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Caro DirettoreGuglionesi
Pubblicato in data 7/3/2013 ● Click 1638

Aria di ri(e)voluzione


Mario Vaccaro © FUORI PORTA WEB

Sì, sì, mi sembra di riconoscerla … è proprio lei. Nessun dubbio … sentori, umori, gusto e retrogusto … è quella frizzante e poco amabile arietta che preannuncia l’accadere d’un grosso avvenimento che a venire non tarderà. Mi sembra addirittura di sentire le fanfare … e più che dalla gioia, oramai quasi inconsapevole nei molti che la speranza l’avevano da tempo smarrita, s’avverte dalla paura indotta in coloro che sullo sconforto generale s’erano accomodati, a loro agio come sulla tazza del cesso della propria casa, su cui naturalmente defecavano – tanto per giunta – in proporzione a quanto mangiavano. D’altronde è sempre consistito in questo il relativo contributo alla società, le continue deiezioni di cui omaggiavano noi che coprofili non siamo mai stati, ma piuttosto costretti obtorto collo a maneggiare le loro feci (lo so, è disgustoso, ma è solo una metafora).

I primi a sentir fischiare le proprie orecchie - facile da indovinare - sono proprio i politici, arbitri designati del destino dei molti, per inveterata abitudine convinti di vivere in condizioni di pressocchè assoluta impunità e, autocollocatisi in un limbo esente da regole, certi che la libertà consistesse in quel concetto riassumibile nel motto “faccio come ca##o mi pare” (dimostrando scarsa stima di Gaber).
Ma anche per gli evasori i tempi non sono propizi. La cultura di massa nostrana è sempre stata indulgente nei loro confronti, orientata sulla frequentazione d’un retropensiero: per il “furbetto del quartiere” il biasimo scompariva di fronte al preponderante sentimento d’invidia e alla delirante stima tradita da frasi fuoriuscite tra i denti: “comunque c’ha saputo fare”. In un clima da sacrifici per tutti, dove i tutti sono principalmente i soliti pensionati e lavoratori dipendenti, e sempre meno sporadicamente avvengono suicidi indotti da situazioni finanziarie e – di riverbero – familiari non più sostenibili (in un mondo in cui la dignità d’una persona è direttamente proporzionale al suo reddito), l’inespresso biasimo d’un tempo riaffiora trasformandosi in odio verso chi non risponde alla chiamata in vista del suddetto sacrificio, giacchè l’egoismo dei privilegiati rende la situazione dei molti ancor più insostenibile di quanto fosse già per via della crisi.

In un’Italia sin dagli albori insofferente al concetto di “collettività”, che non ha mai dato veramente seguito all’invito di Cavour – “facciamo gli italiani” – se non con lo sforzo di tenerla unita con lo sputo, sia a livello amministrativo che dal punto di vista dell’unità d’intenti verso cui dovrebbe marciare una società, questi segni d’un cambiamento di mentalità fanno ben sperare, soprattutto dopo le recenti delusioni per il mancato conseguimento dell’opportunità d’una riforma degli ordini professionali e degli altri tentativi riguardanti altre corporazioni, tutte sollevatesi all’insegna d’un unisono “cominciate pure, ma prima dagli altri”. E così, riesumata la medievale Italia delle Corporazioni, l’italiano ha appreso che di caste ve ne sono ben più di una. Oltre a quella dei vituperati politici, vi sono quelle di cui fanno parte persone che – come reciterebbe un degno trailer da film horror – “vivono in mezzo a noi”: il farmacista, l’avvocato, il notaio, il gioielliere da 10.000 € all’anno e così via, vicini di casa o d’ombrellone, che in questi tempi di burrasca non navigano a vista su improbabili zattere, ma col radar su sicure imbarcazioni al cui timone c’è qualche vassallo a consentir loro di restare comodamente in coperta.
Solo un cambiamento culturale dei cittadini, che accresca la volontà di ognuno di comportarsi come facente parte di una collettività (che i salvatori della patria, dobbiamo convincercene, o come Babbo Natale non esistono oppure come il Duce/Berlusca ci rimedierebbero cocenti delusioni) e nell’esigere dal proprio vicino un simile contegno, potrà farci compiere quell’evoluzione – anche nel senso di balzo – che ci permetterà di togliere – noi – le castagne dal fuoco. Riusciremo così forse un giorno a metterci alle spalle questa democrazia da “più uguali degli altri” e a far sì che la legge sia davvero uguale per tutti. Per me che ho fatto studi di giurisprudenza, cogliere la genialità di chi ha coniato la frase campeggiante in ogni tribunale è più semplice. Questo genio – e non sto scherzando – solamente alludendo ad un’applicazione della legge uguale per tutti, suggerisce un’interpretazione che tutti sappiamo non aver mai trovato concreta applicazione; pur tuttavia afferma qualcosa di incontestabile, ovvero che la legge, nella sua formulazione, è davvero uguale per tutti.

Per costituzione mentale sono portato ad un sano pessimismo, eppure questa crisi, che porta indubbiamente sofferenze e miete molte vittime, credo rappresenti un’occasione di crescita che dobbiamo assolutamente cogliere. Il paradosso è solo apparente: il grande Orson Welles in un’intervista fece notare come lo sviluppo culturale di un paese coincide spesso con i suoi peggiori periodi dal punto di vista politico. Nell’Italia del 70% dei beni culturali mondiali, la maggior fetta di essi è stata prodotta proprio in quel Rinascimento che è stato un periodo storico politicamente travagliatissimo. Orbene, per rendere ancor più evidente l’assunto, vi invito a riflettere sulla seguente domanda retorica: la tranquilla ancorché neutrale Svizzera, famosa per cioccolato, orologi a cucù e quel segreto bancario che le ha permesso d’arricchirsi facilitando altrove il riciclaggio del denaro e l’evasione fiscale (che in Italia causano un sommerso di oltre 300 miliardi di euro), per quali opere d’arte o culturali è ricordata?
Auguriamoci, dunque, che la crisi buon pro ci faccia!


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