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CulturaGuglionesi
Pubblicato in data 8/3/2013 ● Click 1457

Il grillismo e l’illusione della democrazia diretta


Pietro Di Tomaso © FUORI PORTA WEB

<<Il grillismo parlamentare è una contraddizione, di qui gli imbarazzi di Grillo, perché la sua idea era quella di un grillismo informatico. Cioè, se è impossibile riunire a legiferare i cittadini su una piazza, si crea la piazza informatica e mediante Internet in cui tutti parlano con tutti si ricrea l’agorà ateniese, per cui il Sovrano è “on line”. Ma l’idea non tiene conto del fatto che gli utenti del Web non sono tutti i cittadini (e per lungo tempo non lo saranno) per cui le decisioni non vengono prese dal popolo sovrano ma da un’aristocrazia di blogghisti. Pertanto non avremo mai il popolo in perpetua assemblea. Questo è l’impasse del grillismo che deve scegliere tra democrazia parlamentare (che esiste, e che lui ha accettato partecipando alle elezioni) e agorà, che non esiste più o non ancora. Una democrazia informatica è parsa esistere nella cosiddetta primavera araba, e ora vediamo chi poi ne ha approfittato>> (così il professor Umberto Eco).

Oggi la scienza politica riconosce che il ‘partito organizzativo di massa’, nato nell’Ottocento con il socialismo, ha svolto una funzione pedagogica, di elaborazione della ‘domanda politica’, di integrazione nelle istituzioni, di assorbimento dei conflitti e che la democrazia rappresentativa finora non ne ha potuto fare a meno. “Certo – sottolinea Giancarlo Bosetti, intellettuale liberaldemocratico – sono valide le ragioni di Roberto Michels, il sociologo tedesco, secondo il quale la complessità della partecipazione organizzata di tanta gente impone una tendenza inevitabilmente oligarchica alla struttura, determina la professionalizzazione dei ruoli dirigenti e finisce per consentire la manipolazione della base. E quando il peggio può accadere, accade. Arrivano i politici che vivono non ‘per’ ma ‘della’ politica (Max Weber). (…) E giacchè di rappresentanza e di partiti non si può fare a meno, per far funzionare la democrazia parlamentare nella sua pienezza costituzionale e deliberativa, bisognerà allentare le maglie della ‘legge’ di Michels, e scommettere sul miglioramento di quelli vecchi, e sulla maturazione di quelli nuovi”. La riflessione che fin qui abbiamo sottoposto al lettore dovrà essere doverosamente integrata con la questione riguardante la richiesta di Grillo di abolire il divieto del mandato imperativo. L’articolo 67 della Costituzione della Repubblica italiana recita: <<Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato>>.

Il divieto di cui sopra “istituito dalla rivoluzione francese - annota il professor Giovanni Sartori -, esiste a tutt’oggi in tutte le costituzioni democratiche. Perché? E’ perché altrimenti si ricade nella rappresentanza medievale, o comunque premoderna, per la quale il rappresentante è soltanto l’emissario, l’ambasciatore di un padrone. Il che, intendiamoci, a Grillo va benissimo, visto che tutti i suoi debbono obbedire soltando a lui e funzionare soltanto come dei ‘signorsì’. Ma questa richiesta è evidentemente inaccettabile per qualsiasi costituzionalista serio (preciso perché non tutti lo sono)”. Edmund Burke nel suo ‘Discorso agli elettori di Bristol, tenuto il 3 novembre 1774, dopo la sua vittoria elettorale in quella contea, propugnò la difesa dei principi della democrazia rappresentativa contro l’idea, da lui considerata distorta, secondo cui gli eletti dovessero agire esclusivamente a difesa degli interessi dei propri elettori. “ Il Parlamento è assemblea deliberante di una nazione, con un solo interesse, quello dell’intero, dove non dovrebbero essere di guida interessi e pregiudizi locali, ma il bene generale”. Secondo una attenta dottrina (Manlio Mazziotti, Paolo Biscaretti, Costantino Mortati), la disciplina dei gruppi non è in grado di comprimere il diritto, dal momento che il parlamentare può sempre esprimersi (e votare) in maniera difforme alle direttive del gruppo di appartenenza (cfr. Temistocle Martines, Diritto costituzionale, Giuffrè Editore, 2011, pag. 167).

Il politologo Giovanni Sartori sostiene che la causa dei ribaltoni non sia affatto l’articolo 67 della Costituzione, ma piuttosto una pessima legge elettorale (la c.d. Legge Calderoli, o Porcellum). Tuttavia, accennando al problema della governabilità, non sembra che la notte sia completamente buia, se è vero (salvo errore) il risultato del sondaggio di Pagnoncelli secondo il quale il 33 per cento degli elettori grillini auspicherebbe un governo col Pd, altri il ritorno alle elezioni, e il 12 un governissimo esteso al Pdl. Segno che una parte importante, e tendenzialmente maggioritaria, dell’elettorato grillino ha convinzioni democratiche.


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