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CulturaGuglionesi
Pubblicato in data 14/7/2014 ● Click 1625

Le radici dell'ignoranza


Mario Vaccaro © FUORI PORTA WEB

L'ultima volta, come in un coitus interruptus, ho esaurito precocemente l'argomento appena giunto sul più bello. E sì, terminati i preliminari avrei attaccato con l'autentico oggetto della riflessione, i palestrati della cultura, gli istruiti che ambiscono ad esser considerati colti. Resomi conto dell'opportunità di precisare cosa s'intende per quella che, per l'appunto, è solo l'apparente antitesi della cultura, eccomi pronto con queste righe a riparare. Nei fatti non è il caso di atteggiarsi manichei su cultura e ignoranza, potendo entrambe annoverare indubitabili pregi e punti in comune. D'altronde non potrei essere l'orgoglioso italiano qual io mi considero se reputassi negativa una qualifica che democraticamente ci appartiene: se gli ignoranti fondassero un partito al povero Renzi del 40% resterebbe la cifra al netto dello zero. E poi mi fido delle sensazioni, e le persone con cui mi trovo in agio sono quelle a basso tasso d'istruzione e i pochi colti sopravvissuti all'estinzione. Se dovessi tentare una razionalizzazione, credo sia l'approccio alla realtà quel che rende la conversazione con costoro attività gradevole e redditizia: ponendosi al di fuori d'ogni certezza, se non quella appunto di coltivare sempre il dubbio - quel ch'è intuitivo per gli uni è frutto di consapevolezza per gli altri, tutta lì la differenza - si atteggiano alla vita senza armarsi di quell'arroganza che è caratteristica della visione borghese, i cui adepti sono in costante predicato di conseguire "pezzi di carta" e attestati di amicizia quali patenti utili a realizzare un miglioramento della relativa posizione sociale, scopo centrale e spesso esclusivo della loro esistenza. Quest'uomo medio, che si colloca in quella vasta area che s'estende tra cultura e sana ignoranza, è un uomo istruito, che ha una precisa opinione su tutto, crede di essere il sale della terra e non nutre il minimo sospetto di appartenere a quella colonia di batteri che la salute della nostra razza va a pregiudicare ... insomma, è portatore di quella forma d'ignoranza che nulla ha da spartire con quella, appunto sana, di cui S. Giuseppe da Copertino è nume tutelare. Questo tema mi dà oltremodo l'occasione di riprendere il filo d'una parte delle repliche che dovevo al buon Paolo De Socio - pure queste abortite per una mia convinzione ... pensar male della Chiesa si può, parlarne male meglio di no - in particolare su un preteso merito dell'istituzione cristiana nella diffusione della cultura per mano amanuense. E' mia intenzione limitarmi ad una descrizione il più possibile avulsa da giudizi morali, essendo questa categoria del pensiero umano non pertinente qualora s'intendesse vagliare il contegno del Potere, dato il sedicente porsi al di là del bene e del male. L'opportunità di lasciar fuori dall'uscio qualsiasi giudizio morale è anche il buon senso a suggerirla: la maggior parte delle scelte non conduce mai a conseguenze di carattere univoco, così anche in questo caso vi sono delle rose a tener compagnia alle spine. I paradossi, come i luoghi comuni, sono scorciatoie dialettiche, e su tale loro attributo mi vado ad accomodare. Appunto un luogo comune vuole che "ah, il film è bello, ma il libro è decisamente meglio". Il paradosso si rivela essere il seguente: la cinica statistica sentenzia che un italiano su 10 compra libri (e sottolineo compra), dunque per quale oscuro procedimento alchemico questa frase spunta in bocca ai molti? Pur essendo tale considerazione valida soprattutto per il fenomeno dei palestrati, degli istruiti, che della cultura fanno un abito da indossare, anche qui la frase interessa, per quel che suggerisce di vero. La nostra mente, si sa, è ancestralmente affascinata dai racconti, siano essi orali-scritti-per immagini, sino al punto d'incappare nel meccanismo che Coleridge definiva "sospensione dell'incredulità" ... pur cosciente della finzione, il pubblico vive la storia come fosse realtà. E, eccomi al punto, tra le varie esperienze di racconto il libro, la letteratura - ancor più l'oramai scomparso racconto orale - sembra di gran lunga lo strumento che quell'esperienza psichica riesce a sollecitare con maggior efficacia ... e allora perché