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CulturaGuglionesi
Pubblicato in data 10/8/2013 ● Click 1636

Luoghi comuni


Mario Vaccaro © FUORI PORTA WEB

Nel mio personale mo(n)do di vedere le cose, mi piace immaginare il cd. “luogo comune” quale quel sito virtuale in cui gli interlocutori, che lo evocano nel corso d’un dialogo, s’incontrano … una sorta di terreno comune, un’oasi nella quale sostare nell’ambito d’un confronto dialettico in itinere.
Sebbene invisi agli amanti della retorica “in purezza”, i luoghi comuni assolvono ad un’insostituibile funzione a cui spesso gli oratori attingono, per mettere a proprio agio gli uditori e accattivarsene le simpatie (non è a tale scopo che B. racconta le sue orrende barzellette?).
Quand’anche gli interlocutori si sfidassero in un dialogo a singolar tenzone, basterebbe pronunciare un fatidico “non esistono più le mezze stagioni” per ritrovarsi proiettati in un ambiente simile al dopolavoro, a sgranocchiare tarallucci davanti ad un buon bicchiere di vino.
Un momento d’aggregazione dialettica … già, povera aggregazione, sempre più di rado la si vede in giro.

Alle spalle dell’appena citato principe dei luoghi comuni, a seguire in graduatoria c’è – tra i tanti - un gettonatissimo “non ci sono più valori”: in questo posto, tuttavia, non mi trovo a mio agio.
D’altronde chissà quante volte ho visto ‘sti valori esibiti da mio padre – che, tanto per dirne una, tributata l’onorificenza a firma di Pertini, mai ha sfoggiato e apposto il “cav” davanti al suo nome (che presagisse l’investitura dei vari Perna e B.?): possibile che siano evaporati in così breve tempo?
Sinceramente non credo possano sparire cose di cui conserviamo memoria d’uomo.
Penso invece che nel nostro confuso mondo – una società con poche idee e per niente chiare – anche i valori siano confusi nel mucchio, tra tanti pseudo-valori o comunque roba di secondaria importanza.
Il mio parere, insomma, è che la relativa scala sia sballata e a quei valori una volta ritenuti fondanti una società non venga tributata l’emerita priorità.
Negli sketch di Crozza/Briatore ricorre un tormentone che sul tema la dice lunga: dopo aver appurato che un concorrente del suo reality ha condotto la sera prima la nonna in ospedale, il manager bresciano lo rimprovera poiché nella scala dei valori la nonna in ospedale sta al 160° posto, tra il marsupio Gucci e lo stappare un Krug con la sciabola (e se la nonna ha più di 90 anni si scala di altri 20 posti).

Ad esempio la pietas, arcipelago di sentimenti presente nel nostro animo e di cui Virgilio - i grandi poeti fanno anche questo - ci rivela l’esistenza, non s’è dissolta.
La celebre casalinga di Vigevano la evoca quotidianamente, nel corso d’un rito officiato alla consueta ora dalla Venier o dalla De Filippi, e versa la lacrimuccia a (tele)comando dopo aver ascoltato le traversie della vita di un perfetto sconosciuto, magari un figurante … questa sì che è modernità/comodità, altro che Enea che porta il suo vecchio genitore Anchise in braccio … la signora ce l’ha in ospizio (ops, casa di riposo) la madre, e per questa niente lacrime, nessuna pietà.
Sentimenti da consumo, prodotti consoni all’agio e al benessere contemporanei: la morte e la malattia infatti, con la loro imprevedibilità, sono il retaggio d’un mondo primitivo … ma non siamo più dei bruti, dunque non si può improvvisare, occorrendo invece un minimo di organizzazione.

Sempre in tema di esempi, reputo che anche animalisti/ecologisti non abbiano ben chiare le priorità dei veri problemi da affrontare nell’epoca in cui stiamo vivendo: da un lato vi sono ancora milioni di uomini che non godono di diritti umani e/o civili o che comunque non vivono una vita dignitosa (anche nella propria comunità), ma la moderna sensibilità esige che ci si premuri degli animali; dall’altro pulci arroganti credono di poter dare consigli sullo stile di vita al cane che li porta a spasso … un pianeta che ha 2 miliardi di anni un bel giorno scorreggerà e ci farà fuori tutti, plastica compresa (anzi no, quella rimarrà a testimonianza del nostro passaggio … chè le razze si estinguono, è un fatto naturale, e il panda o il fratino e noi stessi dovremmo farcene una ragione).
Ovviamente ai volontari – che dedicano tempo e impegno - tributo il massimo rispetto, essendo il vero problema gli Al Gore e chiunque genera falsi allarmismi (si vedano le ultime emergenze sanitarie pilotate ed infondate) e stabilisce false priorità, sviando la nostra attenzione, che andrebbe invece focalizzata sui deretani che meritano d’esser presi a calci: dal “dividi” il potere si è evoluto verso un “distrai et impera”.

Eppure i valori da seguire, come i problemi da risolvere, sono grosso modo gli stessi, da sempre. Così la nostra attenzione va rivolta nei confronti dei consueti pericoli: occorre vigilare affinchè i primi non vengano calpestati e i secondi risolti anziché aggravati. L’opera di vigilanza va paradossalmente diretta verso coloro che dichiarano d’agire nel perseguimento di tali nostri interessi.
A tal riguardo la vicenda della Lega è esemplare: denunciare il contegno della politica e fare della “questione morale” un cavallo di battaglia per poi porre in essere gli stessi deplorevoli comportamenti … sostituendo il poi con un prima si ottiene una proposizione che mi regala l’impressione di respirare aria di casa.

La mia consueta curva larga termina qui, di fronte all’eccidio dei volatili, che nelle gabbie in realtà perdono gran parte di tale divino privilegio dequalificandosi in generici pennuti: morti gli uccelli, w gli uccelli!
Il luogo in cui è avvenuto il “pasticciaccio brutto” lo chiamavamo il “boschetto” … uso l’imperfetto perché un nome è l’attestato d’esistenza d’una cosa. Quand’era in vita era un luogo comune – stavolta non figurato ma reale - d’aggregazione, per gli innamorati che “non ci sono per nessuno” e per giovani che officiavano un qualche rito – lecito - confrontandosi, conoscendosi meglio, dunque arricchendosi.
Dopo un’opera di terrazzamento e appositamente panchinato, quel luogo era diventato per molti un appuntamento quotidiano, un’oasi fisica e spirituale, poi un bel … ops … brutto giorno, evaporò … anzi sublimò.
Quanti bei discorsi sono stati di recente proferiti sul territorio quale bene comune, ma nessuno degli attuali paladini all’epoca levò parole di denuncia per uno spazio verde che diventava meno verde e meno pubblico – aggravando una già sussistente latitanza di giardini – che un’amministrazione ecchetelodicoafare e nonimportaquale all’epoca destinò ad altro uso, nel perseguimento di chissà quale interesse pubblico preponderante rispetto a quello precedentemente asservito.
Che si volesse tener vivo il primato di paese delle 39 chiese documentato da Rocchia (se non ricordo male), mutuando il contesto aggregativo? D’altronde su un altro bar non si sputa mai.


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