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Pubblicato in data 13/7/2010 ● Click 1810

Il federalismo fiscale e la "Questione Meridionale"


Filippo Salvatore © FUORI PORTA WEB

Il federalismo fiscale con la conseguente moralità pubblica è, con la difesa della libertà di stampa, uno dei grandi temi alla ribalta durante l’estate del 2010 in Italia. Nella Finanziaria 2011 il ministro dell’economia Giulio Tremonti ha previsto tagli alle Regioni per un ammontare pari a 4 miliardi di euro. Malgrado le proteste, lo scontro con il Governo centrale continua. L’esecutivo tira dritto, lasciando inalterato il budget e rende solo più flessibili le riduzioni e premia le autonomie virtuose, ossia le regioni amministrate efficientemente. Il Governo insiste coi tagli e si prepara a porre la fiducia sulla Manovra. Dal braccio di ferro Roma-Regioni saranno limati i numeri ma il grosso dei risparmi si farà proprio sui trasferimenti ai comuni e alle regioni. Con riferimento al 2009 la spesa consolidata per le amministrazioni regionali è stata di 799 miliardi di euro, e di 255 miliardi di euro, spesa non consolidata, per le amministrazioni locali.
Una piccola regione come il Molise, al limite del collasso per via dei debiti della sanità e per le arretratezze del suo sistema produttivo, rischia di non reggere più e di scomparire E non sarebbe un male, perché venti regioni sono troppe come faceva notare la Fondazione Agnelli negli anni ‘90 che proponeva di ridurle a dodici. Personalmente sono convinto che le Regioni, o compartimenti, dovrebbero essere solo otto con una popolazione media di 6-7 milioni, ad eccezione della Sardegna.
Con la grave crisi economica , sono inevitabilmente venuti al pettine i nodi che si trascinano da decenni, sul mancato riordino istituzionale, su un prodotto interno lordo che vive per lo più di spesa pubblica, sull’inadeguatezza di una intera classe dirigente. Servirebbero amministrazioni efficienti, semplificazione burocratica, eliminazione di enti sub-regionali, accorpamento di consorzi, unioni di comuni, incentivi alle imprese private alternative all’indotto della pubblica amministrazione, costi istituzionali minori e maggiori dotazioni per i servizi essenziali e per la produzione di ricchezza. Questa è la diagnosi per la Regione Molise, ma il discorso si applica anche alle altre regioni del Mezzogiorno d’Italia.
Si riuscirà a trovare in tempi brevi una cura ad un corpo politico invaso da metastasi? É il male della cattiva amministrazione, della mala sanità, del clientelismo, veramente inguaribile? Un indizio significativo lo conferma.
All’inizio di luglio 2010 il ministro Giulio Tremonti ha attaccato le istituzioni regionali meridionali che hanno diritto ad ingenti fondi europei, ma poi non li spendono. Per il Sud c’è stato uno stanziamento nell’ambito del programma comunitario 2007-2013 pari a 44 miliardi di euro dei quali ne sono stati usati solo 3,5. Un vero scandalo. «Mentre cresceva la protesta contro i tagli subiti, aumentavano i capitali non usati - ha evidenziato il ministro -. Più il Sud declinava, più i fondi salivano. Questa cosa è di una gravità inaccettabile». E la colpa - ha aggiunto - «non è dell’Europa, dei governi di destra o di sinistra, ma è colpa della cialtroneria di chi prende i soldi e non li spende... non si può continuare con questa gente che sa solo protestare ma non sa fare gli interessi dei cittadini».
Il ministro Tremonti ha posto un problema fondamentale per la nascente Italia federale.. Non è sbagliato parlare di "cialtroneria", anche se occorre non generalizzare: certamente la parcellizzazione delle risorse in mille rivoli, la mancanza di una progettazione affidabile, la lentezza della macchina degli investimenti, lo spostamento di fondi su obiettivi tutt'altro che prioritari, l'uso clientelare di molte somme, non sono atteggiamenti seri.Questi atteggiamenti sono diffusi, però, anche in molti ministeri e aziende dello Stato nazionale che incontrano le stesse difficoltà.
É necessario allora rilanciare una politica nazionale che dia direttive chiare sulle soluzioni da percorrere per superare questa impasse amministrativa generalizzata. Si individueranno così le soluzioni e si smaschereranno i "cialtroni" veri, che non hanno alcun interesse a modificare la situazione.
