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CulturaGuglionesi
Pubblicato in data 10/3/2013 ● Click 1504

Reazionari o rivoluzionari?


Mario Vaccaro © FUORI PORTA WEB

Dall’intervento del Di Tomaso, in cui egli classifica il fenomeno del M5S come miraggio di un’attuazione della democrazia diretta, mi sento indirettamente tirato in ballo per una mia precedente argomentazione qui esposta a favore di un auspicabile rinascimento culturale-politico a cui tale movimento potrebbe dare avvio. Innanzitutto, non posso che complimentarmi con il metodo seguito in questa sua analisi, precisa e puntuale laddove giunge addirittura a fornire riferimenti bibliografici, vieppiù dalla cifra culturale d’una certa qual consistenza, considerato il peso specifico degli autori spesi nella sua argomentazione.

Dapprima una considerazione, sebbene dal sapore ovvio, che risulta una sorta di ossimoro: una delle poche certezze su cui poggia la cultura (quindi la politica e il diritto) è l’opinabilità di ogni assunto, che rappresenta comunque un punto di vista, sempre pregevole per quanto personale. Orbene, consapevole del rischio a cui sottopongo coloro che intendessero avventurarsi nella lettura della seguente disamina, ovvero quello di slogarsi la mascella a causa d’un eccesso di sbadigli, posso solo promettere di fare quanto è nelle mie capacità per rendere assimilabili argomenti la cui sofisticazione è tale da poter escludere a priori che possano essere oggetto di conversazione al bar. L’articolo del Di Tomaso parte con un “carico da briscola”, una citazione di U. Eco. Riassumendo, in essa Eco evidenzia la discrasia esistente, in termini di concreta attuazione, tra la democrazia parlamentare del presente e quella diretta dell’agorà, per la realizzazione della quale occorrerebbe attendere non poco data l’assenza nel nostro Paese di un’idonea cultura informatica, non ancora abbastanza diffusa da trasformare la maggioranza dei cittadini in blogghisti. Fin qui nulla da eccepire: è l’istantanea d’una situazione che anche Gasparri sarebbe stato in grado di scattare. Tuttavia è l’implicita conseguenza che se ne trae a non convincere affatto: data l’arretratezza nel campo della cultura informatica dovremmo rassegnarci a non sfruttare le opportunità che questa può offrire in vista dell’edificazione d’un nuovo concetto di democrazia. Non la ritengo condivisibile, in primis perché questo significherebbe mantenere lo status quo proprio a causa delle situazioni deteriori poste in essere dagli artefici del deprecabile stato di fatto, che hanno tutto l’interesse a mantenere detto status quo per perpetrare il proprio potere. In soldoni, dovremmo tenerci una classe politica che opera tagli nella spesa alla cultura e, eccezion fatta per la sola Milano, che ci ha tenuti in terza fascia in campo mondiale quanto a livello di informatizzazione: saremmo dunque costretti a continuare ad assecondare un potere che usa nei nostri confronti metodi secolari di autoconservazione, dal “dividi et impera” dei Romani, fino all’ignoranza ed alla paura indotte (quest’ultima fomentata ad arte dalla destra – vedi i fantasiosi pericoli derivanti dalla delinquenza e dall’immigrazione, in realtà da noi marginali rispetto ad altri paesi – per attrarre consensi)? Mi verrebbe da dire: “oltre il danno la beffa”! Perché ignorare, inoltre, che tra un paio di lustri o poco più la maggioranza della popolazione, a cui già oggi si chiede di iscriversi a scuola, alle graduatorie del personale scolastico ecc. mediante internet - nonchè ai pensionati d’avere un c.c. sottoponendoli ad una sorta di “ignorantia telematicae non excusat” - sarà senz’altro pronta? Bisognerà pur iniziare questo processo … perché non ora?

