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CulturaGuglionesi
Pubblicato in data 26/3/2015 ● Click 1249

Se calano le nascite servono gli stranieri. Come trattenere i nostri cervelli in fuga?


Pietro Di Tomaso © FUORI PORTA WEB

In un rapporto dell’Istat in cui sono stimati gli andamenti demografici nel 2014 si sottolinea che il tasso di natalità è <<insufficiente a garantire il necessario ricambio generazionale>>. La popolazione residente ha raggiunto i 60 milioni 808 mila residenti (compresi 5 milioni 73 mila stranieri) al primo gennaio 2015 mentre i cittadini italiani continuano a scendere e hanno raggiunto i 55,7 milioni (- 125 mila rispetto all’anno precedente). I trasferimenti di residenza intercomunali sono 1 milione 350 mila. <<I dati per la prima metà del 2014 sull’immigrazione verso la Germania – sottolinea Federico Fubini su ‘D Lui’ (supplemento de La Repubblica, aprile 2015) – sono stupefacenti e chiamano direttamente in causa anche l’avvenire dell’Italia: la sua convivenza civile, l’intensità delle competenze professionali fra chi la abita, la capacità di innestare forze fresche nel tessuto del Paese. Nei primi sei mesi dell’anno scorso le migrazioni nette verso la Repubblica federale (ossia il saldo fra chi arriva e chi parte) fa segnare un aumento di 240 mila persone.. Si tratta di stranieri, per lo più giovani, che si affacciano alla prima economia d’Europa in cerca di reddito e di una vita civile (…). Il passaporto dei migranti verso la Germania negli ultimi anni è cambiato. Non sono più i turchi, nordafricani o asiatici di dieci anni fa. Sono europei.. due terzi di loro arrivano da Romania e Polonia, il 6 per cento dalla Bulgaria, mentre il quarto maggior produttore di migranti verso la Germania è l’Italia>>. Germania e Italia sono le due nazioni più anziane del mondo, insieme al Giappone. <<Con la recessione più lunga della storia unitaria – aggiunge Fubini – oggi in Italia le nascite sono tornate di nuovo a livelli minimi (…). Che piacciano o meno, le migrazioni diventano determinanti per mantenere la vitalità dei nostri Paesi.. Però la Germania, accogliendo i giovani laureati italiani, greci, spagnoli, francesi o polacchi o bulgari, ottiene una qualità che l’Italia non ha.. Tornare a crescere serve dunque anche per fermare l’emorragia della risorsa più preziosa, le persone capaci. E per dire la propria, nella competizione del XXI secolo a chi attrae i migranti di migliore qualità>>. Il Canada altresì è un Paese considerato molto accogliente per gli immigrati. L’economia è in crescita, lavoratori specializzati e professionisti sono ricercati.

