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CulturaGuglionesi
Pubblicato in data 17/1/2015 ● Click 2011

Libertà o morte


Mario Vaccaro © FUORI PORTA WEB

Una fatalità.
Come poter altrimenti definire la parabola evolutiva della libertà, le cui tappe significative presentano una purpurea costante … il sangue. Già. La parola libertà è spesso farcitura di discorsi intrisi di secchiate di retorica. E’ in particolare la propaganda dei guerrafondai – nel ruolo di aggressori ed aggrediti, non fa differenza – a farne un ricorso smodato, tributandole una sacralità a cui l’altrettanta, ma un po’ meno, sacralità della vita deve inchinarsi. In questa sorta di tripudio del sacro anche il bene più prezioso può essere sacrificato. Accade così che la ruota dei corsi e ricorsi storici compia fatalmente il suo giro e si apra una nuova finestra da cui poter unanimemente esibire questa parola, coadiuvando il fiato dei sostenitori col “mortal sospiro” di quanti si sono ad essa immolati … “bandiera rossa della libertà …”.

E’ dunque la morte ad alimentare la fiamma della libertà. Eppure, retorica a parte, siamo usi darla per scontata. Lo siamo talmente da credere, nella contemporaneità, la qualità della vita dipendere dall’andamento del PIL. Dimentichi che è invece la linea virtuale fin dove la libertà poter esercitare a delineare un concreto profilo di quel fattore chiamato benessere … una sottile linea rossa, come quella che Kipling asseriva stabilisse il labile confine tra lucidità e follia. Scontata, sì, talmente scontata da non far più caso ad una considerazione pure elementare: la nostra tronfia bocca mastica e sputa di continuo valori e ideali, quegli astratti orizzonti che sono di riferimento per il nostro intelletto intento nell’esercizio di costante tensione utile per poter asseverare l’unico senso che vale davvero la pena, per una persona sensata, accostare alla propria esistenza: diventare uomini migliori. Bene, in assenza del loro zoccolo duro, la libertà, tutti i valori resterebbero pure astrazioni, non sarebbero anzi neppure concepibili. Eppure la diamo talmente per scontata che crediamo essere eccezionali le circostanze in cui nella storia della società umana essa abbia fatto vacanza. E sì, perché la nostra superficialità c’induce pure a dimenticare che spesso sono le istituzioni politiche, le convenzioni sociali e i pregiudizi morali a tramare/remare contro, se non addirittura ad ergersi a suoi nemici giurati.

E così, fatalità nella fatalità, proprio nella Parigi in cui ha echeggiato il grido “liberté, égalité, fraternité” si è presentata l’occasione di poter fertilizzare il terreno della libertà con sangue fresco, di poter compiere un’ulteriore riflessione sul tema e colmare un ulteriore tratto verso la definitiva presa di coscienza. Pare proprio essere una prerogativa umana quella di tornare, da eterni ripetenti, ad esaminare concetti già tradotti dai nostri avi. Tornando, quale esempio, alla Parigi della Rivoluzione e della Comune, in avviato 3° millennio il tema dell’uguaglianza, quanto ad attuazione concreta, vanta tuttora un credito nei confronti della società. Sì, perché sul versante della teorizzazione le moderne costituzioni degli stati democratici pluralisti hanno invece individuato valide formulazioni. In Italia abbiamo l’art. 3 comma 2 che promuove un principio rimasto però tale … accantonato il socialismo – solo per adesso, questa la mia facile profezia – l’abbattimento delle differenze economico-sociali è un problema irrisolto e, tuttavia, non percepito più come tale. Queste differenze, che di per sé già deprimono il concetto di libertà – ridotta così a mera affermazione di principio - si sommano a quelle di ordine culturale, ancor più deleterie. Se le prime impediscono il concreto esercizio della libertà, queste invece ne reprimono in partenza lo sviluppo, sono abortive. Per poter eludere la iattura dei condizionamenti – tanti e di ogni tipo - e formulare un pensiero libero, il nostro intelletto dovrà pur riconoscerli come tali? Nel caso di specie, quante Primavere arabe occorrono affinché quel mondo riesca a ripianare le differenze culturali con la società occidentale e raggiungere il nostro livello comunque non ideale? Sono, queste considerazioni, talmente scontate da far comprendere perchè la libertà sia concetto da non dare affatto per scontato.

