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CulturaGuglionesi
Pubblicato in data 16/5/2013 ● Click 1673

Realtà, verità e finzione


Mario Vaccaro © FUORI PORTA WEB

Siamo portati, d’acchitto, a credere che realtà e verità siano concetti che vadano a braccetto tra loro. Da sempre, invece, la vita in società – in particolar modo quella contemporanea, in cui la parvenza, l’abito di un fatto/comportamento, assume un valore di gran lunga maggiore rispetto al contenuto – è un continuo altalenarsi tra i due antitetismi (tali solo nel nostro intelletto, esistendo la finzione solo come scoperta che la realtà non è sempre come ce la rappresentiamo).
Un autore in particolare ha vagliato questo tema più volte nelle sue opere, e in maniera magistrale: Luigi Pirandello. E in tutti i suoi aspetti, giacchè su più versanti la realtà sfugge di mano al nostro intelletto. L’inafferrabilità si ravvisa già al solo confronto tra la valutazione soggettiva di se stessi e quella del mondo esterno: per quanti sforzi si facciano al fine di farle combaciare, l’idea che si ha di se stessi non coincide mai con quella che oggettivamente gli altri si fanno di te … un tantino frustrante, vero?

Ciò è tuttavia anche conseguenza d’un ulteriore aspetto della scollatura che viene a crearsi, nella vita sociale, tra realtà e verità. Nel “Berretto a sonagli” (messo in scena anche da De Filippo, che diede risalto maggiore alla figura del protagonista) Ciampa, fatto cornuto dal proprio principale, spiega alla moglie del fedigrafo che siamo usi comportarci come pupi in società, potendo indossare più maschere a seconda dell’esigenza (“persona” deriva dall’etrusco: in tale idioma indicava la maschera del personaggio teatrale).
Normalmente carichiamo il nostro cervello, a mò di orologio, mediante la corda civile: è quella che ci consente, quando ad esempio incontriamo il potente … persona magari spregevole … di fargli gli ossequi e tributargli la nostra stima. C’è poi quella “seria”, con cui si dà la corda al cervello prima di dire – a qualcuno che chiameremo in disparte - la propria verità, fargli un cd. discorsetto; la “pazza”, invece, la si usa per spiattellare la verità in faccia a tutti … perché, diciamocelo francamente, a permettersi questo lusso nella nostra società sono solo i pazzi.

Uscendo dall’ambito di questa sorta di “filosofia esistenziale”, a me interessa ancor più mettere in evidenza la discrasia che tra i due concetti sussiste a livello d’informazione. Per non dilungarmi – ergo appesantire il discorso – procedo subito con un esempio che mi è caro, essendo relativo ad una vicenda che, da guglionesano, mi ha sempre interessato molto. Di nuovo un grande letterato siciliano, Leonardo Sciascia (ringrazio l’amico Cantalupo per avermi prestato il libro), ne “L’affaire Moro” ci fornisce un esempio di come rappresentazione della realtà e verità possano non coincidere, senza per questo ricorrere alla bugia. L’informazione sa come porgere una notizia, mediante l’uso sapiente di parole e/o immagini o l’omissione di esse (il termine “disinformazione” indica appunto la volontà di fuorviarci manipolando l’informazione). Per descrivere la vicenda dell’infruttuosità della ricerca di Moro, si potrebbe scegliere la locuzione “non è stato trovato”. Questa frase descrive sì la realtà (che si potrebbe definire “cruda” nel senso di asciutta; nel detto “se ne dicono di cotte e di crude” si svela la seguente pratica: le notizie vengono “cucinate”, elaborate), ma non ci informa della verità, ovvero: “non l’hanno voluto trovare”.

Perché questo saggio “fai da te” sull’endiadi realtà-verità? Solo per ridimensionare il nostro ego. Chi avesse un’alta considerazione di sé è giusto che sappia – qualora non se ne fosse reso conto da solo – che oltre al sistema economico/politico anche quello dell’informazione (il più delle volte al servizio del sistema) ci prende per il culo, oltre ad amici-parenti-conoscenti. Insomma il nostro culo è –metaforicamente, s’intende – oggetto d’attenzioni da ogni dove provenienti. Ovviamente – e il lettore arguto sa dove sarei andato a parare – è la cultura che ci permette di prendere coscienza di ciò e disattendere gli altrui insani propositi. Una precisazione è d’uopo farla, non vorrei essere frainteso su questo punto: per cultura non intendo quella sbandierata dalla sinistra radical-chic, da evve moscia e dentino fuori. E’ a quella antropologicamente intesa che mi riferisco, dunque non alla produzione di manufatti artistici/culturali e alla relativa conoscenza “specialistica”: la cultura che è importante frequentare non è quella “alta”, ma quella che serve all’uomo d’un dato tempo per vivere con consapevolezza la propria esistenza, con pienezza di mezzi e opportunità. Per incontrare questa non occorre per forza – sebbene aiuti – ingerire grosse quantità d’arte/cultura, occorrendo unicamente sviluppare la propria capacità critica per riuscire ad individuare le giuste domande da porgere a se stessi.

