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Solitudini d'autoreGuglionesi
Pubblicato in data 27/12/2012 ● Click 1627

L'io


Redazione FPW © FUORI PORTA WEB

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Esperienza cristiana e potere

L'uomo non può non dipendere. L'alternativa è: o dipende direttamente da Dio, o diventa schiavo delle forze determinanti la società, vale a dire del potere-Stato e mass media.


Nel suo libretto su Il Potere Romano Guardini dice: «L'età moderna si svolge verso il mondo con un realismo intellettuale e tecnico sinora sconosciuto. L'immagine che essa si fa del mondo si esprime nel potere sulla natura. Con l'indagine, la programmazione, l'efficienza tecnica, in un processo sempre più accelerato, l'uomo si fa padrone delle cose. L'età moderna è sostanzialmente giunta al proprio termine. [...] L'età moderna aveva accolto come assoluta vittoria ogni aumento della potenza scientifica e tecnica; le sue conquiste le erano senz'altro apparse come un progresso verso realizzazioni più decise e verso una ricchezza di più elevati valori dell'esistenza. Ma la certezza di questa convinzione è ora scossa: proprio qui si rivela l'inizio di un'epoca nuova. Non pensiamo più che aumento di potere sia sinonimo di elevazione dei valori della vita: il potere ci appare problematico nella sua essenza. [...] Nella coscienza comune si fa strada il sentimento che il nostro rapporto con il potere è errato, anzi che questo potere in aumento è una minaccia per noi».

Forse la mia provocazione si limita a cercare di motivare e amplificare questa nota di Guardini: «Questo potere in aumento è una minaccia per noi». Guardini non è lontano da Adorno quando scrive che: «Tutta la cultura dopo Auschwitz, compresa la critica urgente ad essa, è una spazzatura». Adorno è evidentemente più totalizzante nella sua osservazione. Toynbee, nel suo volume sulla Religione nella civiltà, conclude allo stesso modo di Guardini.

Guardini ci richiama alla natura del fenomeno: «Il potere - dice - è un fenomeno specificatamente umano. In senso proprio possiamo parlare di potere solo quando siano dati due elementi: da una lato una vera energia capace di modificare la realtà delle cose e di determinare le loro condizioni e le loro reciproche relazioni; dall'altro una coscienza che ne sia consapevole, una volontà che stabilisca delle mete, una capacità che disponga delle forze per raggiungere quelle mete. Tutto ciò presuppone lo spirito, cioè presuppone quella realtà che e nell'uomo, ed è capace di sottrarsi alla immediata complessità della natura e di disporre liberamente di essa». Cioè presuppone auto-trascendenza dell'uomo. È in questa natura del potere come fattore tipicamente umano che sta lo strumento agente della civiltà.

Il degrado della civiltà accusato da Guardini è da Toynbee, dunque, è frutto di un malo uso di questa capacità dell'uomo.

Dove sta l'errore? È ancora Romano Guardini che scrive: «Il potere nella vita moderna del pensiero si è svolto contro il trascendente. Questo potere di auto-trascendenza a un certo punto ha fissato non un ultimo limite, ma si è fissato come ultimo limite della vicenda. Il potere nella vicenda moderna del pensiero si è infatti svolto contro la trascendenza, fuori dei punti di riferimento fissati dalla visione teologica cristiana. Il volto dell'uomo moderno è quello di un uomo che, nell'incremento progressivo e determinato del potere su se stesso e sulla realtà naturale e storica, trova la via per la propria auto-deificazione. Il concetto di Stato moderno come realtà assoluta che si auto giustifica e che conferisce dignità all'uomo, esprime in modo estremamente significativo il punto più acuto di questa parabola moderna».

Duemila anni fa il possessore intero dei diritti dell'uomo era il civis romanus, ed era l'imperatore che definiva chi avesse questo status. Identicamente oggi, chi ha totalmente il diritto ad essere persona, chi è integralmente persona - in modo concreto, cioè in modo tale che i suoi diritti possano essere utilizzati - è fissato dallo Stato, deve appartenere al partito, al potere, oppure al clan, al tipo di gente che è al potere. È questo che conferisce dignità all'uomo. «Uno sguardo d'insieme ci dà l'impressione - dice Guardini - che sia la natura sia l'uomo stesso siano sempre più alla mercè dell'imperiosa pretesa del potere economico, tecnico, organizzativo statale. Sempre più nettamente si delinea una situazione in cui l'uomo tiene in suo potere la natura, ma insieme l'uomo tiene in suo potere l'uomo, e lo Stato tiene in suo potere il popolo, e il circolo vizioso del sistema tecnico ed economico tiene in suo potere la vita».