Ora, sebbene sia periodo di saldi, non è per mettere in vetrina cose scontate che ho deciso di prendere a ditate la tastiera. Vado a spiegarmi. Quel titolo l’ho scelto non solo perché, come evidenziato, rappresenta spesso i termini di quello che pare un baratto. “Libertà o morte” è locuzione che molti avranno sentito pronunciare in svariati contesti, ma è bene individuarne l’origine. Nel 1781 un giovane di 22 anni, tal Schiller, scrive “I masnadieri”, opera teatrale di grande successo che gli consente di essere all’epoca paragonato addirittura a Shakespeare. Gli ideali evocati dai personaggi del dramma rendevano a tal punto partecipe il pubblico che, pare, le donne svenissero per la forte emozione. Cosa scatenava tanta passione? Il mondo occidentale conosceva già questa parola grazie ad un altro libro, il “Libro”: “la Verità rende liberi” recita il Vangelo di Giovanni, in cui la stessa venuta di Cristo è descritta, in chiave metaforica, come l’avvento di Colui che sa e non verrà riconosciuto come tale, che tradurrà questo sapere ai discepoli i quali, per tale motivo, saranno invisi ai consimili … “Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi” (Matteo 10:16). Sempre a ribadire la scriminante della Conoscenza … “Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra … ma una spada. Sono venuto infatti a separare il figlio dal padre …” (Matteo 10:34). La Chiesa, purtroppo, rinunciando a seguire un altro dettame del Cristo, “dai a Cesare …”, e occupandosi principalmente di potere temporale, ha nei secoli favorito l’ignoranza più che la diffusione della Parola di Dio.

Una mia opinione? Certo, ma sta di fatto che occorre attendere l’ispirazione di un poco più che ventenne per sentir pronunciata una parola che a noi moderni pare così scontata, una parola che, magari non espressamente censurata, per 18 secoli è stata ritenuta quantomeno non gradita … ecco il motivo di tanta passione. Quindi sia nell’ambito letterario – considerando la funzione oracolare dell’arte - e ancor più nella formulazione giuridica, la libertà è concetto giovane. Ciò la rende fragile, come una bolla di sapone che, se toccata, si dissolve. La sua giusta calibrazione, poi, è davvero impresa ardua: nella stessa area di cultura occidentale la libertà di pensiero assume diverse connotazioni. Accade così che sia consentito sfottere religioni e religiosi ma di non poter esternare convinzioni negazioniste (in Francia) o predicare ideali fascisti (in Italia). E accade, soprattutto, che si avveri il seguente paradosso: il generale consenso verso la difesa della libertà verrà utilizzato, in tema di sicurezza, per approvare leggi speciali che la stessa libertà andranno a limitare. Sentir sdoganare la locuzione “guerra al terrorismo” è, per le mie orecchie, operazione propedeutica ad una restrizione di libertà, la predisposizione a regole d’ingaggio per quella che qualcuno vuole si prospetti come scontro di civiltà. Ma, ovviamente, sono io il primo a sperare di essere il guastafeste di turno.
Sappiate però che mentre state invocando il riconoscimento di tale valore, c’è chi all’ombra trama per sfilarvi la libertà da sotto il naso, per giunta col vostro consenso. E, soprattutto, come sempre è capitato con le guerre, può accadere che quel sangue non venga utilizzato per fertilizzare il terreno su cui far attecchire la pianta della libertà, ma come erbicida.


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