Ecco qua … pensa pensa, scrivi scrivi, non stavo dimenticando d’assestare la consueta stoccata alla nostra religione? Anche su questo tema la Chiesa rappresenta un bersaglio facile per l’essere la sedicente referente terrena prescelta per plasmare a proprio piacimento quell’inganno dei sensi e, soprattutto, dell’intelletto, qual è la finzione: sono professionisti della materia, potendo vantare una bimillenaria esperienza. Senza addentrarci nel dedalo composto dai numerosi rivoli in cui la religione prorompe per spiegare a propria convenienza – e a dispetto della scienza (e dello stesso Tommaso d’Aquino, santo e dottore della Chiesa) – quando ad esempio la vita possa definirsi tale e riformulare la realtà appropriandosi di invenzioni altrui (ad esempio la pietas di Virgilio divenuta cristiana; in realtà tutto il Cristianesimo è un copia/incolla dalla religione egizia), voglio soffermarmi su un tema che è attuale al periodo dell’anno che stiamo attraversando.

Non so quanti si rendano conto del fatto che festeggiare i Santi sia pratica lontana anni luce dall’ortodossia cattolica, per una questione di fede e anche storica. A commento di quanto sto per dire sarei portato a definire la fede quale cieca … in realtà distoglie lo sguardo su ciò che è in dissonanza ma conveniente in vista della predicazione del culto e della conversione di nuovi fedeli.
Riguardo al discorso della fede i Santi (come il celibato dei preti e tante altre convenienti innovazioni non menzionate nel “Libro”) nulla hanno da spartire con essa; in aggiunta alla Trinità non c’è spazio per una devozione che altrimenti monoteista più non sarebbe: la loro adorazione è di fattura pagana e la Chiesa, che dall’Impero Romano aveva attinto la lezione dell’inclusività del diverso, nel suo percorso di affermazione come religione vincente ha pensato bene di assecondare quelle che rappresenterebbero, nella dottrina cristiana, mere superstizioni (a Cuba, con l’invenzione della Santéria, sono riusciti ad inglobare una religione animista – dunque politeista – associando un Santo a ciascuno dei loro Dei).

In questo quadro l’adorazione di San Nicola, un turco le cui spoglie vennero trafugate nel 1087 da baresi e veneziani nel suo luogo di nascita (Myra), rappresenta l’esempio più eclatante della vista selettiva della fede … ché solo la fortuna è cieca per davvero. San Nicola (la cui santità attingerebbe al fatto d’aver procurato la dote per le tre figlie d’un uomo che stava per avviarle alla prostituzione – miracolo che potrebbe compiere anche Berlu – da qui le tre palle) è il santo più adorato al mondo, essendo di riferimento non solo al mondo ortodosso e ad altre confessioni cristiane, ma celebre anche fuori dal confine della cristianità (si veda il mito di Santa Klaus alias Babbo Natale); è Patrono di tantissime città, di cui molte molisane … come il grigio, sta bene su tutto. Ovviamente attribuisco il dovuto rispetto a chi ne pratica il culto, così come non lo nego a chi voglia impiccarsi, ma se mi sono preso tanta briga è per un prurito che, come tale, va assecondato. Una grattata mi basta, ed è la seguente: con tutta la tradizione di Santi che vantiamo in Italia – e con uno in particolare, San Francesco, che dopo Gesù è la figura più autentica del Cristianesimo e al quale io stesso non potrei non essere devoto – c’era bisogno di adorare con tanta devozione un Santo che i baresi “si sono frecato”? Il Palio che celebriamo a Guglionesi – che si potrebbe dire “che ca##o c’entra con le nostre tradizioni” – accusa la stessa assenza di radici del Santo di riferimento.
Suppongo che a più di qualcuno non piaceranno queste considerazioni: se volete mandarmi a quel paese, fatemi prima scrivere quel che penso di ecologisti e animalisti così vi potrete unire in coro.

PS: Mentre scrivo in qualità di appartenente all’”Ordine dei pazzi”, leggo della faccenda copia/incolla: vorrei far solo notare che il sottoscritto vi aveva ragguagliato su quanto tenessero in considerazione il programma elettorale … che sia opera di bricolage oppure commissionato ad uno specialista è solo un dettaglio. Ah, e rappresenta solo uno dei tanti aspetti in cui realtà-verità-finzione si intrecciano in maniera inestricabile.


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