In un libro pubblicato da «La Casa di Matriona» (Sotto le ceneri dell'ideologia) ci sono delle testimonianze impressionanti di autori del «Samizdat». Per esempio la seguente di un giovane di 22 anni partecipante ad un Seminario filosofico-religioso poi distrutto da Andropov: «Lo Stato contemporaneo ha imposto una signoria totale mai vista nella storia, sottoponendo a sé tutte le sfere della vita umana che prima avevano esistenza autonoma, persino l'amore. Ma la sua espansione maggiore è avvenuta a danno delle nostre anime. Da noi non si pretende semplicemente che accettiamo come verità l'ideologia, ma anche che partecipiamo con sincero entusiasmo, che adoriamo le forze statali e collettive fino a farne dei feticci magici. I cristiani accettano lo Stato e la società nella misura in cui non vengono a limitare la signoria di Cristo e non distruggono l'annuncio del Regno...» La 39° tesi del Sillabo condannava questa espressione: «Lo Stato come origine e fonte di tutti i diritti gode di un diritto senza confini»: è lo Stato di oggi, da noi vissuto, accettato e difeso.

Pochi mesi prima della morte, Paolo VI confidava a Jean Guitton: «Ciò che mi colpisce quando considero il mondo cattolico, è che all'interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non-cattolico, e può avvenire che questo pensiero non cattolico all'interno del cattolicesimo diventi domani il più forte. Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa. Bisognerà che sussista un piccolo gregge, per quanto piccolo esso sia» (Paolo VI segreto, Edizioni Paoline, p. 152).

Che il pensiero anticattolico diventi dominante nell'ambiente cattolico, questo è opera dello Stato, ovvero dei mass-media.

Vorremmo dunque, sulla scorta di Guardini, ri-individuare la causa di questo errore di uso del potere. «Essere in possesso di un potere, se non è definito da una responsabilità morale e non controllato da un profondo rispetto della persona significa distruzione dell'umano in senso assoluto». Un potere, se non ha queste caratteristiche, se non è fondato, come può mantenere il rispetto della persona, perché lo dovrebbe mantenere? Se uno ha il potere ed altro non esistesse, perché non lo dovrebbe usare? La dignità dell'uomo deve essere adeguatamente fondata, proprio davanti al potere; quanto più il potere è tale, tanto più deve essere adeguatamente fondato il valore della persona, altrimenti il potere ha «diritto». Il potere, infatti, in una concezione ultimamente panteistica del flusso storico, non è nient'altro che il movimento fortunato emergente di tale flusso. L'uomo schiavo degli uomini che hanno il potere è l'inesorabile destino dell'uomo che si concepisca determinato dal flusso dei suoi antecendenti, tanto in senso idealistico quanto materialistico.

Anche i mass-media sono un potere. Chi scrive ha potere. Se non sta più attento, l'uomo diventa schiavo di chi scrive.

Su che cosa dunque può essere fondata la dignità dell'uomo, la sua libertà?
Non sulla sua origine biologica: se noi possiamo essere ricondotti totalmente agli antecedenti biologici e psichici, a quello che ci hanno trasmesso i genitori, è chiaro che noi siamo come un sasso dentro il flusso del torrente, totalmente alla mercè di esso. C'è una sola ipotesi che fonda la libertà. C'è un unico caso in cui l'uomo può essere concepito libero da tutto: che nell'uomo esista un quid che non deriva dal flusso biologico antecedente. Si affaccia la grande ipotesi della trascendenza: nell'uomo, in qualunque punto sia, esiste qualcosa che è immediatamente rapportato con ciò da cui tutto dipende e, come tale, proprio perché tutto ne dipende, è il significato totale, indecifrabile, inarrivabile, indescrivibile, incommensurabile: cioè mistero.

Se il significato di tutto è mistero, se il proprium dell'uomo è il rapporto con il mistero, questa è una fondazione di dignità che tutto il disordine che si può stabilire nel regno umano non può toccare, come testimonia il brano di Sotto le ceneri dell'ideologia sopra citato.

Ecco il grande paradosso: solo la dipendenza dal mistero, come costitutiva del valore dell'io, libera l'io.

L'uomo non può non dipendere. L'alternativa è: o dipende direttamente da Dio, o diventa schiavo del torrente delle cose, delle forze determinanti la società, vale a dire del potere. Quanto più il nesso con Dio è vissuto, tanto più l'uomo giudica e tratta tutto con libertà. Se l'uomo cancella Dio, siccome la ragione è affermazione di un perché esauriente, siccome il cuore dell'uomo è affermazione di qualcosa cui dare incondizionata devozione, a Dio l'uomo sostituisce l'idolo. L'idolo coincide con l'una o l'altra flessione della propria esperienza, la flessione più interessante, o la più conveniente. Allora l'idolo, se è ciò per cui vale la pena di vivere, si costruisce il tentativo di una percezione totale: per sua natura l'idolo è totalizzante. L'idolatria è origine della guerra, perché la natura totalizzante dell'idolo x non può scontrarsi con la dinamica totalizzante dell'idolo y.

