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Solitudini d'autoreGuglionesi
Pubblicato in data 20/5/2014 ● Click 1319

Tra economia e cultura (l'Arte di produrre Arte)


Redazione FPW © FUORI PORTA WEB

Le relazioni tra economia e cultura sono espresse nella Convenzione Unesco, 2007, al fine di favorire la protezione e la promozione della diversità di espressioni culturali. L’articolo 2, sancisce il principio della complementarietà, nonché della funzionalità reciproca tra gli aspetti economici e culturali dello sviluppo di un paese, evidenziando come sia sostanzialmente «mozzato» un qualsiasi approccio alla conoscenza che non parta dall’assunto che non può prodursi sviluppo economico senza sviluppo culturale e viceversa.
Eppure, nell’interazione tra economia e cultura prevale ancora troppo spesso un approccio teorico da parte degli economisti, che pur riconoscendo l’esistenza di questo rapporto, spesso, ne danno una lettura piuttosto «miope» non riuscendo a definire le influenze che la cultura esercita nel sistema economico di una nazione. La giustificazione risiede spesso nella «pretestuosa» mancanza di dati e di indicatori necessari all’interpretazione, valutazione e misurazione dell’ impatto che la cultura genera sul sistema economico. Un ramo della teoria economica ancora poco sviluppato, poiché comporta uno spostamento dall’asse econo-centrica della visione globale ancora in larga misura prevalente.
Ciò nonostante l’imprescindibilità del rapporto tra economia e cultura è crescente e a dimostrarlo sono, per esempio, i mutamenti in atto nei paesi emergenti che hanno sostenuto il principio dello sviluppo, pur sempre basato sulle moderne teorie economiche occidentali (competitività, innovazione tecnologica, elevati investimenti, orientamento all’esportazione, specializzazione delle risorse umane, ecc), riconoscendo però il valore del radicamento culturale locale e conservatore delle identità territoriali (fede, valore della famiglia, rispetto della disciplina e dell’autorità, etica del lavoro, riconoscimento del valore della creatività e della produzione culturale, innovazione e coesione sociale). Il successo di questi paesi è ormai un dato di fatto, collocandosi questi ai vertici della scala economica globale, sconfessando così lo scetticismo di alcuni economisti sul reale apporto dei fattori culturali.

[...] Il terzo Rapporto Symbola, autori Fondazione Symbola e Unioncamere, è una fotografia sull’industria culturale italiana che racconta di un’economia italiana che per il 54% poggia sul 458mila imprese e quasi un milione e 400mila addetti tra industrie creative, culturali, patrimonio storico-artistico e arti visive cui si affianca il sistema culturale della Pa e il non profit di associazioni e fondazioni. Il valore del rapporto sta nella capacità di mettere a sistema un numero elevato di dati sul tema dell’industria culturale e creativa, valorizzando il patrimonio informativo di dati Unioncamere. I focus particolarmente interessanti sono quello sul turismo in relazione alla capacità di attivazione che le industrie culturali producono sulla spesa turistica, quello sulla formazione nel management culturale che ha approfondito in particolare le relazioni tra il sistema formativo e il mercato delle professioni, declinando il concetto di competenza afferente alla figura del manager culturale. Infine, una nuova elaborazione che riguarda il calcolo del moltiplicatore della cultura, che quantifica il prodotto generato a partire da un valore di produzione rilevato nel perimetro delle attività del sistema produttivo culturale. Insieme al Rapporto merita di essere citato anche un altro volume, I.T.A.L.I.A, geografie del made in Italy, scaricabile anch’esso nella homepage del sito di Fondazione Symbola che introduce ad un’altra discussione: se, in tempo di crisi, a «governare» è il capitalismo della conoscenza e delle reti, «l’X-factor» nella produzione di valore dipenderà sempre più dalla capacità delle imprese di produrre, in modo condiviso ed etico quei beni comuni dell'identità, del paesaggio, della coesione sociale, della sostenibilità che alimentano la distintività del made in Italy sui mercati globali. Questo volume traccia attraverso un interessante storytelling le prime proteine di un nuovo DNA, espressione della contemporaneità in cui cultura e manifattura si innestino reciprocamente, affinché l’economia della cultura possa produrre quei moltiplicatori del valore che soli gli consentono di fungere da volano anche per il resto del sistema produttivo.