preferiamo il cinema al libro? Purtroppo la risposta c'è ed è fin troppo banale, e l'inventore del mocassino è stato facile profeta nell'intuire che la società ha da tempo imboccato una strada senza ritorno, di un progressivo livello di agio&benessere che, dopo aver fatto irruzione nel nostro stile di vita, ci condurrà a quell'infausto giorno in cui riterremo faticoso pure il semplice gesto di allacciarci le scarpe. Tuttavia è pur vero che il prurito nei confronti della letteratura è particolarmente accentuato in Italia. Quale la causa? Quale il dies a quo della nostra repulsione alla lettura e - queste le rose - del proliferare delle altre arti, pittura scultura architettura musica ... la scelta di una grammatica diversa per la rappresentazione mitica della nostra memoria? Anche per i non attenti conoscitori della storia sarà agevole trarre le seguenti conclusioni. E' risaputo che la committenza per la narrazione artistica era riconducibile alla religione, anche quando non fosse direttamente la Chiesa a commissionare le opere, di soggetto quasi esclusivamente religioso. A voler tuttavia indossare i panni dell'interprete ortodosso dei precetti del Cattolicesimo, la rappresentazione iconografica costituisce nota che dovrebbe suonare stonata, eppure l'istituzione che professa la religione del Libro, di un Dio che non si mostra né si nomina, che è definito Verbo, melius Parola, esterna diffidenza per il racconto preferendo la narrazione per immagini ... suona strano, non c'è che dire. Pur tuttavia siamo il paese dell'un sacco per cento dei beni culturali mondiali proprio per la scelta di campo operata dalla Chiesa (in aggiunta al fatto che in un'Europa costantemente in guerra - e che guerre, vedi quella dei Cento anni - noi, che non eravamo una potenza, siamo rimasti immuni a saccheggi, incendi e altre bestialità di sorta) in un preciso momento storico: Concilio di Trento, anni 1545-63. E' il famigerato inizio della Controriforma, la reazione della Chiesa all'affermazione del luteranesimo e del calvinismo. Cosa c'entra con la letteratura? Già. Lo scisma provocato dal luteranesimo ha sortito una netta separazione sul modo d'intendere la cultura religiosa, sull'approccio del fedele alla sua religione. Lutero predicava una maggiore alfabetizzazione e la diffusione della Bibbia in lingua volgare, auspicando che i fedeli ne diventassero fruitori diretti e buoni conoscitori. La Chiesa Cattolica, ahimè, arroccata nella posizione di privilegio di un clero interprete esclusivo della Parola di Dio, ha inteso favorire l'ignoranza dei ceti bassi, non diffondendo l'istruzione e vietando la diffusione del volgare come lingua scritta, vietatissima se poi il libro in questione fosse la Bibbia. Un archetipo, il classico refrain del potere e dei relativi privilegi da difendere. In fondo noi cattolici siamo coscienti di essere, tra tutte le confessioni alla nostra parenti e affini, i più ignoranti quanto a conoscenza del Libro ... ebrei ortodossi anglicani battisti avventisti Testimoni di Geova ecc. la Bibbia la conoscono davvero, mentre noi non sappiamo neppure quali siano i punti della dottrina a causa della cui interpretazione difforme guardiamo con sospetto questi fedeli a noi consanguinei. Se poi volessimo frustrare il nostro ego di cattolici, basterebbe saggiare la nostra ignoranza circa i dogmi ... che non sospettiamo neppure quanto siano numerosi. E così, in questo clima, nel 1557 viene pubblicato l'Indice dei libri proibiti, e nel 1571 il Papa fonda la Congregazione dell'Indice, allo scopo di tenere aggiornata la lista. Fu abolita solo nel 1965, ed in un certo senso sostituita dalla Congregazione per la dottrina della fede - più propriamente succedanea dei Santi Uffizi, dunque dell'Inquisizione - di cui l'attuale Papa emerito è stato Prefetto. Oltre alla generica proibizione di stampare opere in volgare, venivano bollati come proibiti quei libri con contenuti giudicati non ortodossi ... e il capo d'imputazione più frequente nei processi d'eresia diventa proprio la detenzione di libri proibiti. L'ultimo rogo è avvenuto in Italia per un'opera di De Sade, nel 1956. Quando non venivano bruciati - libri e annessi autori - si operavano le "espurgazioni", amputazioni di intere parti dell'opera non gradite, modificando o stravolgendo il pensiero originario dell'autore. Ora, l'opportunità dell'esistenza