È una questione che ci tocca radicalmente. Ognuno di noi paga lo scotto al suo idolo, vale a dire al suo Stato, o all'idolo normalmente determinante, che è la cultura dominante, l'idolo della cultura dei mass-media (perché i mass-media sono lo strumento del potere). A questo punto la parola da illuminare è: responsabilità. L'uomo, se ha il potere in mano, non risponde a nessuno: rispondere alla propria coscienza, infatti, è un dire ironico. O la propria coscienza è il luogo dove si ascolta un altro, oppure la propria coscienza «crea», e allora ascoltare la propria coscienza è un modo di dire. Se l'uomo è concepito come risposta al mistero, a un tu, allora, come dice Romano Guardini, il potere ha da stare in guardia. Inizia la responsabilità.

Si possono indicare alcuni corollari che scaturiscono da un concetto di potere vissuto senza religiosità (perché questa è la parola da usare per sintetizzare la posizione di Romano Guardini e di Toynbee).

Senza religiosità l'uomo è usato dall'uomo e distrutto dall'uomo; ma il potere che così opera non è appena il potere delle multinazionali o dei despoti conclamati: è il potere dell'uomo sulla donna e della donna sull'uomo, è il potere dei genitori sui figli, degli amici sugli amici.

Ancora, il concetto di pace, politicamente, verrà vissuto come contratto tra belligeranti, tra persone nemiche; legge fondamentale della pace sarà il ricatto.

Inoltre, spiritualmente e culturalmente, l'unità tra gli uomini è una speranza, ma rimarrà una speranza senza legge, senza strada, una speranza in cui la violazione ridiventa lo strumento. Di fronte all'assenza di responsabilità, l'unica intelligenza è cogliere il gioco degli interessi ed evitare il ricatto. La bontà del gesto allora si giustifica, o sulla semplice intenzionalità (sul desiderio astratto e non sulla moralità) o, più frequentemente, sul consenso.

«Non so come, ma talvolta mi sembra, o Socrate, che tu ragioni bene, pur accadendomi quello che a tanti altri succede, di non rimanere pienamente persuaso». È un passo del Gorgia di Platone. Questa è la risposta di Socrate: «É l'amore del consenso del popolo radicato nell'anima tua che ti determina in altro modo». Anche il potere ha la sua soggezione: il consenso del popolo, ma come il contadino è soggetto all'uso dell'aratro.

L'unità della gente, l'unità del popolo, in un simile contesto di potere, deriva dall'identità delle esigenze. Insomma, uno è considerabile per le esigenze che ha, per le domande che fa, per le domande in cui traduce le sue esigenze. Ma l'unità deve essere fatta sulle esigenze, sulle domande che le esprimono, o piuttosto sulle risposte che a queste domande si riconoscono? Questo è il punto esatto in cui il potere gioca tutti: chi interviene con una energia mestatrice più forte, domina tutto, dà la sua risposta.

Un'ultima osservazione. Il potere che uno si riconosce fra le mani coincide con un'appartenenza. È una appartenenza che dà la soggettività, che la definisce e che le dà densità. L'appartenenza della gente a chi è più forte, a chi dalle circostanze è fatto vincente, è evidente. Questi infatti viene criticato mentre si fa strada rubando e massacrando, ma appena raggiunge il potere tutti lo onorano.

È solo l'appartenenza a quello che noi chiamiamo Dio, secondo tutta la severità della parola, che conferisce un potere più forte di qualunque potere, che nessun potere riesce a piegare. I cristiani, infatti, dovrebbero essere i difensori della libertà dell'uomo; perché non dobbiamo dimenticare che Cristo, come dice il Vangelo, alla gente è apparso innanzitutto e soprattutto, al di là dei miracoli, come la voce, la presenza che liberava: liberava dal potere, e per questo ha privilegiato i bambini, i poveri, gli ammalati, cioè i socialmente impotenti, affermando che non si può toccare neanche un capello del più piccolo di loro. Cristo era sentito come il liberatore.

C'è una realizzazione «sociale» dell'appartenenza a Dio che si chiama Chiesa cattolica. L'appartenenza vissuta alla Chiesa limita il potere, rende contestativi al potere, al potere che tratta l'uomo non come rapporto con Dio.

Occorre però che l'appartenenza alla Chiesa diventi persuasiva, pedagogica, provocante, capace di cambiare, costruttiva: con una terminologia immessa nella concezione della Chiesa di oggi soprattutto dal Papa, si chiama movimento.

Per questo Giovanni Paolo II, che in questi anni è stato ed è il difensore più evidente della libertà dell'uomo; ha nella sua ecclesiologia un punto nevralgico nuovo, che i più non capiscono, non accettano: l'idea del carisma che si traduce nei movimenti. Un movimento, in quanto modo autentico di sperimentare nell'oggi l'appartenenza a Cristo, cioè alla Chiesa, è il luogo della libertà, il luogo della difesa del potere.

Luigi Giussani - Maggio 1986 Centro Culturale S. Carlo (Milano) e M. Kolbe (Roma)


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