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CulturaGuglionesi
Pubblicato in data 28/2/2014 ● Click 1552

Due modi di leggere la società: la distinzione destra/sinistra (Renzi rilegge Bobbio)


Pietro Di Tomaso © FUORI PORTA WEB

Vent’anni dopo l’uscita del saggio ‘Destra e sinistra’ di Norberto Bobbio, l’editore Donzelli ripubblica una nuova edizione con una introduzione di Massimo L. Salvadori e due commenti, uno di Daniel Cohn-Bendit e uno di Matteo Renzi. Scrive la politologa Nadia Urbinati che tale edizione <<ci offre l’opportunità di conoscere meglio il nuovo Presidente del consiglio e segretario del Pd, di comprendere le sue coordinate ideali e culturali, le sue aspirazioni politiche. Questo suo intervento è a tutti gli effetti un Manifesto del partito democratico come egli lo vuole. Sono due i paradigmi centrali che fanno da architrave della sinistra renziana: la revisione a trecentosessanta gradi della filosofia dell’eguaglianza sulla quale Bobbio aveva costruito la dicotomia e, in conseguenza di ciò, la ridefinizione della coppia destra/sinistra. La revisione di Renzi in un caso va tuttavia valutata non per il rigore della ricostruzione storica, ma per il messaggio che propone. Destra e sinistra, scrive Renzi, non sono più coincidenti con la libertà individualista in un caso e la libertà che riposa su premesse di eguaglianza nell’altro. Questa dicotomia bobbiana, spiega, apparteneva a un mondo in cui le menti e le idee si situavano in blocchi e classi. Oggi c’è più complessità e quelle due grandi idee, messe in quella relazione, non servono a orientarci né nel giudizio né nella scelta. (…) Oggi il liberismo è nelle cose, non più solo un’ideologia. La nuova sinistra deve ripartire di qui, da quel che c’è per andare avanti: e quel che c’è è appunto il lascito liberista dal quale non si può prescindere. Ecco perché la dicotomia di Bobbio è passé. (…) La diade di cui la nuova sinistra sembra aver bisogno è più marcatamente liberale di quella bobbiana e attenuata dalla solidarietà morale cristiana>>. Insomma, come sottolinea Nadia Urbinati, << si ripropongono in questo manifesto le distinzioni tra due modi di leggere la società e quindi la distinzione destra/sinistra. Gli “ultimi”, una categoria che non appartiene né alla sinistra né alla politica, ed è morale ed evangelica, hanno bisogno di essere spinti in alto. Gli “ultimi” non sono come gli “umili” manzoniani, però, perché individualisti che vogliono sbloccare le relazioni e farsi strada nel mondo. In questa lotta la sinistra ha un compito solo: quello di non perdere il “contatto con gli ultimi”. La solidarietà giunge quando gli individui cadono. Qui sta la sinistra, più che a preparare le condizioni affinché la loro lotta sia condotta su un piede di parità e il merito sia meritato. Anche un liberalsocialista accetta l’individualismo dell’intraprendenza e anche la rivoluzione dell’89 era nata per dare alla persona singola il potere di fare responsabilmente la sua strada. Però, nonostante questa similitudine, le soluzioni restano diverse: poiché in un caso, le forze su cui contare sono politiche e sociali, nell’altro caso sono morali e soggettive, come per esempio “l’ambizione”. Renzi inserisce qui la prospettiva del merito. E’ una prospettiva di riuscita che non fa centro sull’eguaglianza delle opportunità ma su una base di energia personale in una lotta quasi darwiniana per salire su, per non essere ‘ultimi’, per vincere. (…) In questo scenario dove le categorie interpretative sono morali piuttosto che sociali, l’eguaglianza sembra obsoleta – e non serve neppure per comprendere i nuovi movimenti xenofobi e populisti, scrive Renzi. Eppure, questi movimenti sono il frutto di una lettura identitaria dell’eguaglianza, sono anzi la miglior prova di quanto bisogno ci sia di tenere insieme eguaglianza e libertà, stato sociale e diritti individuali. In questa cornice, anche il merito trova la sua collocazione, perché se dissociato dall’eguaglianza delle opportunità (che il mercato non crea spontaneamente) esso diventa un passaporto per l’affermazione di chi si trova già in condizioni di vantaggio. Renzi si richiama ai democratici americani, i quali non potrebbero proprio distinguersi dai repubblicani se non mettessero a loro fondamento non