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PoliticaGuglionesi
Pubblicato in data 13/3/2011 ● Click 1424

La fragilità di una Comunità


Giuseppe Vaccaro © FUORI PORTA WEB

Nel nostro comune le trasformazioni dell’apparato produttivo hanno inciso profondamente nella dimensione della composizione sociale, travalicando il mero aspetto settoriale. Innanzitutto vi è stato il mutamento nella centralità assunta dalla civiltà contadina quale principale categoria del territorio a favore, nel tempo, di una naturale innovazione nella trasformazione delle forme del produrre. agendo direttamente nella filiera di trasformazione. Accanto a ciò negli anni settanta sorgevano proprio nel territorio di Guglionesi due aziende che rappresentavano il tentativo di aprire nuovi orizzonti nel settore produttivo, che fossero in grado anche di sostenere maggiormente l’occupazione. Mi riferisco in primis al polo agroindustriale, con la “Cantina” per la produzione del vino ed il “Conservificio” per la trasformazione dell’allora “oro rosso” nella loro versione cooperativistica, che meglio completava la naturale evoluzione del tradizionale lavoro dei campi giacché realizzava quella filiera corta in grado di assicurare maggior reddito ai produttori. Alcuni indicatori economici testimoniavano come questa felice intuizione, corroborata da adeguate politiche di sostegno, aveva prodotto i suoi benefici, anche se non sempre sostenuta da un management indipendente da una politica invadente per l’ottenimento di ricompense clientelari. I benefici di queste due aziende agroindustriali andavano oltre il settore di riferimento per interessare quanti, come lavoratori stagionali, soprattutto donne, avevano l’opportunità di integrare il proprio reddito familiare. Nell’altra fattispecie grazie all’A.C.E., diventata poi I.R.C.E., la produzione dei cavi elettrici trovava in zona uno snodo importante poiché l’azienda, grazie ad un connubio felice con il territorio e con le istituzioni locali, investì capitali per ampliare i capannoni industriali e le attrezzature per giungere a fare un buon prodotto ed a conquistare una buona fetta di mercato. Tralascio in tale considerazione il gessificio poiché tale sito produttivo è stato delocalizzato anche se in zona limitrofa. Quello che mi preme sottolineare non è la causa delle rispettive crisi aziendali, molto probabilmente dovute a fattori intrinseci e legate al mercato ed ai riflessi della crisi economica, ma il silenzio quasi assordante che è calato su queste realtà che avevano una rilevanza enorme nel vissuto del nostro comune. Abbiamo visto chiudere il Conservificio senza che si levasse alcuna voce; assistiamo impassibili ad un incerto incedere della Cantina: stentiamo persino a considerarli come facenti ancora parte del nostro territorio dopo averne rimosso l’indissolubile connubio. Ma i danni provocati da questa dissociazione sono molto evidenti: a risentirne è l’intero settore produttivo agricolo, che poteva trovare proprio in un vero distretto agroalimentare quella filiera corta in grado di poter valorizzare meglio i propri prodotti. Questa crisi è ampia perché vasto è il settore della produzione agricola nel nostro comune: oggi ai nostri agricoltori resta solo l’auspicio di “non morire” ed essere ricattati dalle lusinghe dei pali eolici o dei campi fotovoltaici. La stessa ripresa produttiva del Conservificio è avvenuta senza aver suscitato grandi entusiasmi, anche per l’assenza di un evidente piano industriale che dia certezza di convenienza ai produttori. In questo quinquennio la politica locale ha dimostrato tutte le sue lacune, troppo interessata alle diatribe del Cosib e poco alle specificità del nostro territorio. Si recuperi il tempo perso e prima che i Consorzi vengano cancellati si arrivi al riconoscimento di un distretto agroindustriale nel nostro territorio in grado di attrarre finanziamenti dai fondi strutturali per il potenziamento e l’implementazione di realtà produttive in grado di valorizzare ed orientare la grande potenzialità produttiva agricola locale. Ma analogamente, anche nella vicenda dell’IRCE, non si possono lasciare tanti operai in balia di un incerto futuro causato sì da una crisi di commesse, ma soprattutto da una non chiara strategia industriale. Si respira tra loro un’aria di rassegnazione caratterizzata da un atteggiamento sconsolato e disarmato, dovuto al fatto che la situazione non si risolverà a breve. La crisi non è uno stigma che riguarda solo gli addetti al settore, ma produce una vulnerabilità sociale atteso i riflessi che essa ha sulla condizione e sul potenziale destino di una comunità. Qui la politica deve soprattutto intervenire per richiedere un tavolo di concertazione, in cui la parte datoriale delinei un percorso per individuare una strategia per il futuro in grado di coinvolgere i lavoratori interessati a fare la propria parte, in quel territorio la cui simbiosi favorì la soluzione di una precedente crisi aziendale grazie allo sforzo congiunto di tutti gli attori.


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