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CulturaGuglionesi
Pubblicato in data 22/10/2009 ● Click 1761

L'intreccio tra media e politica


Pietro Di Tomaso © FUORI PORTA WEB

"Cari amici di ‘Fuoriportaweb’, vorrei replicare a Pierino Raspa che ringrazio per la pacatezza del tono, le gentili parole nei miei confronti e per l’auspicio al dialogo.
Dico subito che la mia citazione di Eugenio Scalfari era circoscritta alla condivisione di un principio deontologico della professione giornalistica. Io non ho parlato di un giornalismo mitico. L’obiettività, naturalmente, è una linea di tendenza. Il buon reporter dà la migliore versione possibile della verità. Un compito difficile, che si persegue cercando e verificando tutte le fonti a disposizione. Scoprire uno scandalo finanziario, certamente non fa piacere. Raccontare un retroscena politico, che metta in difficoltà un ministro e un intero governo, certamente non fa piacere a loro, ma questo è giornalismo. Questo va fatto, questo deve essere fatto. Ciò precisato, vediamo dunque di trovare tra noi almeno un consenso per intersezione su di un denominatore comune.
In filosofia si parla di consenso per sovrapposizione o per intersezione: io non ti chiedo di rinunciare alle tue credenze ma ti chiedo di trovare, all’interno delle tue credenze, le ragioni per aderire a questo punto di convergenza. La democrazia è un insieme di poteri che si frenano l’un l’altro affinché nessuno commetta abusi. E questo equilibrio viene garantito dalle costituzioni e dai poteri autonomi, tra cui la stampa e la televisione. Andando sul concreto, i tg pubblici non devono cancellare le notizie per sostituirle con pseudocommenti a notizie non date. “I fatti sono sacri, il commento è libero”; questa dovrebbe essere la linea deontologica a cui tendere. Dopodichè ognuno esprime le sue opinioni e prende posizione. Ritengo quindi che sia legittima la domanda del direttore di Famiglia Cristiana, don Sciortino. “Quello che accade non riguarda solo il giornalismo. Quando in un Paese è in discussione la funzione del giornalismo, la sua libertà di esprimersi, di criticare o di commentare le azioni di un potere che non è solo potere di governo, ma pervasivo controllo del sistema mediatico, possiamo parlare di vera democrazia?” Al lettore la risposta.
Intervistato dalla Nessma Tv, a Tunisi, dove era andato a inaugurare una nuova emittente televisiva, il premier ha dichiarato: “Una nuova televisione è sempre un miracolo e una meravigliosa festa, perché non c’è nulla nell’epoca moderna che influenzi le persone più della televisione”.
E’ vero, e da questa constatazione ci si chiede: con quali contenuti, con quali obbiettivi la tv “influenza le persone”? Nessuno, meglio del padrone di una tv, può rispondere a queste domande.
Berlusconi, da padrone di televisioni, ha influenzato gli italiani fino a cambiare il loro senso comune e creare per sé un illimitato potere economico, psicologico, politico, e dar vita a quel nuovo strumento della politica che Ilvo Diamanti ha definito il “partito mediale di massa”. L’intreccio tra media e politica – ha ricordato il politologo e sociologo – è divenuto stretto e quasi inesplicabile. Questa tendenza “in Italia ha assunto modalità del tutto inedite, determinate dalla posizione dominante di Berlusconi”. Ha inventato un partito che miscela i linguaggi del calcio, della pubblicità, della tv e della politica e in tale partito – aggiunge – ideologia, cultura e organizzazione fanno tutt’uno con i media e i cittadini si trasformano in pubblico. La differenza tra Rai e Mediaset è quasi del tutto scomparsa, con ruolo subalterno della Rai, sicché l’ultimo bipolarismo è tra ‘Mediarai’ e Sky, come dice Aldo Grasso, uno dei critici televisivi fra i più attenti. In queste condizioni, la carta stampata, pur ridotta a pochi milioni di cittadini-lettori, torna il campo di battaglia “dove si svolgono i conflitti politici più aspri”. Aggiungasi che la crisi economica costringe le aziende editoriali a cambiare i direttori dei loro giornali per avere aiuti dal governo, merce di scambio (Stampa, Il Sole-24 Ore, Corriere della Sera). Il premier invita gli imprenditori a non dare pubblicità ai giornali che lo criticano e a mezzo di querele milionarie cerca di far precipitare editori e giornalisti nella paura e nel bisogno in modo da costringerli a rinunciare al pensiero e alla parola. Insomma, il problema reale è il pericolo di un’informazione corrotta dal potere e corruttrice del Paese. La stampa resta formalmente libera, ma svuotata, grazie al mutamento dell’informazione pluralistica, e per quanto possibile obbiettiva. Il Censis ha rilevato, ma solo qualche giornale lo ha scritto, che nelle elezioni europee dello scorso giugno il 70 per cento dei votanti si è informato della campagna elettorale attraverso i telegiornali. Cinque telegiornali su sei del blocco Mediarai sono nelle mani proprietarie o politiche del presidente del consiglio: donde il rischio, identificato non da oggi, di una “repubblica presidenziale a reti unificate” e del pensiero unico.
