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CulturaGuglionesi
Pubblicato in data 2/5/2011 ● Click 2927

Era di Maggio... 2011


Giorgio Senese © FUORI PORTA WEB

C’è una via che sembra diritta a qualcuno, ma sbocca in sentieri di morte (Prov.14,12)

Era una bella giornata di maggio piena di sole.
Davanti a scuola, l’Istituto Tecnico Industriale di Termoli, trovai l’assembramento di persone che mi era familiare e che preludeva a qualche azione di protesta da mettere in atto.
Nel nostro Istituto, come del resto anche negli altri, in quei tempi, di rivendicazioni sociali appassionate se ne facevano tante. In quella occasione l’argomento aleggiava tra i corridoi e le aule dell’istituto da giorni e, quindi, non fu una sorpresa per nessuno. La fase successiva era il passare dalle parole ai fatti.
Il promotore della manifestazione accoglieva le domande e forniva le risposte con grande convinzione e slancio, senza risparmiarsi nella gestualità e nella voce.
Era uno studente che frequentava il quarto o quinto anno ed era innegabilmente un riferimento per tutti noi.
In genere, nell’ambiente scolastico ci si conosce per cognome ma nel suo caso bastava il nome: Cloridano. All’epoca era rappresentante degli studenti ma era già molto chiara la direzione in cui avrebbe indirizzato i suoi talenti e le sue energie nella vita da adulto.
Già a quei tempi non a tutti piaceva, non a tutti piace e non a tutti piacerà neanche in futuro.Lui direbbe che questo è parte integrante della democrazia.
Credo, però, che sia doveroso da parte di concittadini, amici ed avversari riconoscergli l’innata passione politica che lo anima, tanto capace quanto ostinata.
Molti politici moderni, accessoriati di misere scatole craniche ma con enormi otri da riempire per se, per i propri figli e per altre sette generazioni, avrebbero molto da imparare da persone come lui.
Ben vengano altri “Cloridano”, a prescindere dalla parte politica di appartenenza, che siano capaci di ridare entusiasmo, vigore e sostanza a questa nostra politica, tanto nobile in passato quanto scaduta oggi.
I ragazzi continuavano a raccogliersi davanti alla scuola e il vociare diventava sempre più forte con l’aumentarne del numero.
Improvvisamente un urlo di Cloridano accompagnato da un ampio sbracciare sentenziò -Guaiù ghe scioper... jem tutt quind a na fiet !-
Partimmo.
Il termine fiet è la storpiatura guglionesana della sigla FIAT e la manifestazione che andavamo a fare era contro le centrali nucleari che si diceva, volevano installare a Termoli (vedi corsi e ricorsi storici).Era stato predisposto un autobus, non so come e da chi, per il trasporto dei manifestanti e quando io arrivai era già stracolmo. In quel periodo andavano di moda i ray-ban a goccia, con le lenti a specchio e a me piacevano molto.
Gli occhiali originali, dato il costo, erano inaccessibili per cui mi comprai i simil-ray-ban dai marocchini, con le lenti rigorosamente a specchio.
L’indossavo già da qualche giorno, con un pò d’infantile imbarazzo ma quando arrivò quella bella giornata piena di sole, ne fui contento perchè mi sembrò più naturale e, quindi, giustificato indossarli. La concitazione era tanta e mentre gli ultimi striscioni venivano caricati nel bagagliaio, le bandiere entravano attraverso i finestrini. Riuscii a salire il primo gradino dell’accesso posteriore ma fui costretto a bloccarmi lì, nel frattempo mi si chiusero le porte a soffietto dietro le spalle. Preso in trappola tra le porte e le persone non stavo comodo ma, mi consolai quando mi accorsi che avevo di fronte una bella ragazza mai vista prima. Lei si trovava sullo scalino appena su più alto rispetto al mio ed era certamente più grande di me di qualche anno. Portava i neri capelli lunghi e sciolti, con dei graziosi pendenti che impreziosivano ulteriormente il collo lungo e grazioso. La camicetta era celeste ed a motivo del gran caldo che c’era, era aperta e non riusciva a nascondere le naturali rotondità.
Mio malgrado mi trovai in una situazione ed a un’altezza alquanto imbarazzante e compromettente.
Pensai tra me che in quella situazione imposta dal caso e protetto dalle mie lenti a specchio, non ci sarebbe stato nulla di male se avessi osato osservare meglio, anche solo a scopo educativo. La strada da percorrere aveva diverse curve e rischiai di diventare strabico nello sforzo di seguire ed inseguire quelle forme che si avvicinavano e si allontanavano a seconda del percorso dell’autobus.
Mentre ero tutto intento alla contemplazione delle bellezze del creato, giunse a scuotermi dall’alto la sua voce a ben strigliarmi:- Ei tu !,...togliti quell’occhiali “tu mi vedi io non ti vedo” perchè voglio capire dove stai guardando!- La disinvoltura con cui mi richiamò mi diede consapevolezza circa la sua esperienza in confronto l’inconsistenza della mia.
Mi sentii improvvisamente avvampare il viso e precipitosamente mi tolsi a due mani gli occhiali. Piombai in uno stato di imbarazzato silenzio. Per il resto del viaggio rimasi con gli occhi incollati alle scarpe pregando perchè si arrivasse a destinazione il più presto possibile.
L’apertura delle porte fu una liberazione.
