvezza: é il segno del figlio dell'uomo che alla fine tutti vedranno, perché è il loro fine.
Anche adesso l'affamato e l'assetato, l'immigrato, il nudo, il malato, il carcerato, il depresso, il disorientato, l'incerto, sono sempre Lui, il Crocifisso, che sarà con noi sino alla fine del mondo, per darci il regno preparato per noi dal padre suo fino dalla fondazione del mondo.
La contemplazione della croce ci salva dall'inganno che è all'origine dei nostri mali: noi confondiamo il male con il soffrire, che ne è semplice conseguenza.
Male non è soffrire, e neppure morire, essere affamati o uccisi. Male é voler possedere la vita propria e altrui. Questo produce sofferenza e morte, fame e uccisioni. Fino a quando consideriamo male subire e non il fare ingiustizia, continueremo a moltiplicare il capitale, già alto, di violenza che abbiamo ereditato.
Solo se ci conosciamo e accettiamo come figli che tutto ricevono in dono, è vinta la radice della violenza e possiamo vivere da fratelli.
Cosa dobbiamo fare? Chiedono alcune categorie di persone a Giovanni Battista che annuncia il perdono dei peccati e oggi chiediamo noi nel contemplare il Volto della Misericordia del Padre.
Dalle risposte di Giovanni possiamo dedurre alcune piste per entrare nella Misericordia offerta e diventare operatori di misericordia, misericordiosi come il Padre.
Innanzitutto occorre che ognuno di noi ritrovi la propria casa. Siamo in viaggio, perché la nostra casa non è dove ci troviamo col nostro corpo, bensì dove ci precede il nostro desiderio. Il pellegrinaggio è la metafora del “cammino dell’uomo”, in cerca di se stesso, del suo dove. Quando Adamo peccò e si nascose, Dio gli disse: “Dove sei?”, perché non era più al suo posto. Il posto dell’uomo è Dio, dove è figlio nel Figlio. Il cammino fatto per arrivare alla Porta della Cattedrale è simbolo del pellegrinaggio della vita che ci riconduce al “principio” per sostare ai piedi del Crocifisso e diventare ciò che siamo.
Occorre inoltre uscire dalla logica della giustizia distributiva umana che avviene a spartizione già operata secondo il principio “a ciascuno il suo”. Questa in realtà consacra l’ingiustizia. E’ necessario, invece, entrare nella logica della condivisione: quello che io ho e il mio fratello non ha, non è mio, ma va condiviso. Gesù è il Figlio che si fa fratello di tutti, perché tutti siamo figli con Lui e fratelli tra noi.
Se siamo suoi seguaci, se lo abbiamo accolto nella nostra vita, sappiamo bene che la nostra vita non è garantita dal possesso, bensì dalla condivisione dei beni.
Riattivare il circuito del dono, della gratuità, interrotti dalla logica del possesso e del proprio tornaconto. Se crediamo e accogliamo davvero Gesù come il Signore che ci ha salvato con la sua croce e ha manifestato la sua gloria e il suo potere nella povertà, nell’umiltà e nella mitezza, non possiamo essere funzionali ad una società che fa del profitto il suo idolo e tutto sacrifica ad esso. Si apre un campo immenso alla fantasia, all’intelligenza e all’inventiva di tutti, per cercare e trovare, sperimentare e attuare modelli di vita solidale che mettano al centro della programmazione chi è escluso. Il povero, il piccolo, i giovani, il vecchio e l’immigrato sono il Signore che viene per il suo giudizio che è lo stesso che noi usiamo nei loro confronti.
Interpretare la propria vita come servizio: sono nella misura in cui sono per l’altro. Papa Francesco, nella Bolla di indizione dell’anno Santo sottolinea come la misericordia, che è parola chiave per indicare l’agire di Dio verso di noi, non consiste nell’affermazione di principi, ma è un’azione che rende visibile e tangibile l’amore; “per sua natura è vita concreta: intenzioni, atteggiamenti, comportamenti che si verificano nell’agire quotidiano. Lui si sente responsabile, cioè desidera il nostro bene e vuole farci felici, colmi di gioia e sereni.” E’ su questa lunghezza d’onda e sulla stessa misura che deve muoversi il nostro agire: “come ama il Padre, così amano i figli. Com’è misericordioso Lui così siamo chiamati ad essere misericordiosi noi, gli uni verso gli altri.” (cf n 9).
Come Corpo di Cristo che vive in questo territorio, la nostra Chiesa di Termoli-Larino, generata dal Costato di Cristo, avverte il dovere di farsi segno e strumento della Misericordia che la fonda e la sostiene. Per questo tra le opere segno che, con la grazia di Dio, intende realizzare nel corso di questo anno e lasciare a memoria di quanto viviamo, ritiene importante e più significativa quella dell’accoglienza dei migranti e dei profughi.
Si, vogliamo scommettere sull’accoglienza e sarà Giubileo, per noi e per gli altri. Per questo tutte le collette degli eventi giubilari e quelle dell’Avvento di carità e della Quaresima di fraternità verranno devolute per integrare l’impegno gratuito delle singole comunità parrocchiali.


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