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CulturaGuglionesi
Pubblicato in data 20/8/2012 ● Click 3591

Il Capitolo della chiesa di Guglionesi ed i vescovi di Termoli (1690-1884) [I parte]


Sergio Sorella © FUORI PORTA WEB

Il Capitolo della  chiesa di Guglionesi ed i vescovi di Termoli:

storia di un lungo contrasto (1690-1884)

 

di Sergio Sorella

 

Prima parte

 

 

Premessa

 

La struttura della Chiesa, soprattutto a partire dal Seicento, aveva coinvolto tutti gli ambiti dell’esistenza attraverso un contatto quotidiano con il popolo fatto di pratiche religiose, di momenti devozionali, di risposte ai bisogni della fede, ma anche caratterizzato da una presenza economica di notevole peso, con la riscossione delle decime, il consolidamento della proprietà ecclesiastica, la gestione diretta o l’affitto dei fondi, le attività di prestito monetari e la gestione diretta di varie attività produttive.

I sacerdoti di Guglionesi, riuniti nella chiesa ricettizia di S. Maria Maggiore, erano parte attiva del clero meridionale. L’accesso alla carica sacerdotale ed al beneficio ecclesiastico era vissuto  come momento di prestigio, di sicura rendita e di garanzia di condizioni economiche adeguate. I tentativi operati dai vescovi di Termoli di limitare, gradualmente, questo stato di cose furono oggetto di un lungo contenzioso che si cercherà di documentare, a grandi linee, nel presente lavoro.

Prevalentemente si è attinto dall’archivio parrocchiale di  Guglionesi che conserva documenti risalenti al 1584.[1] Si tratta di una fonte archivistica di notevole interesse per lo studio della storia locale, composto dai libri parrocchiali (libri di battesimo dal 1690; libri di matrimonio dal 1690; libri dei defunti dal 1731; libri dei matrimoni dal 1804);[2] dagli Statuti del Capitolo della chiesa di S. Maria Maggiore;[3] dalle attività delle Confraternite;[4] dalle Conclusioni capitolari;[5] dalle rendite, dai beni e dalle decime riscosse.[6]

 

1.      La Chiesa ricettizia nel Mezzogiorno d’Italia

 

La disputa tra il clero locale ed il vescovo di Termoli fu generata dal diritto rivendicato dai sacerdoti della chiesa ricettizia di S. Maria Maggiore di Guglionesi di eleggere i partecipanti del Capitolo e tra questi designare l’arciprete ed il primicerio e dal tentativo dell’ordinario diocesano di limitarne il potere. Le chiese ricettizie, molto diffuse nel mezzogiorno d’Italia, erano costituire da collegi di chierici nativi del posto, la nomina dei quali era riservata ai fondatori delle chiese stesse e l’autorità ecclesiastica interveniva per  constatare l’identità del designato. L’uso di queste chiese proprie aveva comportato la costituzione di una rendita per i sacerdoti, messa a disposizione dai fondatori delle stesse, i quali avevano la possibilità di nominare i canonici. Si trattava, in sostanza, di una variazione del reclutamento sacerdotale: i detentori di un’autorità gerarchica sceglievano autonomamente il sacerdote e gli  conferivano l’istituzione canonica senza rispondere ad altri del proprio operato. Il procedimento era chiamato di libera collazione[7]. Il godimento di questi benefici  ecclesiastici costituiva il giuspatronato che poteva essere laico o ecclesiastico.

Nel Meridione d’Italia la struttura della chiesa ricettizia contribuiva a mantenere un particolare rapporto tra il clero e la terra. La ricettizia era una chiesa di patrimonio laico, i beni, gestiti dai sacerdoti in massa comune, erano privati. Coloro che avevano il privilegio di parteciparvi erano nativi del luogo; era fatto divieto assoluto ai chierici forestieri di accedere ai benefici della chiesa locale. Alle spalle delle ricettizie vi erano le famiglie o le Università locali, che costituivano il patrimonio della chiesa sempre per i nativi del luogo.