É già iniziata l’inevitabile “cura dimagrante”? Un primo segno arriva dalla Sardegna. Il governatore Ugo Cappellacci, ha fatto sapere che ridurrà del 20% la sua indennità e quella degli assessori, e del 50% il parco auto della Regione. Le auto pubbliche in Italia, secondo una prima stima, sono 90,000, di cui 30,000 auto blu. I papaveri di Stato, gli appartenenti alla casta, godono di un’auto privata con autista e costano 297 milioni di euro all’anno. Il numero reale delle auto pubbliche si aggira sulle 150,000; gli autisti dei vari politici ed amministratori sono circa 5,000. I politici italiani costano quasi il triplo di quelli degli altri grandi paesi europei come la Germania. Tanti sono i privilegi per la casta e tantissimi sono gli sprechi. Ecco cosa va eliminato. Ma c’è da aspettarsi tante, tantissime resistenze.
Il Ministro Tremonti ha forse esagerato nel definire <cialtroni> quegli amministratori che non hanno saputo impegnare le risorse stanziate, ma ha posto una questione importante.
Il Sud ha ora l’occasione per dimostrare al Ministro che sbaglia, facendo leva sulle sue forze migliori, produttive e politiche, per rimuovere quelle anomalie che da tempo ne bloccano la crescita. La novità del federalismo fiscale è che prevede delle censure importanti a chi amministra male il proprio territorio, ritardandone lo sviluppo.Il federalismo fiscale non è semplicemente un pallino della Lega Nord: è una necessità imposta dalla riforma costituzionale varata alla fine degli Anni 90 dal centrosinistra (la cosiddetta “riforma Bassanini”), che ha introdotto nella Costituzione il principio di sussidiarietà e ridisegnato i poteri del governo centrale e delle amministrazioni periferiche. É la più importante ristrutturazione istituzionale dal dopoguerra in poi, una svolta di ammodernamento positiva.
La riforma Bassanini aveva dato alle Regioni i poteri ma non i soldi, che arrivavano da Roma senza controllo: Le regioni presentavano il conto e l’amministrazione centrale saldava. Si è creata una spirale per cui le Regioni virtuose hanno contenuto i costi, assunto poco personale, sviluppato le competenze con responsabilità; altre regioni, soprattutto al Centro-Sud, hanno invece sperperato lo sperperabile, soprattutto nella gestione della sanità tant’è che Roma ha dovuto commissariarle per tappare i buchi di bilancio.
Il federalismo fiscale va inteso come capacità delle Regioni di governare le proprie risorse. Esso imporrà loro un principio di responsabilità: il criterio del costo standard per le prestazioni sanitarie e il principio del fallimento politico. Gli amministratori incapaci non potranno ricandidarsi. Non si tratta quindi di una rivolta del Nord contro il Sud, ma di un intervento per riportare sotto controllo la spesa pubblica. Riuscirà il federalismo fiscale a risolvere i problemi del Sud? Si riusciranno a creare in tempi brevi le condizioni per uno sviluppo autonomo del Mezzogiorno? Solo il tempo ce lo dirà. L’ ostacolo principale da sormontare è l’abulia delle classi dirigenti meridionali. Nelle regioni più arretrate non è ancora in atto alcun piano di bonifica radicale delle istituzioni. Saranno i politici in grado di mutare comportamenti e abitudini sedimentati? Le amministrazioni locali, con la loro inefficienza, cesseranno di frenare lo sviluppo? Cesseranno soprattutto le connivenze con il crimine organizzato in regioni come la Sicilia, la Calabria, la Campania e la Puglia?
Questo è il problema ineluttabile che l’Italia del primo decennio del terzo millennio deve affrontare concretamente e deve assolutamente risolvere. Il federalismo fiscale che responsabilizza gli amministratori regionali e locali si rivelerà sufficiente? C’è da augurarselo, altrimenti le conseguenze saranno catastrofiche. Il Mezzogiorno sarà condannato all’arretratezza, al declino, al trionfo della illegalità. Nessuno, nei 150 anni di unità nazionale, è stato in grado di porre rimedio alla Questione Meridionale. Certo i i tempi sono cambiati, tuttavia come faceva notare Lampedusa ne Il Gattopardo a proposito dei Siciliani ‘la loro vanità è più grande della loro miseria. I Siciliani non vorranno cambiare perchè si credono perfetti.’ Ma questo lo diceva nel 1958.
[L'articolo del prof. Salvatore sarà pubblicato nel prossimo numero di PanoramItalia, agosto 2010]


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