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CulturaGuglionesi
Pubblicato in data 4/8/2014 ● Click 1615

Ving mnenn camnet facenn


Mario Vaccaro © FUORI PORTA WEB

Farei senz'altro outing sbandierando la mia podofilia se non fosse che il termine, oltre a presentare un'equivoca assonanza, pare non esistere. Non mi resta granché da scegliere ... vada per peripatetico, fortunato di poter utilizzare un sostantivo impraticabile al femminile. Preambolando, credo valga bene chiarire che la passeggiata per me ideale è quella "in solitaria", per la dialettica preferendo, come per il desinare, infilare le gambe sotto un tavolo. Ricordo poi d'aver da sempre subito la fascinazione dei percorsi abituali, progettati sulla base di influssi emotivi. "Luoghi della memoria" ... già, simili ad album di ricordi che ad ogni passo sfoglio, dei tanti me stesso "interpretati" nel corso degli anni. Le coordinate di tali itinerari sono oggetto d'una complessa topografia, capace di indicazioni ben più raffinate del consueto "siete qui", la mente consulta una mappa sensoriale che consente di esplorare "luoghi del tempo". Lo spazio diventa itinerante esperienza per la memoria, che si realizza su un piano non esclusivamente visivo, a volte essendo i richiami sonori ed olfattivi ancor più evocativi - come ci ha rivelato Proust con le sue celebri madeleines. Dunque quella passeggiata, grazie all'occasione di carpire determinate immagini suoni odori, fornisce l'input per deambulare nel tempo, di cavalcare l'illusorietà della quarta dimensione. Percorsi abituali - abitudini=abiti mentali - eppure sempre diversi proprio perché abitati da diversi me stesso che, tuttora idealmente esistenti, in quei posti continuano a dimorare ... e così quella passeggiata diventa occasione per bussare alla loro porta.

Quello abituale per eccellenza posso addirittura considerarlo un'estensione della mia residenza, un'appendice che parte dalla soglia di casa, l'ideale prosecuzione del già di per sé lungo corridoio ... magari, questo sì, un po' più affollata. Ma nella passeggiata in solitaria il mio stato d'animo lo si trova sintonizzato su frequenze non ordinarie, dunque le figure umane m'appaiono meri complementi d'arredo, + o - evocanti quale un qualunque elemento della scenografia, sostituibili con dei cartonati se non fosse per quelle laconiche/canoniche interazioni verbali - dal fugace saluto al come va? di prammatica - tormentoni da merlo indiano non perturbanti lo stato d'animo regnante. Giammai incorressi in un "pippone": immerso in quella sorta di catarsi, sorbirsi le vicende personali - dalle generiche lamentele al vanto per l'acquisto di beni e servizi voluttuari passando da considerazioni meteoropatiche - di chi parrebbe così volerti strappare dalla bocca un #esticazzi, potrebbe sprigionare la sinora inesplorata mia misantropia. Quel particolare stato d'animo reca in sé un dono, l'attitudine nel mettere a nudo qualunque aspetto convenzionale ci capiti d'incrociare. In questo caso evidenzia l'inflazione della parola, artefice un'umanità residente in una Torre di Babele la cui l'incomunicabilità consegue alla debordante mole di locuzioni da noi prodotta. Satura di tante sostanze, è tuttavia di inquinamento verbale che soffre la nostra aria: in un anno produciamo una massa di parole superiore a quella confezionata dai nostri avi in decine di secoli. Inquinamento verbale, di suoni travestiti da parole di senso compiuto, costituenti una sfilza ininterrotta di bla. Poteva Warhol immaginare che la sua intuizione sul quarto d'ora di notorietà avesse fotografato la sola punta dell'iceberg? Affacciandomi sui social network ricavo la sensazione di una maggioranza che interagisce con la stessa spontaneità dei partecipanti ad un reality, il contegno è in perfetto stile sonocometumivuoi. La linea gialla che delimita la confidenza è appunto la manifestazione d'apprezzamento - mi piace, condividi, followami - una pacca sulla spalla data da lontano. Anche quando percorriamo la strada dell'emotività, scegliamo di farne inevitabilmente una rappresentazione, attraverso commenti pubblici da opinionisti. Siamo abitanti di un network, tutti abbiamo un pubblico a cui esibirci con le stesse banalità a cui la TV ci ha abituato ... e la spontaneità è in via d'estinzione. Veni vidi vici è il proposito, vacuo vano vago il risultato. D'altronde dal peccato di vanità chi riesce a sfuggire? Anzi, m'accorgo di stare a mia volta perpetrando un abuso ... adbuntantia verba malo est, dunque ...

