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Solitudini d'autoreGuglionesi
Pubblicato in data 6/11/2015 ● Click 1218

Faccia a faccia…


Redazione FPW © FUORI PORTA WEB

"Faccia a faccia con l’arte tra identità e globalizzazione" di Mario Botta

"Nella seconda metà del XX secolo i musei conoscono una fortuna inusitata. Se ne costruiscono ovunque, in numero maggiore di quanto fosse mai avvenuto in passato. Sono ricercati nelle forme e risaltano nel tessuto urbano, proprio come avveniva con le cattedrali medievali. Perché? Il museo è il luogo in cui si curano e si conservano le tante testimonianze di carattere culturale, artistico, artigianale, scientifico, industriale. È, in un certo senso, l’esatto opposto dell’azione bellica. Laddove questa distrugge, quello ripara, laddove questa porta all’oblio, quello mantiene nel tempo, laddove questa minaccia, quello protegge e valorizza.

La prima metà del XX secolo è stata caratterizzata dalle guerre: il proliferare dei musei nella seconda metà del secolo si presenta, quindi, come una parte rilevante dell’impegno al riscatto civile e morale. Perché la memoria è la prima pietra su cui si fonda la cultura, e nei musei si comunicano e diffondono i valori umani. La comunicazione, libera come è libera l’arte contemporanea, è parte della natura e dell’autentica missione dei musei.

Per quel che mi riguarda, ho avuto la fortuna di progettarne una dozzina, in diverse parti del mondo, e nell’affrontarne le problematiche ho potuto osservare anche alcuni aspetti critici. Ne segnalo due. Se i valori culturali e identitari fossero robusti e ben presenti nel tessuto sociale, forse l’ansia di ritrovarli in una esposizione permanente sarebbe sentita con minore urgenza. Se il processo che chiamiamo globalizzazione mette in luce il rischio di un appiattirsi delle identità, di queste i musei divengono baluardo poiché essi un tempo rappresentavano l’apologia dell’umanità universale, mentre oggi sono spesso espressione della società locale.

Eppure la tendenza globalizzante influisce anche sulla concezione stessa del museo. Capita così che in alcuni di questi si noti quello che si potrebbe definire “effetto Luna park”: la cultura diventa oggetto di consumo, come qualsiasi altro bene commerciabile. Insomma, vi sono limiti, problemi, carenze. Ma nel confronto tra questi e i pregi, la bilancia pende decisamente in quest’ultimo verso. Il museo è una delle poche istituzioni che permette il contatto diretto tra la persona e l’oggetto, senza mediazione, senza schemi interpretativi preconcetti. Nel museo posso vedere quel che ha compiuto Picasso, a tu per tu, e formarmi il mio giudizio personale, senza guardare attraverso gli occhi della critica. Non c’è rappresentazione di qualcos’altro, non è un film, non una fotografia; non c’è interpretazione, non c’è virtualità, ma solo la realtà. Così, pur essendo un’istituzione laica, il museo consente una particolare forma di trascendenza: è la via di fuga dall’onnipresente simulazione. In questo è la cattedrale dell’epoca contemporanea, senza voler con ciò implicare una contrapposizione con la religione.

Nella Fondation Martin Bodmer a Ginevra, che progettai alcuni anni fa, è conservata la più antica copia esistente del Vangelo di Matteo. Trovarsi faccia a faccia con opere come questa significa entrare in una dimensione nuova, lasciarsi avvolgere dalla contemporaneità della storia, in un dialogo che rende il singolo essere umano alla propria umanità. Tutta intera.
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