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CulturaGuglionesi
Pubblicato in data 4/6/2013 ● Click 1676

La politica: impegno o in pegno?


Mario Vaccaro © FUORI PORTA WEB

La politica, nella sintesi che ho tentato di operare mediante l’utilizzo di questa sorta di formula amletica, è una scelta di vita che - nei panni di colui che l’intraprende - può essere motivata, quanto a bontà di ispirazione, da intenti di matrice diametralmente opposta.
Ciascuno di noi avrà più volte inteso parlare del “fare politica” in termini simil-religiosi. Il carattere “mistico” emerge dai riferimenti a percorsi personali intrapresi al fine di perseguire scopi che trascendono qualsiasi risvolto di carattere materiale. In palese analogia con la fede religiosa, taluni parlano del loro impegno politico in termini di vocazione (che l’uso dell’anglesismo “mission” vada inteso quale evocazione della trascendenza dei loro scopi?): resta però il mistero su chi sia l’autore della chiamata.

E davvero c’entra la fede – buona o “mala” – quale elemento sulla cui base operare la netta separazione, semplicistica e convenzionale nella formula da me proposta, tra i due differenti modi del politico di “spendere” il consenso ricevuto dagli elettori: dalla buona fede assoluta di colui che si mette a nostro servizio in risposta ad una chiamata ad opera di non precisate entità superiori (si va dal richiamo ad un generico senso del dovere a riferimenti circa un preteso assolvimento di virtù civiche) si passa direttamente all’estremo polo negativo, rappresentato da coloro che non usano il consenso ricevuto come spinta motivazionale per adempiere il loro ministero nell’interesse degli elettori, spendendolo invece come garanzia per esercitare a fini personali una fetta di potere proporzionale all’entità del consenso stesso.
Questa visione – ripeto – è senz’altro d’impronta manichea. E tuttavia, se nella realtà non vi sono “unti dal Signore” né politici in cui la malafede è assoluta, affermare che vi sia una predominanza dei caratteri che contraddistinguono tale seconda tipologia non è da qualunquisti, significa solo essere realisti.

Nella visione di de Coubertin c’è, a parer mio, un sostrato di realtà con infarcitura di retorica. Ma a voler utilizzare tutta la retorica di ‘sto mondo, in politica è importante solo vincere perché vincere fa importanti: al di là delle dichiarazioni di prammatica, spesso le opposizioni – con l’alibi dell’impossibilità di poter incidere in concreto nell’amministrazione – si dimenticano di aver comunque ricevuto tanti attestati di fiducia … e i loro elettori sembrano aver perso una scommessa. E’ quel che avviene in particolar modo nelle comunali. In queste recenti, poi, c’è l’ulteriore peculiarità dell’aver addossato la responsabilità per la sconfitta interamente sul capo del candidato sindaco. Se ciò risponde ad un giusto criterio di gerarchia delle responsabilità – oltre ai particolari aspetti d’una candidatura da alcuni ritenuta “forzata” – ho l’impressione che si stia calcando un po’ troppo la mano su Bellocchio. La componente passionale della politica toglie lucidità, quindi serenità di giudizio quando ci si avventura nelle relative analisi (col senno di poi credo d’avere forse io stesso esagerato nei toni): in questo momento i “te l’avevo detto”, pur necessari ad una genuina ricostruzione dei fatti, potrebbero risultare un’inutile accentuazione, togliendo serenità ad un clima che – stabiliti i rispettivi ruoli di vincitori e vinti – si spera torni al più presto consono a quello di un dopoguerra, un clima da “ricostruzione”.