Dopo quanto detto, possiamo parlare di un’avventura politica, quella di Berlusconi, fondata sull’estraneità alla democrazia e al costituzionalismo liberale? Di monopolio televisivo e di conflitto d’interesse? Di imbonimento delle masse mediatizzate e di fuga dai media e dalla politica di quanti, disgustati dagli uni e dall’altra, si rifugiano nella non partecipazione? Io penso di sì. Ma il partito mediatico di massa non ha bisogno di istituzioni, perché gli basta l’impulso elettronico (il telecomando); non gli importa se i giornali vivano, perché gli basta il Tg, tanto meglio se nasconde le notizie e rifiuta dibattiti e inchieste. Il recente appello ai giovani di Giorgia Meloni, “Non leggete i giornali”, come interpretarlo? E’ un problema di cultura: urge che la cultura riplasmi il Paese.
Sono dell’avviso, caro Pierino Raspa, che destra, centro, sinistra sono termini che non hanno un significato nel presente. Servono per capire il passato, ma non sono utili per costruire il futuro. Obama non smette d’insistere sui disastri dei tempi brevi, sull’obbligo di “Costruire il futuro”. E’ significativo che Fini abbia dato vita a una Fondazione che usa parole analoghe, “Fare futuro”, e che i tempi lunghi siano un suo pensiero dominante. A me sembra cruciale – guardando alla situazione italiana – pensare a un futuro in cui uno degli scopi centrali della politica sia quello di consentire alle persone, sullo sfondo dell’uguaglianza delle opportunità, di realizzare i propri progetti di vita. In fondo è una reinterpretazione, alla luce del XXI secolo, dell’articolo 3 della Costituzione italiana. “Patriottismo costituzionale” è l’espressione inventata dal filosofo Habermas. L’idea è quella che solo il riferimento alla legge fondamentale potesse generare la coesione sociale, lo stare assieme. Occorre, a mio avviso, prendere sul serio la libertà delle persone, la loro dignità ed avere a cuore l’equità delle condizioni di partenza per cui le persone possano esercitare responsabilmente la loro libertà. Una prospettiva progressista richiede che si lascino alle spalle i residui ideologici che hanno dato anche prove tragiche di sé. Oggi, la discriminante tra conservazione e progresso oltre che a livello di modello sociale si pone anche nel rapporto con l’ambiente, la tecnologia e la scienza da una parte, e dall’altra nella questione della globalizzazione che aggiunge a questi temi quello della cittadinanza e delle culture. Il problema fondamentale, oggi, è quello di come ripensare la politica nell’epoca globale, nel mondo globalizzato.
Caro Pierino, mi chiedi di dire qualcosa sul PD. Io non sono un iscritto al PD, anche se nelle ultime elezioni ho dato il mio voto a tale partito in quanto ‘plurale’ e con l’obiettivo di una ‘contaminazione’ delle varie sensibilità politiche ivi esistenti, riconoscendomi nel piccolo gruppo liberaldemocratico (con sfumature obamiane) che vi milita. Il successo dei liberali tedeschi, consiglierebbe forse, al futuro Pd, di tornare alla carica sulle liberalizzazioni (che vantaggi, specie ai giovani, ne porterebbe), unitamente alla riduzione delle tasse, ponendo al centro della politica il cittadino e le sue esigenze. Speriamo. Naturalmente resta aperto il problema del rapporto con le altre opposizioni (leggasi alleanze), il tema della laicità dello Stato, la politica della giustizia, della scuola. Inoltre, occorrerà riformare – a mio parere – l’intera struttura sociale (leggasi privilegi di nascita, riottosità di corporazione, discriminazione delle donne, cariche assegnate per cooptazione, deputati e senatori non eletti ma designati dalle segreterie, trionfo del demerito e crisi della legalità, spaventosi conflitti d’interesse, università baronali, professioni ereditarie, politica divorziata dalla cultura, ministri per meriti speciali, precariato a vita, patrimoni ereditati senza tasse e quindi niente uguaglianza dei punti di partenza, conseguente esclusione dei giovani, e via elencando).
Mi chiedi, altresì, di riflettere sulla tornata elettorale del 2001. Ebbene, ritengo che milioni di elettori siano stati catturati dal messaggio subliminale: "Votatemi e sarete come me” (Berlusconi). Già allora Claudio Rinaldi constatava: “Il mondo fittizio degli spettacoli tv, con i protagonisti sempre tirati a lucido e variamente fascinosi, l’allegria forzata, gli applausi a comando, la felicità a portata di mano, anticipa e prepara il mondo reale su cui scommette la Casa delle libertà, un mondo dove tutti hanno tutto”. Nasceva la telecrazia. Per concludere, sulle opinioni espresse in questo articolo qualcuno sarà d’accordo, altri no. Importante è discuterne civilmente, partendo dalle parole di Voltaire: “Non condivido quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto di dire quelle cose”.
Con tutta stima e amicizia, Pietro Di Tomaso."


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