I preti partecipanti svolgevano attività di culto e veniva loro assegnata, a rotazione, una porzione dei terreni della chiesa, mentre altri beni erano dati in affitto a terzi. La chiesa ricettizia costituiva, nei fatti, la base di un’economia «sostanzialmente agricola e patriarcale».[8] La cura delle anime, gestita collegialmente da un numero prefissato e gerarchizzato di elementi del clero locale, era delegata ad un ecclesiastico, scelto autonomamente all’interno dello stesso Capitolo. Le rendite dell’istituzione erano amministrate anch’esse collegialmente e ripartite in massa comune secondo il numero ed il grado dei partecipanti. Il modello ricettizio si era diffuso molto nel Mezzogiorno d’Italia: la partecipazione delle comunità locali alla vita  delle chiese ricettizie assumeva le caratteristiche di un vero patronato espressione di oligarchie cittadine.

Il braccio di ferro tra vescovi e cleri ricettizi, attraverso accesi conflitti e legittime acquisizioni da parte dell’episcopato, risultò «una costante della storia delle istituzioni ecclesiastiche» e per i suoi riflessi più vasti, una pagina non trascurabile della storia sociale del Mezzogiorno «addirittura sino alle soglie dell’Unità».

 

 

2.      La chiesa ricettizia di Guglionesi

 

Il clero di Guglionesi fu coinvolto direttamente dalle vicende che interessarono le chiese ricettizie meridionali. La documentazione conservata presso l’archivio parrocchiale consente di ripercorrere le varie vicende che riguardarono la chiesa ricettizia locale.

          La chiesa di S. Maria  Maggiore fu riedificata dall’Università di Guglionesi nel 1186 e dotata dalla comunità di un patrimonio proprio,  con il quale acquistò il diritto patronato. Questo atto fu ratificato con un Istrumento  da Goffredo, vescovo di Termoli. L’Università, attraverso i suoi amministratori,  sceglieva l’arciprete ed il primicerio, li presentava al vescovo, il quale confermava ed immetteva nel possesso i presentati.  La stessa Università istituiva e destituiva i sacerdoti del Capitolo che non potevano superare il numero di dodici e dovevano essere cittadini nati a Guglionesi.[9] Tale potere comportò probabilmente degli abusi, sia per l’instabilità a cui era soggetta l’amministrazione della chiesa sia per il condizionamento diretto che le autorità municipali potevano esercitare sui sacerdoti. Per evitare simili ingerenze, il 20 luglio 1313, con un Istrumento,  sottoscritto nella casa vescovile, si costituirono alla presenza di «Moraldo figlio del giudice Annellotto di Guglionesi, giudice illitteratus e di Raone, figlio di notar Raone,  per regia autorità pubblico notaio del Castello di Guglionesi (…) il rev.mo padre in Cristo signor  Bartolomeo Aldomorisco, vescovo della città di Termoli, nonché il venerabile Adalberto, arciprete, da una parte (…) ed i notabili Guarniero De Malis linguis, Lorenzo Berardi, e Rogiero figlio del notar Rogiero Mastrogiurato e sindaci dell’Università di Guglionesi pel presente anno».[10] Davanti al notaio  le parti asserirono di essere a conoscenza del diritto attribuito all’Università, diritto che non era stato mai contraddetto dall’epoca della fondazione, ma aveva arrecato dei danni per i favoritismi che generava.  Le due parti, pertanto, ritennero opportuno modificare il precedente rapporto. L’Università rinunciò  «a seipsis exercitium juris istituendi, destituendi Clericos in sopradicta Ecclesia, et eligendi praesentandi Archipresbyterum et Primicerium», trasferendo tale diritto al Capitolo della chiesa. La rinuncia spontanea di questo esercizio comportava, per i cherici che l’acquisivano, la possibilità di eleggersi l’arciprete  tra i partecipanti del Capitolo, quando questi per morte, rinuncia spontanea o qualsiasi altro impedimento, non gli consentiva più di officiare. In tal caso i sacerdoti partecipanti alla massa comune del capitolo eleggevano il successore, purché fosse idoneo e fosse cittadino nativo di Guglionesi. In seguito l’eletto veniva presentato al vescovo di Termoli, per la sola conferma della carica. Mancando il primicerio, il sostituto veniva proposto dall’arciprete, eletto dai sacerdoti del Capitolo e confermato nel possesso dal vescovo.

