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CulturaGuglionesi
Pubblicato in data 13/5/2008 ● Click 2721

Dire, fare e scrivere "per un amico, solo per un amico"


Antonio Gizzi © FUORI PORTA WEB

"Preg.mo sig. Direttore di Fuoriportaweb, sig. Luigi Sorella,
permettimi di iniziare con un tono il più possibile formale ma scherzoso.
Per onestà intellettuale e per un innato senso di giustizia di cui credo, e spero, di essere fornito, a parziale risarcimento per l’articolo pubblicato da Voi nella rubrica In Primo Piano, sezione Arte di FW, essendo lo stesso in oggetto scritto non già da me, oppure non già solo da me, ma trattandosi di articolo scritto a quattro o sei mani (comprese le tue …, caro direttore !!!), per non appropriarmi di meriti non completamente miei, ti invio, dicevo, a parziale risarcimento intellettuale ai veri Coautori del succitato articolo e per loro soddisfazione, quanto segue:

PER UN AMICO, SOLO PER UN AMICO !!!


Chiedo scusa per il tono ironico ma spero che il motivo di ciò potrà essere chiaro leggendo qui di seguito. Perché soddisfatti l’ufficialità e il formalismo, voglio fare partecipe in maniera un poco seria e un poco spiritosa te e tutti i tuoi lettori, direttore caro, amico mio, delle vicende che proiettarono il nostro amico comune, Felice Paolone, all’estero. O per meglio dire: che portarono un’opera del nostro amico scultore all’ estero.
E che estero !!!
Io posso ben farlo per essere stato anch’io protagonista avendo avuto un ruolo, anche se in verità alquanto marginale, nella vicenda.
Eravamo nel 1995, anno più anno meno, in un bel pomeriggio di settembre.
Sai, quei pomeriggi in cui l’aria è al tempo stesso tersa e pallida. Quando il fresco incomincia ad incalzare e ti consiglia di aggiungere il maglioncino all’abbigliamento estivo per quella sana passeggiata in quel nostro salotto chiamato Castellara!! Eravamo a settembre, dunque, e il Nostro non era ancora impegnato con la scuola. Anzi non lo era in quel momento: ne aspettava l’apertura e con essa il conteggio delle cattedre e la revisione delle ore rimaste scoperte. Solo allora i provveditori (una volta c’erano anche questi) e poi i presidi potevano provvedere alla seconda, alla terza e forse alla quarta chiamata dei cosiddetti supplenti. Che non è una categoria dantesca di dannati dell’inferno sprofondati in chissà quale bolgia nelle viscere della terra per pagare chissà quale grosso peccato!!. Magari quegli insegnanti si sentivano veramente così. Ma in realtà non lo erano. Peccatori, intendo. Erano invece persone, fra cui molti dei nostri amici e parenti, normalissime che avendo scelto liberamente di dedicare la loro vita all’educazione dei giovani (e questo non mi sembra un grosso peccato), in attesa del Ruolo che significava il POSTO FISSO E SICURO, stavano per così dire in lista d’attesa. Come in ospedale: stavano in lista di attesa. Solo che in ospedale ci si sta per essere curati. A scuola ci si sta o ci si stava, per essere sbranati dai colleghi più anziani, dai presidi e dagli studenti. Bah!!! Contenti loro !!!
Insomma in uno di quei pomeriggi, Felice durante la rituale passeggiata e la doverosa disamina dei problemi cosmici di quella giornata con relativa proposta di soluzione, fra un “attento alla buca per strada” e un “i vigili dovrebbero vigilare di più”, tira fuori dalla tasca del giubbotto una lettera che aveva un’ aria piuttosto insolita. Per niente stropicciata, in linea con la sua precisione quasi maniacale, già la busta si annunciava importante. Un grosso stemma campeggiava sulla parte anteriore vicino allo spigolo sinistro. Lo stesso stemma ma in proporzioni più ridotte, era sul retro della busta in prossimità della chiusura. La forma era insolitamente rettangolare abnormemente allungata, la carta più spessa. Già il colore beige - giallino chiarissimo risvegliava curiosità e imponeva rispetto.
Il Paolone aveva aperto la lettera e se ne intuiva il modo: si apprezzava e si riusciva ad immaginare il riguardo nell’uso di un tagliente (coltello?) senza denti usato per disgiungere le due metà piegate nella parte superiore del piccolo e proporzionato plico.
Il taglio era perfetto: non una sbavatura. Non una imperfezione, sia pur minima, nell’incisione.
Il più bravo chirurgo al mondo non avrebbe potuto fare meglio.
Con movimento lento ma preciso della mano destra, tenendo la busta con la mano sinistra, sfilò con precisione da questa il foglio contenuto in essa porgendomelo dopo averlo esposto alla mia vista. Che, se non avessi paura di essere blasfemo, paragonerei il gesto a quello compiuto dal prete sull’altare quando offre all’assemblea la particola che sta diventando carne.
Il foglio di consistenza leggermente minore di quella della busta ripeteva su un angolo, questa volta a destra in alto, lo stesso stemma ma stavolta di colore seppia. Come sai bene il colore seppia è insuperabile negli scritti importanti!! Era un foglio scritto in stile e forma elegantissimi a prescindere dal contenuto. Chi aveva la sorte di tenerlo in mano, manipolarlo, toccarlo, possederlo, provava un piacere intimo, infinito, sicuro. Una vera soddisfazione, insomma!!
“Riesci a capire cosa c’è scritto?” mi disse a quel punto Felice Paolone.
