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Caro DirettoreGuglionesi
Pubblicato in data 1/2/2013 ● Click 1672

Nell'economia verde +4,2% l'impresa giovanile under 30


Pietro Di Tomaso © FUORI PORTA WEB

Caro Direttore,

un sito di settore titolava così: “E’ora di salire in agricoltura”. Condivido in pieno tale sottolineatura.
Le nostre campagne – sottolinea Carlo Petrini su Repubblica - hanno bisogno di ripopolarsi. Perché il made in Italy passa dai campi e dalle mani dei nostri produttori. E le mani dei produttori oggi sono rugose, sono stanche, sono mani anziane. E spesso sono mani che non sanno a chi consegnare tutta la loro esperienza e tutti i loro saperi. E, come si sa, i nostri giovani hanno bisogno di lavorare. E di sentirsi protagonisti di quello che producono e di quello che diventano. L’agricoltura può dare a un giovane tutto questo, a patto che smetta di essere sinonimo di emarginazione sociale e di difficoltà economica”.

Gli fa eco Giovanni Sartori (Corriere della Sera, 23 gennaio) politologo per professione e ambientalista per convinzione: “Il livello della nostra disoccupazione giovanile è davvero intollerabile. Da noi vige ancora la corsa per fabbricare ‘tutti dottori’. Ma il grosso dei dottori che produciamo e che andremo a produrre saranno inutili. Alle nuove generazioni occorrono istituti tecnici e scuole di specializzazione collegati alla ‘economia verde’, al ritorno alla terra, e anche alla piccola economia delle piccole cose. Altrimenti saremo sempre più disoccupati”.

Il vasto settore della economia verde coinvolge il mondo delle energie rinnovabili, l’intero comparto agroalimentare, la conservazione della natura, la tecnologia di precisione, il turismo, la gestione dei rifiuti (per citare), dove le imprese richiedono nuove professionalità e nuove competenze verso cui è necessario da subito sensibilizzare e indirizzare i giovani affinché abbiano la possibilità di orientare la propria formazione e i propri sforzi di ricerca di lavoro. Scrivevo tempo fa che un’ipotesi ottimistica è che la carenza di posti di lavoro e le opportunità offerte dalle nuove tecnologie e da Internet possano costituire una sufficiente attrattiva per un ritorno alla terra dei giovani (magari con terreni messi a loro disposizione a basso costo e con scarse interferenze burocratiche). Nei prossimi tre anni è stimato un incremento dei posti di lavoro proprio nelle campagne dove, per la prima volta da dieci anni a questa parte, c’è stata un’inversione di tendenza che ha visto crescere del 4,2% le imprese condotte da giovani under 30. A tal riguardo mi piace segnalare il caso di un giovane molisano, Nicola del Vecchio, laureato dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, tornato in Molise per avviare la sua azienda su terreni di famiglia, che di quei terreni non si era mai preoccupata più di tanto limitandosi a darli in affitto. Voglio sperare che il suo senso di concretezza, la tanta fatica e il coraggio vengano premiati con una vendita remunerativa dei suoi prodotti (pane, verdura, frutta, formaggi o salumi).

La domanda allora è: cosa aspetta la nostra classe politica per ridurre una burocrazia asfissiante? Che cosa aspetta la nostra classe dirigente ad occuparsi di questo settore? (…) Cosa aspettano a capire che sta lì, in quei campi, in quelle mani, in quei cervelli e in quella voglia di sudare, l’identità di questo nostro paese?” (Carlo Petrini).

Auguriamoci che a breve quel consenso che ha permesso agli eletti di dimenticare i bisogni reali delle diverse regioni (con particolare riguardo al comparto agricolo-ambientale) venga meno. A cominciare da Molise, Lazio e Lombardia.

Cordialmente, Pietro Di Tomaso


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