solo la Costituzione ma prima ancora la Dichiarazione di Indipendenza, una dichiarazione di eguaglianza nella libertà. Liberalsocialisti come Bobbio e Amartya Sen, che Renzi menziona, non avrebbero dubbi a trovare qui le sorgenti non rinsecchite di una società democratica giusta. Ecco perché per un democratico senza l’accoppiamento con l’eguaglianza, il merito (e la stessa libertà) non è una condizione di giustizia; mentre per un liberale il merito come riuscita individuale senz’altra considerazione lo è. Ancora qui passa oggi la differenza tra destra e sinistra, tra Sen e Bobbio da un lato e Hayek e Nozick dall’altro>>. Personalmente, mi riconosco nell’analisi di Nadia Urbinati. L’eguaglianza delle opportunità o delle capacità fondamentali è un termine del lessico della teoria democratica di “auto sviluppo e autonomia personale”. Avendo Renzi menzionato anche Amartya Sen, filosofo ed economista, mi piace qui far notare che il professore non vuole che nei suoi scritti si prenda per caritatevole quel che è razionale. Esplicita è la sua presa di posizione quando sollecita a guardare alla povertà come deprivazione delle diverse dimensioni che costituiscono la vita umana e quando solleva, in prospettiva, il problema dell’affermazione dei diritti umani sia sotto il profilo civile e politico sia sotto quello sociale ed economico perché questo significa mettere ciascuno nella possibilità di praticarli. Nella sua opera (L’idea di Giustizia, editore Mondadori) l’analisi della giustizia deve tener conto delle condizioni di vita delle persone. La condizione di un individuo, in termini di opportunità, è giudicata inferiore a quella di un altro se egli ha meno possibilità reali (“capability”) di realizzare quello cui attribuisce valore, e meno libertà di usare i propri beni per scegliere un modo di vita. L’approccio basato sulle ‘capacità’ permette di guardare alle possibilità reali che gli individui hanno, evitando che le libertà formali – che pure hanno un’importanza fondamentale – si trasformino in una beffa. Entro tali coordinate è possibile rimodulare la tensione tra individuo e collettività, ampliando il discorso individualistico dei diritti ad una dimensione sociale e quindi mettere a fuoco anche la correlazione tra diritti e doveri, tra poteri dell’essere umano e suoi limiti.
Il filosofo Salvatore Veca, sulla base della priorità della difesa delle libertà fondamentali delle persone, interpreta il concetto di eguaglianza nel solo modo a essa compatibile, come eguaglianza delle opportunità. La quale, a sua volta, coerentemente con le posizioni di fondo del socialismo liberale, deve caratterizzare l’agenda politica delle forze progressiste per “mirare a rendere eguale o meno diseguale il valore che la libertà ha per le persone”.
“In Italia il Movimento 5 Stelle non perde occasione per sottolineare di essere oltre la destra e la sinistra. Questo perché l’approccio dell’antipolitica <<ha determinato – scrive Carlo Galli in ‘Sinistra’ – la sconfitta dell’intero sistema politico, sostituito da una politica che non ha mai assunto al proprio centro il tema della Parte, ma che ha riproposto, in modo ideologico, l’idea della società come unità, come Tutto, e che pertanto ha trasformato l’avversario parziale in nemico totale, da escludere>>. Un tutto ideologico, quello dell’anti-politica e dei populismi, che quindi mal si concilia con l’idea di una politica delle Parti che è necessaria alla sussistenza della dicotomia destra/sinistra” (così Gianluca Galotta, rivista Reset – dossier n. 148).
Infine, l’opinione di Gianni Cuperlo: <<Non funziona dire che la diade eguaglianza/diseguaglianza può essere scalzata dalla coppia vecchio/nuovo o lento/rapido. (…) Il mio problema, a due mesi dal Congresso, non è chi guida il partito ma che partito abbiamo in mente. Tutto questo nella cornice di una crisi che ha travolto il ceto medio, infragilito la percezione della democrazia, restituito l’Europa ai suoi fantasmi novecenteschi. L’insieme di queste cose non lo racchiudi in un programma, fosse pure di legislatura, ma deve rifondare l’economia e la politica. La domanda è quale ciclo storico si aprirà dopo la peggiore crisi dell’ultimo secolo… >> (cfr. La Repubblica, 26 febbraio).


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