“a capirne il contenuto?” continuava. I miei occhi si posarono allora con più attenzione sul foglio: era scritto in inglese. Ah, l’inglese !! l’Inglese. Quante volte abbiamo chiesto alla scuola di insegnarci l’inglese !! Ma niente. Niente. Noi eravamo condannati al francese. Non che sia brutto il francese. Anzi !!! ma l’inglese è la lingua internazionale. E’ il latino dei nostri giorni. Se vai all’aeroporto di Shanghai là gli annunci dopo una voce cantata, sono in inglese. Se compri un giocattolo a tuo figlio le istruzioni sono scritte in inglese, persino nei bagni pubblici le scritte sono in inglese. E se vai all’estero, oltre alla lingua madre della nazione ospite, parli inglese, fosse anche l’Uzbekistan. Insomma il mio scarso inglese studiato con mezzi propri all’università non mi bastava per comprendere bene il contenuto della missiva di Felice. Si parlava di un certo mr. Johnson (lo chiameremo così per rispettare la riservatezza), di cabinet, King , sell, $, Switzerland, coin. Ma del significato preciso, del detto esatto neanche l’ombra. Come fare? “Ma si: mia sorella è insegnante e per di più insegnante di inglese. Lei potrà, dovrà darci una mano”
Si va allora. Come si sa le distanze nel nostro paese non assomigliano neanche lontanamente a quelle di una città: dalla villa di Castellana alla casa di mia sorella se si va piano si impiegano due minuti a piedi. Noi, io e Felice, dopo un minuto avevamo già raggiunto la casa, suonato il campanello, consegnata la lettera a mia sorella che dopo cinque secondi di lettura aveva già gli occhi sgranati dalla meraviglia.
“Ma qui si parla di medaglie, Svizzera, Re Gustavo, Stoccolma, museo, Svezia, comprare” si affrettò a dire lei. Dimenticavo di dire che, non conoscendo Felice come un artista importante (anch’io d’altra parte lo consideravo piuttosto un hobbysta che non un vero scultore) mia sorella, Aurora, non capiva bene il senso di quello che stava leggendo. Per farla breve quando tornammo da lei dopo un’ora a riprenderci quella sorta di compitino assegnatole, ci consegnò con lo stesso riguardo con cui si consegna un premio Award della scienza, la lettera con relativa traduzione.
La lettera era di un Mister Johnson (privacy) direttore del Royal Coin Cabinet di Stoccolma e diceva del il Re di Svezia che, durante una visita ad una mostra FIDEM in Svizzera, aveva apprezzato la medaglia rappresentante il compositore Beethoven esposta per l’occasione dal Nostro autore. Aveva perciò espresso il desiderio di acquistarla per esibirla in maniera permanente nel Museo Reale della medaglia, il Royal Coin Museum di Stoccolma.
Per questo il direttore Mr. J si informava sulla possibilità di comprarla e sul costo del manufatto.
Insomma il Re di Svezia voleva comprare una medaglia dello scultore Paolone, nostro ocompaesano e amico.
Naturalmente a questa traduzione, che in verità confermava quello che avevamo solo intuito noi francofoni, anche i miei occhi si sgranarono rischiando seriamente di uscire fuori dalle rispettive orbite.
Il Paolone, al contrario, non sembrava essere più di tanto turbato né sconvolto dalla cosa. A lui sembrava del tutto normale (!!!) che il Re di Svezia, o un suo emissario, avesse apprezzato il suo lavoro, cioè il frutto del suo ingegno. Piuttosto chiedeva a sé stesso e a noi consigli su quanto farsi pagare dai committenti potenziali, sulla opportunità di vendere a loro la medaglia e sulle modalità. E così venni a conoscenza che una medaglia possiede un lato dritto e un rovescio i quali possono avere quotazioni differenti, che vale il peso oltre al metallo, il diametro, la quantità di rilievo, le scritte, la precisione dei particolari. Insomma ci sono criteri obiettivi che standardizzano i prezzi. A questo, naturalmente, si aggiunge il valore intrinseco della quotazione dell’ Autore.
Concordammo così il prezzo di 150 mila lire per facciata e rispondemmo, sempre con l’aiuto di mia sorella, al Mr. J. Non senza un poco di timore: ci sembrava troppo!! Invece dopo neanche due settimane ci giunse da parte sua un’ulteriore lettera con l’accettazione delle condizioni, la conferma dell’ordine e la richiesta dei meccanismi bancari da attivare per il pagamento. La medaglia fu inviata prontamente, arrivò bene a destinazione (W le poste) ed ora per chi volesse ammirarla è esposta permanentemente al ROYAL COIN CABINET di STOCCOLMA. Così il nostro amico Felice Paolone è diventato internazionale.
Caro direttore, Luigi, dopo di allora tante altre occasioni di contatti internazionali ci sono state e tante ce ne saranno ancora, come ben sai meglio di chiunque altro e come bene è scritto nell’articolo precedente. Ma la prima volta andò così. Proprio così. Credimi.
Ti scrivo questo per un contributo alla verità e per confermare la mia e, sono sicuro, la tua stima e quella dei tuoi – nostri lettori per un importante e internazionale Scultore e medaglista, il nostro amico Felice Paolone.
Perché certe cose si dicono, si fanno e si scrivono e per un amico. Solo per un amico!!!
Forse a questo proposito varrà la pena un giorno raccontare come nacque il libro “Dentro la scultura” scritto dal solito Paolone, che anche lì ci vide protagonisti, me e te, per amicizia. Perché allora è stato come affrontare una fatica di Ercole. Ricordi? Magari lo facciamo un’altra volta. Che ne pensi?
Ora saluto te i tuoi weblettori scusandomi se qualche volta sono stato poco comprensibile nel racconto o poco fluente nel discorso. Non me ne vogliano i puristi e professori della lingua italiana. Cercheremo di migliorarci !! Con affetto tuo e vostro
Antonio Gizzi".


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