... mi decido ad attraversare la soglia, finalmente: ecco via Iseo, una poco più che mulattiera oggi diventata una bomboniera. La scalinata mi conduce, ancor prima che a via Cap.Verri, a respirare aria di casa, letteralmente: sulla mia sinistra scorgo il balcone della mia precedente "cameretta", e il giardino. In una porzione, all'ombra dell'acacia (Robinia pseudo-acacia) - i cui fiori, da noi ragazzi ribattezzati scerascell ghiang, ricordo mangiavamo, e il cui odore è ancora per me manifesto della primavera - allo spazio oggi vuoto si sovrappone l'immagine del ritrovo della banda, anzi il suo quartier generale, "u pajarill". A quei tempi il modello pedagogico era profondamente diverso. Un'educazione che si giudica oggi più rigida per la severità di alcune sue manifestazioni, eppure il guinzaglio era tutt'altro che corto: a 5 anni il mio fratellone di 11 mi portava con sé al seguito della banda che operava lungo l'intero quartiere ... un intero pomeriggio on the road, in compagnia di tanti altri bambini/ragazzi che affollavano i rispettivi quartieri, il cui simbolo di appartenenza era la banda, S. Andunj, Prtanov, Petticecj, u Prtjll. Alla territorialità eravamo spinti dalle fonti di cultura adolescenziale: film e telefilm USA, i fumetti, i western, indiani e cowboy, dunque la difesa del territorio. C'era pure la realtà virtuale, ma a km zero, sintesi della fervida immaginazione di ciascuno, ingrediente principale dei nostri giochi. Il Libro Cuore e I ragazzi della via Pal erano narrazione del nostro quotidiano, i nostri diari non scritti ma semplicemente vissuti ... erano il romanzo di formazione che non occorreva leggessimo. "U carruccj" come mezzo di locomozione, la fionda in tasca, archi di maldestra realizzazione utilizzanti stecche di ombrelli quali frecce, u jok di 7 pret o di 7 dammj, le escursioni fuori quartiere per i sucamill, i jejjr, i grambalupjn, oltre ad ogni tipo di frutta mangiata direttamente sull'albero ... "Oh, capitano, mio capitano ... Verri".

La nostra realtà, quale contraltare all'immaginazione, era intessuta di tanta azione. E l'azione, nel firmamento delle lezioni di vita, è la più fulgida stella: il cd. nesso eziologico ... causa ed effetto, l'esordio nella lotteria delle conseguenze di azioni proprie ed altrui, il diventare padroni del proprio destino, cavalcare l'eccitante possibilità di migliorare il mondo. E uno dei suoi distorti predicati è la violenza, strumento dei mediocri ... e occorre subito capire in che modo intendi reagire alle prevaricazioni altrui, a quella violenza che nel mondo adulto indosserà numerose maschere ... chi hai deciso di essere, quello che abbozza o che tenta di farsi rispettare? Appartenevo ad un mondo in cui se qualcuno ti malmenava, maestro o ragazzo che fosse, era affare che dovevi affrontare e risolvere da solo ... così, anche noi ragazzi cattolici celebravamo il nostro bar mitzvah. E si assiste alle vigliaccate, che si possono fare o subire ... unirsi in tanti contro uno: questa pure una lezione di vita, la dinamica di cui si nutre la democrazia, la possibilità che il pavido ha di sentirsi qualcuno nascondendosi tra la folla.