          Nell’ammettere i sacerdoti al Capitolo, occorreva rispettare la regola che si trattasse di cittadini di Guglionesi, appunto perché la chiesa era di carattere patrimoniale. L’elezione del singolo sacerdote partecipante alla mensa del Capitolo veniva fatta dagli stessi capitolari senza che occorresse la conferma o la immissione nel possesso da parte del vescovo. Stessa procedura occorreva seguire per la nomina del procuratore del Capitolo, delegato ad amministrare annualmente i beni del clero locale. Il Capitolo, con lo stesso Istrumento, si obbligava, per riconoscenza, a celebrare quotidianamente ed in perpetuo «unam Missam applicando Sacrificium pro Populo, benefactoribus et Universitate praedicta».

          Un atto pubblico che faceva della chiesa di Guglionesi una delle quattrocento ricettizie esistenti nel Meridione d’Italia, fondata dalla propria Università a somiglianza delle Collegiate ma che tali non erano in quanto semplici parrocchie e che avevano una massa di beni in comune alla quale partecipavano i sacerdoti in cui le dignità erano dei meri uffici (arciprete e primicerio) non conferiti dall’ordinario diocesano ma solo da questi confermati. Essendo simili incarichi elettivi e confermativi e non collattivi, escludevano interventi della Cancelleria Romana.[11] Un diritto che, difeso caldamente dai beneficiari, rappresentava un elemento di attrito con l’autorità vescovile privata di qualsiasi forma di controllo sul clero locale. La chiesa di Guglionesi esercitò liberamente, senza opposizione alcuna, i poteri concessi dall’Università con l’Istrumento del 1313. I vescovi di Termoli, sino alla fine del Seicento, non contestarono le modalità con le quali i sacerdoti di Guglionesi  elessero l’arciprete, il primicerio ed i capitolari della chiesa di S. Maria Maggiore. Le procedure  con le quali avvenivano le nomine dei canonici e delle due dignità, erano espressamente stabilite dagli Statuti del Capitolo.[12]

          I tentativi dei vescovi succedutisi sulla cattedra di Termoli indirizzati, dalla fine dei Seicento, a ridimensionare il potere del clero guglionesano, generarono continui contrasti e tensioni tra le parti che saranno oggetto della trattazione successiva.


 

[1] Da ora A.p.G. Il presente lavoro rappresenta un sintetico estratto, rivisto, della tesi di laurea: La realtà ecclesiale e sociale di Guglionesi (Campobasso) nei secoli XVII-XIX, Facoltà di lettere e filosofia, Corso di laurea in Storia, Università di Pisa, a. a. 1986-87. Il riferimento alla catalogazione del fondo archivistico è relativo al periodo 1986-87.

[2] A.p.G., bb. 45-73.

[3] A.p.G., b. 36, 23 febbraio 1716.

[4] Le Confraternite erano quattro: del Rosario, della Buona morte; di S. Antonio da Padova e di S. Adamo in A.p.G., Stato delle rendite, ecc., b. 6,  f.64.

[5] A.p.G., b. 10, f. 13.

[6] A.p.G., bb. 82-101.

[7] G. Greco, I giuspatronati laicali nell’età moderna in Storia d’Italia, IX, Einaudi, Torino, 1986, pp. 532-572.

[8] G. De Rosa, Chiesa e religione popolare nel Mezzogiorno, Laterza, Bari, 1978, p. 57. M. Rosa,  La Chiesa meridionale nell’età della Controriforma, in Storia d’Italia, IX, cit., pp. 293-345. Anche per le citazioni successive.

[9] Ciò si evince  dall’Istrumento del 20 giugno 1313 in A.p.G., b. 8, f.11. Una parziale traduzione del testo in latino è in A.M. Rocchia, Cronistoria di Guglionesi e delle tre gloriose transazioni di S. Adamo, Napoli 1890.

[10] A.p.G., Istrumento del 20 giugno 1313, b. 8, f. 11. Anche per la citazione successiva.

[11] S. Patrizi, Discorso intorno all’uso ed autorità delle regole della Sacra Cancelleria romana e sull’elezione dè partecipanti, offici, oneri, benefici della Chiesa ricettizia di Guglionesi e delle altre Chiese del Regno di Napoli, 1746, p. VII, in A.p.G., b. 3, f. 1.

[12] Statuti e Costituzioni di Santa Maria Maggiore di Guglionesi, Diocesi di Termoli, 1716, in A.p.G.,  b. 36, pp. 61-64. « Il prete nuovamente eletto è in obbligo per due anni dare al Sacristano della Chiesa tomola sei di grano l’anno e due para di scarpe che se l’affranca la Chiesa».


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