Per quel che concerne poi l’accenno alla “primavera araba”, Eco stavolta toppa in pieno, facendomi venire seri dubbi circa una sua competenza di carattere informatico: mi risulta che il mezzo lì utilizzato sia stato Twitter, un social network – che frequento - neppure lontanamente paragonabile ad un blog quanto a potenzialità di interscambio culturale. I lavori di gruppo e le discussioni potenzialmente instaurabili in un blog sono ben altra cosa rispetto alla possibilità di scambiarsi messaggi lunghi quanto un sms. In quei paesi il fermento già c’era da tempo: Twitter, con la sua comunicazione simbolica dettata dalla forzosa sintesi, ha innescato la miccia della rivolta (assolvendo alla funzione che nell’800 avevano gli intellettuali, che con gesti dal valore simbolico e slogan vari, in prima persona sobillavano la massa). La valenza comunicativa è molto simile a quella messa in campo dallo studente che a Tien An Men blocca l’avanzata del carrarmato. L’articolo prosegue con l’assunto dell’indispensabilità della rappresentanza dei partiti … ed ivi il prurito mio s’aggrava (mi si scusi, ma mi diverte fare il cialtrone). Senza tornare a visitare considerazioni già esposte ed evidenti allo sguardo di tutti, e tutte relative al misero fallimento del loro “scopo sociale”, per i partiti si può prendere in prestito la definizione usata dalla mafia per indicare quelle persone per cui è già stata decretata la morte … “morti che camminano”. In attesa che ci sia una generale presa di coscienza, perché non accelerare i tempi per anticipare un accadimento comunque inevitabile? Parafrasando la famosa frase di Catone il Censore – mi si conceda un filo d’ironia - inviterei tutti ad unire gli sforzi per conseguire un unico obiettivo: ogni associazione politica, come Carthago, “delenda est”!

Infine, l’argomento più tecnico riguarda l’art. 67 Cost., che recita: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. Tale norma esprime un divieto che Grillo vorrebbe abolire; tale posizione viene contestata da Di Tomaso, che richiama la ratio di tale norma: gli eletti non devono agire esclusivamente in difesa degli interessi dei propri elettori, essendo la loro azione diretta al perseguimento del bene generale. Tutto ciò è condivisibile. La norma, è bene precisare, esclude la sussistenza d’una responsabilità giuridica in capo all’eletto che non ottempera al mandato elettorale, non costituendo il voto un negozio giuridico da cui scaturiscono obblighi (e Grillo, che non è un dottore in giurisprudenza, vorrebbe che il voto equivalesse alla firma d’un contratto). Qui Grillo sbaglia, tuttavia solleva una questione che va a toccare il vero nervo scoperto della nostra democrazia: dalla mancata attuazione del mandato elettorale, il quale si concretizzata sulla base di promesse puntualmente descritte e sancite in un programma, deriva una responsabilità politica che però l’elettore può far valere solo in sede di successive elezioni, appunto non rieleggendo il candidato in questione: decisamente troppo poco per quel popolo sovrano dell’art. 1. Se la sovranità del popolo si realizza mediante la delega attribuita agli eletti, questa è però una delega in bianco dacchè non sono vincolati ad un beneamato bip: dunque il vero sovrano chi è? Ovviamente nelle more di tali lacunose previsioni legislative, indovinate un po’ chi ha il potere di esercitare un vero controllo sugli eletti per cautelarsi da improvvise ribellioni degli stessi alle direttive politiche? Ah, le mie domande retoriche! Sono proprio i partiti che, con le pratiche delle dimissioni rilasciate in bianco o della deposizione anticipata del mandato – costituenti vere e proprie sanzioni disciplinari applicabili all’iscritto candidato – si arrogano il potere di applicare quella censura che competerebbe a noi cittadini “sovrani” sollevare. A prescindere da quanto ho esposto, consapevole d’esser parole che, buttate lì da me o da chicchessia, resteranno tali se non fatte proprie dalla gente, quello che realmente desidererei apprendere, da Di Tomaso e da chi difende quei partiti che io giudico aver trapassato il punto di non-ritorno della indifendibilità, è: “credete davvero che sia lecito, o quantomeno serio, farci prendere in giro impunemente ad ogni tornata elettorale, assistendo alle ennesime paraculate dei politici che promettono i proverbiali mari e monti e, ad elezioni avvenute, dopo aver offerto il loro lato migliore alle telecamere, qualora gli si faccia notare il mancato rispetto di quanto promesso, con quella candidità tipica della faccia da culo replicano: che c’entra, mica siamo in campagna elettorale?”. Ma soprattutto: “se prima la consultazione diretta del popolo non era possibile, mentre oggi la tecnologia ci offre uno strumento in grado di interpellare ed ottenere risposte dalla gente in tempo reale, gente che ha la possibilità inoltre di interagire sempre in tempo reale come se tutto il mondo fosse un’unica piazza, dovremmo rinunciare a questa splendida opportunità in nome di che cosa?”. A parer mio sarebbe un’occasione comunque da cogliere anche laddove i partiti avessero tenuto un contegno ineccepibile quanto ad impegno politico ed onestà d’intenti, figuriamoci se non lo è avendo nel contempo l’occasione di far piazza pulita d’una classe politica in maggioranza composta da imbonitori, cialtroni e gente mediocre la cui vocazione politica ha consistito nella seguente missione: “guadagnare sì, ma senza lavorare”.

La locomotiva c’è, non vogliamo agganciarci? State a vedere che “co tutt a scienz ca tenimm, jamm a mar co tutt e pann” (Bennato).


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