Passando affianco alle "case dei mutilati" (assegnate ai reduci della Grande Guerra, così mi è stato detto) giungo a via Marconi, dove c'era la drogheria di Nzin Cipress, grande amico di mio padre nonché colui che m'insegnò a leggere l'ora. All'epoca le attività commerciali erano denominate come da insegna solo a livello formale, ma nel colloquiale si usava dire "vaj ndò Flumen ... o a Frttet" anziché al Bar x. La sostanza umana di una comunità prendeva il sopravvento sulle sovrastrutture organizzative, le creature erano di riferimento nella quotidianità del vissuto, non le creazioni umane ... realtà e finzione erano tenute ben distinte. All'epoca si procreava ancora molto e i nomi esotici e bizzarri non erano ancora in voga ... Kevin, ma si può! Da Telefono Azzurro! Tanti figli e qualche caso di omonimia induceva alla proliferazione di diminutivi - da Antonio se ne tiravano fuori un mazzo - e soprannomi, ché l'attenzione umanistica all'individuo si tramutava nell'attribuzione formale d'una precisa identità. Il soprannome era il battesimo per il riconoscimento nella comunità, come individuo che veniva identificato come tale, emancipandosi così dalla famiglia. A volte indicava il mestiere, altre la semplice storpiatura del nome, poteva riguardare un aneddoto, far riferimento a difetti fisici o a virtù, vizi e atteggiamenti morali. In ogni caso, dapprima affibbiato da qualcuno, trovava in seguito riconoscimento nella comitiva di amici, estendendosi poi l'uso ai conoscenti. Parimenti al nome non eri tu a sceglierlo, però serviva a qualificare anche colui che ne faceva ricorso, occorrendo avere una certa confidenza per usare l'appellativo ... altro che amicizia su FB: come abilmente sottolineato da Pretore, "em mai magnet nzimbr?".

Distratto dalle chiacchiere, m'accorgo d'essere giunto nel frattempo a Fuoriporta (meglio di Lungomare, che i forestieri ci prendono per il culo ... quel loro sciorinare stupidi luoghi comuni sul nostro dialetto, stalle e stelle, neve e nave, è già di per sé abbastanza irritante), il sito elettivo in cui prodigarsi nelle vasche, la nostra piscina olimpionica. Certo, il tratto finale offre una finestra su un panorama da cartolina, uno scorcio la cui bellezza è responsabile della pretenziosità dell'altro appellativo. Sta di fatto, però, che la passeggiata sul corso principale è il classico misto tra ora d'aria e un acquario, un meccanico via vai sotto lo sguardo di tutti. La Villa, invece, è il sito perfetto per l'appassionato peripatetico ... un equilibrato mix di componenti conferisce alla passeggiata possibilità altrove non realizzabili: un certo grado d'intimità, l'andamento circolare, l'estetizzante connubio tra bellezze naturali (verde e panorama) e artificiali (chiesa + convento/biblioteca) predispongono l'animo dei passeggiatori nelle condizioni ideali per interloquire.
Questa è per il guglionesano Castellara, la nostra Roma, il destino scritto in ogni nostra strada. Tutte idealmente portano alla nostra Villa, ché ogni passo speso su qualunque altra strada, viale compreso, è un accontentarsi: la stessa camminata, fatta a Castellara, di certo avrebbe un miglior sapore. La stagione delle ripetute passeggiate a Castellara è stata la mia miglior stagione. Se nutrite dubbi al riguardo, chiedete delucidazioni al vostro amato cane quando lo conducete al piscio, chiedetegli se non preferirebbe espletare lì. Certo, non è sempre stato così ... mio nonno aveva altri punti di riferimento: C.so Conte di Torino e la piazzetta con la fontana. Pure lui però, come me da ragazzo, mangiava fiori.


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