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CulturaGuglionesi
Pubblicato in data 5/3/2015 ● Click 1428

Custodire la rotta verso la civiltà


Luigi Sorella © FUORI PORTA WEB

La sensibilità culturale della "pietà popolare" deve custodire la rotta verso la civiltà, con sapienza ancora più percettibile quando una qualche istituzione di una comunità civica appare latitante per carenze incolmabili.
L’impegno civico di rappresentanza, in ogni formula aggregativa, è una condizione necessaria ma non sufficiente lì dove prevalgono limiti e carenze nelle conoscenze anche dei processi civici per i fenomeni culturali a matrice identitaria. L’impegnarsi per se stessi appartiene ai “capitani d’avventura”, i quali, alla prima apparente difficoltà, sono pronti ad affondare le zavorre culturali negli abissi dell’incoscienza civica.

Le festività religiose ai Santi della Chiesa sono, per definizione, esplicazioni sociali della pietà popolare. C’è una domanda alla quale anche il “capitano d’avventura” di turno è chiamato a rispondere nella sua coscienza e magari attraverso la propria conoscenza: cos’è la “pietà popolare”?
Padre Luiz Carlos de Oliveira risponde così:  “Cos’è la pietà popolare? E’ un modo del popolo di vivere la fede, seguendo tradizioni spirituali che vengono dai secoli. [...] La religiosità della pietà popolare è una scuola di fede, poiché conduce il fedele alla vita di Cristo, dei santi e alle pratiche di pietà. Come scuola di fede stimola la vita cristiana, ma ha un rischio: allontana la fede dalla vita. La devozione, se non permea la vita con il senso del Vangelo, resta fragile. Questo è uno dei pericoli della religiosità popolare. Resta esteriore. [...] La religiosità e la pietà popolare sono utili nella misura in cui aiutano la nostra conversione. [...] Alla venerazione dei santi e alla partecipazione dei misteri della vita di Cristo nel suo aspetto più sensibile, abbiamo bisogno di confrontare la nostra vita con essi e prendere la decisione della conversione. Allora sì, la pietà popolare arricchisce la Chiesa. [...] La Chiesa è chiamata a conoscere l’anima del popolo e così dispensare i misteri sacri e gli insegnamenti della fede in modo comprensibile. La base di questa attitudine educativa è l’affettuoso accoglimento del popolo, linguaggio che esso capisce molto bene.”

Ogni popolo – insegna Papa Francesco nella lezione sulla “pietà popolare” [cfr. link] – è il creatore della propria cultura ed il protagonista della propria storia. La cultura è qualcosa di dinamico, che un popolo ricrea costantemente, ed ogni generazione trasmette alla seguente un complesso di atteggiamenti relativi alle diverse situazioni esistenziali, che questa deve rielaborare di fronte alle proprie sfide”.
La fede e la cultura convergono in un unico abbraccio sociale. “Ogni cultura e ogni gruppo sociale – avverte il Santo Padre - necessita di purificazione e maturazione. Nel caso di culture popolari di popolazioni cattoliche, possiamo riconoscere alcune debolezze che devono ancora essere sanate dal Vangelo: il maschilismo, l’alcolismo, la violenza domestica, una scarsa partecipazione all’Eucaristia, credenze fataliste o superstiziose che fanno ricorrere alla stregoneria, eccetera. Ma è proprio la pietà popolare il miglior punto di partenza per sanarle e liberarle”.

Nei processi di inculturamento di un popolo, il ridurre ad un “prezzo”, anziché ad un effettivo “valore”, il coinvolgimento della pietà popolare, nella sua organica custodia e manifestazione dell’essere comunità in cammino verso la mèta verticale (non orizzontale!), è espressione di inadeguatezza educativa e formativa e, dunque, di una involutiva coscienza civica. “Le espressioni della pietà popolare – richiama Papa Francesco – hanno molto da insegnarci e, per chi è in grado di leggerle, sono un “luogo teologico” a cui dobbiamo prestare attenzione, particolarmente nel momento in cui pensiamo alla nuova evangelizzazione.”

In ogni comunità le manifestazioni della pietà popolare sono momenti irripetibili di accoglienza ai valori autentici della fede. “È anche vero – esorta Papa Bergoglio in "Evangelii Gaudium" –  che a volte l’accento, più che sull’impulso della pietà cristiana, si pone su forme esteriori di tradizioni di alcuni gruppi, o in ipotetiche rivelazioni private che si assolutizzano. Esiste un certo cristianesimo fatto di devozioni, proprio di un modo individuale e sentimentale di vivere la fede, che in realtà non corrisponde ad un’autentica “pietà popolare”. Alcuni promuovono queste espressioni senza preoccuparsi della promozione sociale e della formazione dei fedeli, e in certi casi lo fanno per ottenere benefici economici o qualche potere sugli altri. Nemmeno possiamo ignorare che, negli ultimi decenni, si è prodotta una rottura nella trasmissione generazionale della fede cristiana nel popolo cattolico. È innegabile che molti si sentono delusi e cessano di identificarsi con la tradizione cattolica, che aumentano i genitori che non battezzano i figli e non insegnano loro a pregare, e che c’è un certo esodo verso altre comunità di fede. Alcune cause di questa rottura sono: la mancanza di spazi di dialogo in famiglia, l’influsso dei mezzi di comunicazione, il soggettivismo relativista, il consumismo sfrenato che stimola il mercato, la mancanza di accompagnamento pastorale dei più poveri, l’assenza di un’accoglienza cordiale nelle nostre istituzioni e la nostra difficoltà di ricreare l’adesione mistica della fede in uno scenario religioso plurale”.

Nell'approccio alla gestione collaborativa della "pietà popolare", attraverso le feste religiose della Chiesa, sono prioritarie alcune parole chiave: "una necessità del popolo", "una scuola di fede" e "un cammino di spiritualità", delle quali brevi riflessioni sono nell'articolo di P. Luiz Carlos de Oliveira sul "Portale di Catechesi e Cultura cristiana".

Quante stranezze avvengono attorno al tentativo di (con)fondere la pietà popolare, il più grande patrimonio di una comunità con un futuro alle spalle. Quantomeno nei luoghi e nei contesti dell'autentica pietà popolare si custodisca la rotta verso la civiltà.


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