[...] Civita ha pubblicato un rapporto intitolato l’Arte di produrre Arte. Imprese culturali a lavoro. Il volume curato da Pietro Antonio Valentino, edito da Marsilio, è stato anch’esso realizzato dal Centro Studi «G. Imperatori» dell’Associazione Civita con il contributo della Fondazione Roma Arte-Musei e della Provincia di Roma. Esso descrive il quadro delle attività economiche legate alla produzione o all’uso della cultura e della creatività in Italia. Anche in questo caso centrale è il tema della misurazione (dimensione delle imprese CC e impatti economici che generano anche a confronto con gli altri Paesi europei). Una fotografia esauriente di debolezze e potenzialità esplorate del settore in Italia, in confronto con gli altri Paesi europei: parola d’ordine l’innovazione. La pubblicazione è strutturata in due parti: una prima, in cui si dà conto di ruolo e dinamiche dell’Industria Culturale e Creativa (ICC); una seconda, dove vengono analizzate le caratteristiche della domanda museale in Italia, con particolare attenzione ai «non visitatori», e stimati gli impatti economici più rilevanti associati alle mostre.

[...] Nel rapporto che lega economia e cultura un tema emergente è poi quello dell’innovazione sociale a base culturale. Darne una definizione precisa è difficile e probabilmente fuorviante perché agendo su un territorio vasto quale quello dell'Europa e dei suoi vicini, l’innovazione sociale coincide più con un modo di pensare emergente fondato su un’attiva partecipazione della società, dei cittadini. Quindi richiede al cittadino di non essere semplicemente consumatore, ma di partecipare allo sviluppo e all’implementazione, oltre che alla definizione iniziale del problema da risolvere [...].

[...] Il contributo parte da una costatazione: il mondo culturale nonprofit si regge economicamente, per la maggior parte, su trasferimenti, il 90% di questi sono pubblici, ma il loro ammontare è sceso in modo permanente. I trasferimenti europei, dalle fondazioni, da liberalità e sponsorizzazioni non possono compensare questa caduta. Quindi, il mondo culturale deve pensare a come vivere in questo nuovo «equilibrio». La soluzione salvifica non esiste, è invece opportuno perseguirne molte assieme: aumentare le entrate «di mercato» (bigliettazione, attività collaterali), aumentare il ricorso ai volontari, ridurre in generale i costi, al limite fondere organizzazioni e comunque inserirsi in reti, professionalizzare il management, intensificare la raccolta fondi, sfruttare il patrimonio esistente di proprietà o comunque accessibile («federalismo demaniale»), ricorrere alla finanza esterna di debito, se possibile di capitale, e di progetto (project financing anche all’interno di partnership pubblico-privato). In sintesi, per sopravvivere, le organizzazioni del mondo culturale devono accentuare la propria anima di impresa, al di là che la forma giuridica prescelta sia for-profit o rimanga associativa, cooperativa, fondazionale o perfino pubblica. Il settore pubblico deve esercitare una funzione di facilitazione, all’interno di tavoli e partnership con il privato incluso il nonprofit. Sul versante patrimoniale, la fonte finanziaria principale delle organizzazioni culturali è oggi il debito, soprattutto bancario (forse €900 mln di affidamenti al nonprofit culturale). Gli spazi di miglioramento della relazione fra organizzazioni culturali e banche sono, però, ancora ampi. Intanto la qualità della relazione, testimoniata da una ricerca ad hoc della «Sapienza»,, è bassa e inferiore a quella media del nonprofit; va sviluppata una metodologia di analisi specifica del merito di credito nel settore culturale; si può approfondire il ruolo dei fondi di garanzia, a partire dalla creazione di facility a valere sui €210 mln già destinati nell’ambito di Europa Creativa. Infine, si può sviluppare il debito raccolto dal pubblico generale (crowdfunding in versione social lending), anche attraverso piattaforme innovative come Terzo Valore.

Giorgia Turchetto (Direttore Master Digital Heritage Università La Sapienza) | L'imprescindibilità del rapporto tra economia e cultura


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