Tornando al tema principale, noi cittadini dovremmo attivarci per evitare potenziali manipolazioni del nostro consenso da parte di politici in malafede, soprattutto quando l’istituzione è distante e il contatto con gli amministratori è virtuale (riducendosi al teatrino della politica-spettacolo di cui Vespa è supremo officiatore). Spesso siamo talmente concentrati sull’obiettivo - criticare la politica e i suoi attori - da perdere di vista che siamo stati relegati al ruolo di spettatori passivi anche a causa del nostro contegno. Se indirizzassimo il nostro sguardo in modo tale da abbracciare il fenomeno della politica nella sua interezza - riuscissimo insomma a conseguire la cd. “visione d’insieme” - ci accorgeremmo della nostra latitanza, dell’assenza di coloro che dovrebbero essere i veri protagonisti.
Questo sentimento di rifiuto della politica è sì causato dal deprecabile contegno dei suoi attori principali, ma in questa sorta di letargo siamo caduti scientemente … è la reazione che la società civile ha scelto di porre in essere per esternare il proprio dissenso: l’indifferenza. In questi anni abbiamo assistito allo sfascio del mondo politico e, quale manifestazione di dissenso, non abbiamo saputo far altro che chiuderci a riccio … risultato: stesso PdR e governo PD-PDL.

Questo significa che la cultura politica di questo Paese (impariamo a riconoscere le vere cause dei mali che ne costituiscono solo i relativi effetti) non è al livello della democrazia che vorremmo: un popolo sovrano deve avere le qualità per meritare tale regale condizione.
Innanzitutto occorre comprendere che la politica non tollera la contumacia: mondo civile e mondo politico sono strettamente imparentati (nutrire dissapori può portare a decisioni estreme, ma il vincolo di sangue rimane), sono vasi comunicanti. Essere cittadino è status con implicazioni politiche: è impossibile non avere opinioni su qualcuno tra i tanti aspetti della propria esistenza che subiscono l’influenza del mondo politico.
Legge elettorale, forma di governo, istituti di democrazia diretta … argomenti importanti, da coltivare, ma sono un falso problema. Anche trascurando le opportunità che senz’altro deriverebbero da buone regole stabilite per essi, c’è una componente della democrazia a cui fornire la necessaria forza per risultare determinante nelle scelte operate dagli amministratori, per formare il cd. indirizzo politico: l’opinione pubblica.

Latitare, mostrarci indifferenti, è atteggiamento sterile. Il nostro disimpegno dal ruolo di cittadini, nella veste implicita di soggetti politici, la nostra passività, è contegno di cui si nutre la politica malsana, su di essa prospera alimentando le opportunità di parassitaggio.
Il Paradiso in Terra che la cattiva politica sogna è un Paese che regala la più ampia discrezionalità d’azione, la quasi totale assenza di vincoli per poter fare impunemente quel cazzo che gli pare. Ciò significa consentire che l’opinione pubblica – ovvero il pensiero, il giudizio del popolo sovrano su una data questione – sia edificata ad hoc da giornalisti, opinionisti al soldo del potere … il ritratto del nostro Paese insomma.
Rispondere alla cattiva politica fregandosene significa contribuire ad alimentarla.
Coltivare (ndr: è la radice di cultura) un forte impegno civile/sociale si traduce nell’assegnare precisi paletti entro cui ridurre lo spazio di manovra della politica attiva. La società civile deve formulare a voce alta quel che desidera, affinchè le relative istanze vengano recepite nell’indirizzo politico del governo.

E questa, beninteso, è una critica che parte proprio dall’osservazione di me stesso, di quel che in questi anni avrei potuto fare e non ho fatto, dire/denunciare e non ho detto.
D’altronde c’è voluto un giovanotto francese di 96 anni, Stéphane Hessel (morto a febbraio), con un suo pamphlet divenuto famoso, per denunciare il nostro immobilismo e esortarci a manifestare attivamente la nostra indignazione … “Indignez-vous!”. Egli ha vissuto sulla sua pelle le nefaste conseguenze di regimi politici edificati da mostri che la nostra indifferenza ha partorito: allora Italia e Germania preferirono una soluzione comoda per reagire a malumore e insoddisfazione serpeggianti, e scelsero di cavarsi dall’impaccio mettendosi nelle mani dei salvatori della patria, restando a guardare dalla finestra.
Io voglio pensare – si fa per scherzare - che la nostra scelta di stare a guardare sia frutto della pura curiosità intellettuale: è da quando la politica ha imboccato la via della decadenza che continuiamo a ripeterci – alla Totò/Pasquale – “chissà questi dove vogliono arrivare?”.
Il nonnetto francese – che nient’affatto gli andava di scherzare – ci invitava a riempire le piazze per far sentire il peso di milioni di cervelli … pensanti.


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