Era la seconda volta che andavo davanti alla fiet, la prima era stata in veste di tecnico per delle interviste da fare ai lavoratori durante uno sciopero. Io non ne capivo granchè e con il tempo ne ho capito sempre di meno ma reggevo a tracolla l’ingombrante registratore a nastro. Il servizio venne poi trasmesso dalla nostra radio libera che si chiamava “Radio Talpa” e di cui io ero indegno speaker per un programma sulla musica cantautorale. Lì sono cresciuto a pane e De Andrè, dissetandomi con Camerini, PFM, De Gregori, Guccini, Intillimani ed altri.
L'autobus si fermò distante dal luogo di ritrovo, credo che fossimo vicino all’acciaieria Stefana all’epoca ancora attiva. La distanza da percorrere fu notevole, ricordo l’enorme vialone asfaltato con sconfinati campi pianeggianti seminati a grano sulla destra e avena sulla sinistra,e il muro di recinzione della fiet. Oggi è tutto molto cambiato.
A noi si unirono anche altre comitive molto disomogenee tra di loro ed arrivammo a radunarci tutti davanti ai famosi cancelli. Fu una bella manifestazione pacifica e piena di gioia. Condividemmo ed urlammo i motivi che ci portavano a dire no alla scelta nucleare. Lo facemmo a parole, in musica e negli intervalli intonammo fantasiosi quanto simpatici slogan corali.
Dopo qualche tempo, se non ricordo male, nel 1987, il popolo italiano si espresse attraverso un referendum che sancì definitivamente l’abbandono da parte dell’Italia della produzione di energia nucleare. Ora qualcuno pensa che abbiamo scherzato.
Io completai i miei studi tecnici per poi cominciare quelli umanistici universitari mentre ero già a lavoro nell’industria. Lo ero già da un pezzo quando le quattro centrali nucleari, presenti sul territorio nazionale, in virtù del referendum, furono chiuse. Trino Vercellese, Caorso, Montalto di Castro, Latina e Caserta.
Il caso mi portò a lavorare alcuni anni con un collega progettista che veniva proprio da Latina, esperto in impianti per centrali nucleari.
Nei tanti momenti di confronto e scambio di esperienze non mancò mai di esprimermi i suoi timori sulle centrali, accese o spente che fossero.
Discutevamo di come, ad esempio, tecnicamente sussistevano già seri problemi circa la custodia delle scorie radioattive prodotte dalle centrali italiane, nel breve periodo del loro funzionamento.
Le centrali furono fermate ma mai smantellate, le scorie smaltite chissà come e dove.
La nostra conoscenza si tramutò in profonda amicizia e prima di ritornare definitivamente a Latina, volle farmi da padrino per la mia Cresima. Appena rientrato in sede venne mandato a lavorare alla centrale nucleare di Montalto di Castro per le riconversioni successive al referendum.
Oggi lavora in proprio ed ha cambiato settore dedicandosi all’impiantistica tradizionale dei servizi industriali.
La follia più grande che l’uomo possa partorire è l’idea di scatenare una potenza in grado di distruggere l’intero pianeta, e non essere capace di fermarla qualora ce ne fosse necessità. E’ contro ogni criterio di sviluppo volto ad assicurare un migliore futuro alle generazioni a venire, contro l’umanità intera e contro Dio. Serviva Fukushima per ricordarcelo?
Non abbiamo la tecnologia per gestire energia dell’atomo e non è ammissibile trasformare il mondo in un immenso laboratorio sperimentale.
Sono contento nel constatare come la contrarietà al nucleare sia ormai un elemento trasversale in Italia e nel mondo. Bisogna considerare che per quanto i nostri politici vadano o facciamo finta di andare controcorrente, vivendo dei nostri consensi, dovranno fare i conti con questa realtà ormai dilagante.Le centrali nucleari non le vogliamo e a chi dice che tanto, ad esempio, la Francia ne è piena dico che la Francia è in Francia, ogni metro di distanza da simili mostri è un metro guadagnato in sicurezza.Il Giappone è molto lontano da noi….fortunatamente.
La nostra penisola non ha materie prime e tanto meno l’uranio, ha però il sole ,il vento, il mare, la natura e le bellezze storiche artistiche spirituali e gastronomiche che la rendono unica e potrebbero renderla economicamente autosostenibile.
Sulla questione energetica il mio personale pensiero è che si tema il diffondersi e svilupparsi di fonti pulite alternative che, se incentivate, potrebbero diventare sempre più efficienti, con costi d’installazione sempre più alla portata di tutti. Tali tecnologie potrebbero, nel tempo, renderci indipendenti dal controllo del potere centrale.
L’indipendenza è il presupposto basilare per poter condurre uno stile di vita proprio, quindi, non per forza servile rispetto a qualcuno o qualcosa.
Immaginate se ognuno potesse crearsi l’energia da sé e che addirittura ne avesse più di quella che ne abbisogna: la parte eccedente potrebbe essere messa a disposizioni per gli altri, provate ad immaginare i nuovi scenari che si andrebbero a figurare.
Utopia? Forse.
Ad ogni modo se oggi dovesse ricapitarmi quell’autobus di tanti anni fa, mi metterei volentieri al volante e, se dovessi ritrovare la ragazza del gradino, le farei vedere la mia patente, dove è chiaramente indicato che...ormai,.. non ho più l’obbligo di portare le lenti.


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