Ciò detto, come trattenere i nostri cervelli in fuga? Purtroppo l’Italia ha il primato nella piaga del ‘familismo’ ed occorre dunque affrontare tale problema. In un saggio sociologico Edward C. Banfield (The Moral Basis of a Backward Society del 1958, tradotto in italiano “Le basi morali di una società arretrata”, 1976, Il Mulino) giunse alla conclusione che “massimizzare unicamente i vantaggi materiali di breve termine della propria famiglia nucleare, supponendo che tutti gli altri si comportino allo stesso modo” porta inevitabilmente all’arretratezza. Insomma, l’aver adottato il metodo del ‘familismo amorale’ alla fine si verifica che ai posti di comando assurgono degli incapaci con carenza culturale e responsabili di danni conseguenti. Federico Rampini, su Repubblica del 25 marzo, ci informa che le cose stanno cambiando anche in America, un tempo caposaldo della meritocrazia. <<Oggi, ogni censimento fatto tra i giovani talenti che abbandonano l’Italia per venire a lavorare – o a fare ricerca – qui negli Stati Uniti, vede questo problema al primo posto. I nostri cervelli in fuga che approdano a New York, o nella Silicon Valley californiana.. dicono: “Non ero figlio di nessuno, nei concorsi universitari mi passavano davanti i figli di…” . Come ha denunciato Obama “la mobilità sociale sembra essersi bloccata, se si nasce poveri troppo spesso lo si rimane”. Gli fa eco Hillary Clinton: “Il terreno di gioco non è più livellato, le regole sono truccate a favore dei privilegiati”. <<La parentocrazia – precisa Rampini – dilaga in politica. Le sfide per la Casa Bianca nel 2016 rischia di ridursi a Clinton – Bush come nel 1992 (allora fu Bill contro George senior). Figli di presidenti?.. Hanno fatto più soldi dopo l’ingresso in politica, di quanti ne avessero prima. I ‘figli di…’ stanno costruendo quella che Daron Acemoglu e James Robinson definiscono la società “estrattiva”: formano delle oligarchie parassitarie, prelevano rendite dal resto della comunità, bloccano la mobilità verso l’alto (…). Quella che era stata la fucina dell’American Dream, la grande livellatrice delle opportunità, cioè la scuola, è oggi all’origine delle nuove diseguaglianze americane… non c’era mai stato un nesso così stretto fra ricchezza dei genitori e voti accademici dei figli. I privilegiati made in Usa hanno scippato la meritocrazia, assicurandosi che il “merito” sia sempre dalla parte dei propri figli (…). Allora come si spiega che i ‘figli di nessuno’, i non-raccomandati, continuino ad affluire proprio in America?... Rispetto al familismo sfacciato nella versione italiana, gli Stati Uniti praticano una versione più presentabile: non si raccomanda il rampollo incapace, lo si costringe a guadagnarsi un Ph. D. a Yale o a Princeton. Ma soprattutto c’è una vasta area dove i “figli di…” hanno la vita dura. E’ la punta avanzata del sistema americano: il capitalismo. Il principio dinastico… viene rovesciato nel mondo dell’imprenditoria, quella vera. Bill Gates ha diseredato i suoi figli dicendo: “Lasciare le imprese ai nostri figli è una follia… Non ci sarà una discendente di Steve Jobs alla guida di Apple. E tutte le imprese neonate che hanno fatto grandi la Silicon Valley e il Nasdaq, sono state create da geni di vent’anni, figli di nessuno>>.

Dunque l’Italia deve tornare a crescere (basta con il ‘rigore’ senza crescita). Una prospettiva di crescita di medio-lungo periodo richiede azioni integrate di politica economica ed innovazione, centralità del lavoro e dinamiche retributive. <<Il tracollo europeo nasce da una politica d’austerità fallimentare che ha prodotto l’attuale scenario di povertà e disoccupazione. Lo dico in qualità di economista, perché la nostra è una scienza empirica. E una legge fondamentale dell’esperienza è imparare dagli errori. Senza domanda l’economia piange. Dovremmo riattualizzare Keynes (…)>> (Amartya Sen, premio Nobel con cattedra all’Università di Harvard in economia, matematica e filosofia morale). Naturalmente l’auspicio è altresì quello di combattere il ‘familismo’ in Italia. La speranza intravede dei segnali di rivolta da parte della ‘società civile’ colta, indipendente, reattiva, pronta a organizzarsi e ad esprimere valori di partecipazione e di associazione che possa sconfiggere la sindrome del “particulare” già teorizzato dal Guicciardini nell’età delle Signorie. <<Proprio per questa propensione allo status vantaggioso per sé e la propria famiglia, non ci si deve stancare di denunciare, condannare e rimuovere le forme anche blande o ‘innocenti’ (?) di aiuto ai figli, mariti, nipoti, e amici loro. La ragione di questa severità non è moralistica, ma di prudenza politica.. e poiché il centro dell’opinione è il sentimento di fiducia, ne deriva che l’uso preferenziale del potere, non importa quanto ampio o grave, farà crescere nei cittadini il tarlo del dubbio e della diffidenza verso tutti, con gravissimo danno al sistema>> (Nadia Urbinati, Repubblica 25 marzo).


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