stessa del concetto di censura è argomento che non è neppure il caso di trattare, sia per la stupidità intrinseca al fatto che al cd. homo sapiens al quadrato qualcuno (stupidità che raddoppia considerando che la restrizione proviene da un'autorità non elettiva, che quel potere si è arrogato) ingiunga ciò che debba o non debba sapere, sia perché qui è il problema a monte che intendevo porre, ovvero quello di tenere il popolo a debita distanza dalla letteratura tutta, e dalla Bibbia in particolare (si noti, tra l'altro, come la nostra religione sia l'unica ad aver elaborato il concetto di eresia - e di dogma - di divieto di un'interpretazione difforme la cui trasgressione si pagava con la vita ... e prodroma tortura). Per farsi un'idea di quel che la Chiesa pretendeva non leggessimo, procedo elencando alcuni tra i più famosi autori proibiti: Erasmo, Copernico, Balzac, Bergson, Cartesio, Defoe, Diderot, entrambi i Dumas, Flaubert, Hobbes, Hugo, Hume, Kant, Locke, Marx, Montaigne, Montesquieu, Rousseau. Tra gli italiani: Dante, Boccaccio, Petrarca, Ariosto, Alfieri, Beccaria, Bruno, Croce, D'Annunzio, Fogazzaro, Foscolo, Galilei, Gentile, Leopardi, Machiavelli, Papa Pio II (l'Infallibilità è del 1870), Savonarola. Poiché le parolacce conferiscono maggior sapore alle frasi rispetto all'edulcorate parole, pongo la seguente domanda retorica: "e che cazzo volevano che leggessimo?". Caro Paolo, ribadisco il concetto: il Cristianesimo è, tra le religioni, una Ferrari ... su tanti argomenti lo è, ma a volte pare la guidi un cieco. L'altra volta si diceva della pace, oggi di quella cultura che nel tuo scritto dipingevi come un lascito della Chiesa mediante gli amanuensi. Se non erro parlavi della cultura classica, tra le altre cose, per la quale conoscenza ritieni avremmo dovuto ringraziare l'ordine in questione. Beh, giusti i ringraziamenti, ma in realtà sono stati gli arabi a salvaguardare l'integrità della cultura madre greca, le Crociate - la guerre sante e giuste - hanno fatto il resto: quegli eccidi, che non sono serviti a conquistare la Città Santa, ci hanno quantomeno reso edotti del fatto che la civiltà dei selvaggi arabi era in realtà superiore alla nostra, non solo per la matematica e i relativi numeri. Quelli sopra elencati sono i vari mattoni che la Chiesa ha utilizzato per erigere un muro tra sé e i fedeli, motivo per cui in quel mio scritto parlavo di "addetti ai lavori" (se consideriamo pure la messa in latino, viene il sospetto che il richiamo all'immagine dei fedeli come gregge di pecore non sia propriamente una metafora). Chiudo brevemente. Fino al Concilio la nostra letteratura ha rappresentato l'ulteriore anello di una catena che da Omero, passando per Virgilio, è giunta sino a Dante e Petrarca ... poi la catena si è spezzata. Da allora un lento e costante declino, che dalla letteratura/filosofia si è estesa a tutte le arti, ci ha reso una civiltà che conserva barlumi di speranza - vana per antonomasia - per il futuro solo grazie alla testimonianza di quel che un tempo siamo stati, e guardiamo alle opere del '500 e del '600 - Bernini Michelangelo Raffaello Leonardo Caravaggio Brunelleschi - soggiogati dalla potenza espressiva di un'arte che non siamo stati più capaci non solo di alimentare, quanto neppure di conservare. Per molti secoli il faro della civiltà, da qualche secolo siamo la provincia dell'Impero che, se davvero esistesse, non mancherebbe di fare del nostro Paese un unico museo itinerante ... della Svizzera e del Belgio, invece, due comode aree di parcheggio. PS: quale testimonianza di come la letteratura riesca ad evocare ragioni meglio di mille spiegazioni si potrebbe leggere "Il nome della rosa" di Eco. Per i più pigri c'è il film, che comunque con più efficacia del sottoscritto restituisce il sentimento di avversione che per lungo tempo la Chiesa ha nutrito avverso i libri giudicati non ortodossi. Le critiche alla Chiesa, meglio precisarlo, sono indirizzate all'amministrazione che gli uomini apprestano per la religione, le cui sorti sono nelle nostre mani. E infatti mai come oggi il confidare su un uomo, che si fa chiamare Francesco, ci consente di auspicare buone novelle ... guidato da Dio, si dirà ... certo, come tutti gli uomini, tra cui c'è inevitabilmente chi si dimostra vettura buona e chi meno.


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