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PoesiaGuglionesi
Pubblicato in data 28/7/2009 ● Click 1678

E fu l’apocalisse


Filippo Salvatore © FUORI PORTA WEB

E fu l’apocalisse
Poesia di Filippo Salvatore


I - L’apocalisse

Squarciano raggi lunari
l’oscurità, l’acqua delle rapide
gorgoglia ancora, striduli guaiti di arpie
pencolanti frangono il silenzio e
mormorii e lamenti di bimbi
di vecchi, di madri, di padri
ed echi felpati tra le macerie.

…improvvise nubi rosso sangue,
nascondigli di portenti per l’occhio
sbigottito, inscrutabili umori, catene
di vapori in viaggio sempre verso
aurore boreali, incolumi…

Solo innesti di sangue superstite,
irochese, sannita, vichingo, cinese,
già arcane memorie, labili speranze
del crogiuolo inorganico, labili radici
su pianori già da scuri disboscati,
labili tende sventrate, labili iglù fusi
e dove fu il centro, il battito metallico
ai piedi del monte con la croce
di re Francesco, disonore di Pavia,
parallelepipedi spettrali e cumuli
e cumuli di cemento grigiastro
a corona sui pendii e gradinate
bruciacchiate, annerite, barcollanti
di quercia intagliate, di stampo vittoriano.

Rotola ancora il fiume maestoso
già rotta falsa per l’oriente,
per spezie, anime ed oro,
scarico dei laghi immensi,
fogne poi di fabbriche del continente
sconosciuto, dominatore col sangue
di plebei ripuliti, obesi, ingordi di guadagno,
convinti, illusi, di poter stuprare
foreste, colline, pianure,
tundra, deserti, fondi di mare,
di poter massacrare senza dover pagare.

Ma poveri vennero gli antenati,
in stive di vascelli nauseabondi,
tutti schiavi, chi dalla fame scacciato,
chi con mani e piedi incatenato,
chi per onta bandito,
chi per intolleranza,
tutti con dolore in gola
di rimpianto, di disperazione, di speranza.

… memento martoriato, pietre tombali
senza nome, resti di nuovi dinosauri
da atomi, non da vermi divorati.
Superstiti papille incredule,
accecate da esplosioni accecanti,
in coro già clamanti nei grattacieli,
in coro già clamanti negli anfiteatri,
in coro già calmanti sugli spalti
da clienti plaudenti,
ora sognando aceri, olmi, betulle
querce a perdita d’occhio spariti, svaniti…

Cicatrici, funghi, piaghe, scaglie,
ecco i tatuaggi della vecchia razza.
Ecco il nuovo Principe,
bruno, sano, come i rampolli di domani,
già deriso perché senza divisa,
eroe sconfitto che sapeva
e temeva telefoni rossi e spalline con tre stelle,
temeva le arcane stanze dei bottoni.

… ebbero leggi nuove, buone,
frutto di sanguinose rivoluzioni,
ma ebbero anche esperti pretoriani,
perentori, senza senso.
Trionfò l’assiomatico vangelo
del rancore e fu l’apocalisse…


II - Ricostruiamo la città

Ricostruiamo la città!
sui muri diruti, sui muri intatti
scolpiamo i nuovi comandamenti.
Il sangue superstite è di tutti i continenti.
Da aridi greti, da rocce squarciate
risgorga lenta la goccia, poi zampilli,
polle, poi sorgenti possenti a fiotti
si riespandono tra ceppi inceneriti,
tra brulli picchi.

L’apocalisse non è nulla permanente!

Ricordo è il turbine di fuoco,
ricordo l’assordante boato,
ricordo il rantolo di tanti sfigurati.
È vita l’acqua seppellita nelle crepe,
è vita di vita la vergine superstite,
è vita, vita, vita il segreto del nuovo
innesto che solo tu, Principe, possiedi.
E te ne nutri e ce ne nutri e ci nutriamo
del frutto dell’acero e dell’ulivo,
della betulla e del carrubo,
della quercia e del banano.

È sapore da scoprire
per degni, nobili palati,
per chi ha rincorso il bisonte
tra l’erba ondeggiante delle praterie,
per chi ha procreato su banchise galleggianti
e navigato tra iceberg appena emergenti,
per chi ha scoccato l’arco
e dato il colpo di grazia alla gazzella sanguinante,
per chi ha dormito all’ombra si sequoie e baobab,
per chi ha colto corolle
di ninfe benigne e volenti nelle pinete aulenti.

L’apocalisse non è nulla permanente!

Al bivio sciacalli e iene divorano
viscere tossiche azzannandosi.
Nascosto in uno scantinato il lupo,
venale sicario degli eterni ciclopi,
aspetta famelico in agguato.
Nei crocevia l’immancabile fariseo
semina tra cumuli di mattoni il suo odio
e loda il lustro dei vecchi pretoriani
e reclama la diretta discendenza,
l’esclusività del lignaggio,
i privilegi e la prelazione
dei primi colonizzatori.

Ti onoriamo, Principe,
e celebriamo la tua saggezza,
e la nostra nuova appartenenza.
Non titubare: scaccia dal tuo regno
i nostalgici ed i venali, schiaccia la testa
delle lingue biforcute, velenose.

L’apocalisse non è nulla permanente!

III - Giaci, bella tra le belle

Giaci, bella tra le belle!
La notte è propizia,
mutuo, ardente il desiderio.
Avvicinati.
Avorio sono i tuoi capezzoli,
sanno di muschio i tuoi capelli crespi.
Sa di caldo miele la tua pelle di creola.

… e palpare, scoprire le labbra socchiuse,
rosee in trepida attesa. E
vedendoti gioire, sofficemente sprofondare
nella morbida fessura, fonte di piacere,
sorgente della nuova razza.
Lentamente ti lasci invadere e
diventati uno, dolcemente ondeggiando
riscopriamo l’estasi dell’amplesso…

Così,
testimoni la luna e le stelle,
fu piantato il seme della nuova vita.
“ E fu un’azione buona! “
sentenziarono gli anziani ai superstiti
seduti all’indiana lungo la ripa del fiume.

Solo in lontananza si udì
un ululato in dissonanza.


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