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Pubblicato in data 21/1/2013 ● Click 1665

Economia, etica, recessione. Una chiave interpretativa


Pietro Di Tomaso © FUORI PORTA WEB

Condivido il richiamo di Papa Benedetto XVI per un impegno civile nella ricerca di un solido fondamento etico, la cui assenza in campo economico ha contribuito a creare l’attuale crisi finanziaria globale.

A tal riguardo sono andato a rileggere alcune riflessioni di Amartya Sen, premio Nobel (1998) e docente di Economia e Filosofia morale all’Università di Harvard, una delle personalità internazionali più autorevoli impegnate nella lotta alla povertà e alla disuguaglianza.

Con la crisi economica in atto si avverte la domanda di comportamenti più etici da parte di esponenti della politica e dell’economia. L’etica, dopo essere stata a lungo tenuta fuori dall’economia, ritorna in gioco. Un grande economista e filosofo morale contemporaneo, che ci aiuta a comprendere bene e quindi a coniugare etica ed economia, è per l’appunto Amartya Sen. La fiducia nel mercato e la sua mano invisibile – secondo Sen – ha condotto ad una progressiva deregolamentazione della finanza e del capitalismo. “Il messaggio non è ‘il mercato fa male’, bensì ‘il mercato fa bene se è ben accompagnato’ ”.

Sen pone al centro della propria analisi la constatazione che non è sufficiente considerare solo l’ammontare dei beni e servizi a disposizione di un individuo, ma accertarsi se questi abbia la capacità fondamentale ed effettiva (basic capabilities) di servirsene in modo da soddisfare i propri bisogni. Risulta evidente come questo discorso recuperi l’umanesimo civile. Per cui in una società capace di futuro devono trovare cittadinanza oltre ai principi del profitto e dello scambio, anche principi di equità distributiva della ricchezza complessiva.
Nella vasta produzione scientifica di Sen si annoverano testi fondamentali come i seguenti: “Etica ed economia” (1988), “La disuguaglianza. Un esame critico” (1994), “Lo sviluppo è libertà” (2000), “Globalizzazione è libertà” (2002), “Giustizia globale” (2006), “Identità e violenza” (2006), “Un’idea di giustizia” (2010).

Riconoscere il diritto umano alla libertà dalla povertà ci fa insistere sulla necessità di ricercare attivamente delle politiche utili a questo fine come una necessità etica, e non come un gesto caritatevole facoltativo. E’ una differenza notevole” (Giustizia globale, op. cit.). E che occorra una massiccia dose di volontà politica per affrontare il problema della ineguale distribuzione delle opportunità di vita in un mondo globalizzato non abbiamo dubbi. Ha ragione Amartya Sen: “ Il diritto umano contro la povertà è un’affermazione sociale ed etica di grande portata, che richiede l’intervento di politiche nazionali e internazionali che pongano termine a quella violazione etica che l’enorme diffusione della povertà estrema ci addita ogni giorno”.

In merito all’individuazione di indicatori ambientali e sociali che permettano di andare oltre il ‘Pil’ (prodotto interno lordo) Sen scrive che “Lo Stato non deve rinunciare, nemmeno in tempi di crisi, al ruolo di supporto nell’allargamento delle libertà di fatto degli individui; ad esempio, garantendo istruzione pubblica, cure sanitarie, reti di sicurezza sociale, agevolazioni del microcredito, buone politiche macroeconomiche, salvaguardando la concorrenza industriale e assicurando la sostenibilità epidemiologica e ambientale… sarebbe un errore pensare che la libertà dell’individuo si oppone alla società”. Come dire: conti in ordine, ma anche cooperazione e fiducia sociale. Anche in tempi di crisi “la questione principale non è limitare, ma espandere la libertà, dobbiamo liberare l’idea di libertà non come permesso, ma come scelta”. “Tagli repentini troppo repentini potrebbero spezzare il meccanismo della crescita economica”.

Attualissime le dichiarazioni del Nobel indiano rese in un’intervista a ‘Economics Intelligence’ sulla crisi e sui metodi di contrasto da parte dell’Europa: “Ci sono diversi aspetti delle politiche economiche attuate in questo periodo che mi preoccupano, soprattutto in Europa. Il primo di questi è il fallimento democratico nell’economia. Una politica economica deve essere qualche cosa che i cittadini comprendono, apprezzano e supportano. Questo è il fulcro della democrazia… Nei paesi del sud, Grecia, Portogallo e Spagna, il punto di vista degli elettori è molto meno importante di quello delle banche, delle agenzie di rating o delle istituzioni finanziarie. Uno dei risultati dell’integrazione monetaria europea, senza, però, un’integrazione politica, è che la popolazione di diversi paesi non ha nessuna voce in merito. L’economia è slegata dalla base della politica. Tutto questo va completamente contro il grande movimento europeista nato negli anni quaranta e sostenitore di un’Europa democratica e unita… Il debito pubblico europeo deve diminuire, su questo non c’è alcun dubbio, tuttavia le tempistiche sono errate. Al momento la priorità dei governi è quella di tagliare le spese e pensare alla crescita successivamente. Questo, a parer mio, è un grave errore. Deve essere tenuto ben presente che il ruolo dello Stato non è solo quello di aiutare le persone vulnerabili e fornire ammortizzatori sociali, ma anche regolamentare l’economia di mercato. Oggi ci vogliono stimoli economici ben direzionati piuttosto che tagli drastici”.

Venendo alla conclusione di queste note aggiungo soltanto alcune considerazioni sulla situazione italiana, attanagliata com’è dalla recessione (che è arrivata anche a Berlino e Parigi). Ritengo che le scelte prevalentemente rigoriste fin qui operate dal governo debbano lasciare il posto a stimoli economici ben finalizzati per favorire la crescita. Pur dando atto al prof. Mario Monti di aver arginato la derisione internazionale nei confronti del nostro Paese, il prossimo governo dovrà necessariamente integrare la sua agenda con quanto di meglio possa essere attinto dalla scuola liberale progressista di Keynes (che pensa alla massima occupazione e all’uscita dalla crisi attraverso investimenti mirati). Un progetto quindi che preveda la riduzione della forbice ricchezza / povertà (la lotta all’evasione fiscale è fondamentale per tale scopo) in modo da garantire la pace sociale. Senza dimenticare di adoperarsi per un’accelerazione dell’unità politica dell’Europa. Teniamo presente che proprio i ritardi del processo europeo hanno prestato il fianco agli attacchi degli “sciacalli della finanza” che speculano facendo prevalere l’egoismo. Si assiste cioè a un’enorme concentrazione di potere nelle mani di un’oligarchia finanziaria internazionale che non ha bisogno della politica e che pertanto contribuisce pesantemente a determinare una crisi economica tale da rendere i cittadini più impauriti e disorientati.


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