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CulturaGuglionesi
Pubblicato in data 12/9/2024 ● Click 294

La fabbrica all'epoca delle migrazioni dal sud


Arcangelo Pretore © FUORI PORTA WEB

Al fine di affrontare la recensione del libro di Isidoro Antonio Sorella “la fabbrica brucia” che a me personalmente affettivamente sta a cuore faccio riferimento ad un aneddoto personale per far comprendere quanto le tematiche affrontate, che si configurano tutte come poliedriche sfaccettature correlate e ben integrate all’interno del lavoro che l’autore ha svolto per decenni all’Altissimo .
Dei tanti motivi di riflessione aperti inizialmente mi ha incuriosito un aspetto generalizzante che nel microsociale di quartiere fa prevalere la professione svolta nel suo tempo lavorativo al nome proprio .

L’autore pur essendosi professionalizzato svolgendo diverse mansioni all’ Altissimo , all’esterno della fabbrica non viene individuato nell’intorno sociale di vita con la professione svolta , bensì in modo generico come l’operaio che lavora nell’indotto della fanaleria. A differenza , a me capita ancora adesso di essere individuato e categorizzato in modo più ristretto come il ‘prof’ , ovvero con il lavoro che per decenni ho svolto, quindi in modo similare entrambi siamo stati connotati e individuati con la professione al posto del nome . D’altronde il mio , come tutti i nomi è generico, perfino spiritualizzato, ma, non santificato ; un nome che non ho scelto , ma è ricorso all’anagrafe per successione , imposto dalla tradizione familiare. In questa differenza di ruoli sociali, generalizzante il primo, più caratterizzante il secondo è rintracciabile la diversità del “ prodotto” lavorato . L’operaio dopo una serie di interventi su una materia prima informe confeziona un prodotto in serie , vendibile sia sul mercato interno che su quello estero ,magari lontanissimo dalla zona di produzione : Stati Uniti, Canada ,Cina … mentre l’insegnamento in modo ricettivo e cumulativo modifica e forma dal punto di vista civico le persone nel periodo della loro crescita fisica e mentale . E, in genere ,almeno nel periodo della scolarità primaria e secondaria , la scuola di riferimento ha il suo bacino d’utenza nell’intorno o nel quartiere di residenza , di modo che si stabilisce un’aspettativa sociale sul “ capitale umano “ in trasformazione a scuola da parte di genitori interessati al processo formativo . Da ciò ha origine la non esiziale differenza professionale del lavorare in fabbrica sulle cose o del lavorare sulla conoscenza delle persone . In seguito, a conclusione del processo di manifattura di oggetti o di formazione scolastica sia gli oggetti che le persone potranno andare anche molto lontano , ma le prime, diventate generiche cose , nel tempo perderanno il loro essere stati oggetto attraverso il lavoro della costruzione sociale , mentre le persone dal punto di vista esistenziale ( tenendo a mente” l’omnia mea mecum porto” dei latini ) opereranno , secondo il sociologo John R. Searle, direttamente la costruzione sociale. Non è qui secondario l’aspetto affettivo parentale e amicale che si stabilisce intorno al prodotto formativo scolastico umano , peraltro oggi vendibile come fosse una merce qualsiasi sul mercato ; da qui la mia riluttanza a considerare “il “capitale umano vivo” alla stessa stregua dello stock di capitale morto impiegato in fabbrica .

Chiuso l’excursus torno al libro di Isidoro Antonio Sorella: un indagine fattuale, quella operata dall’autore, che trova un puntuale riscontro negli archivi dell’Altissimo - Un’indagine meticolosa che rappresenta uno scavo guidato scandito dai tempi di lavoro , dall’ intensa attività sindacale interna ed esterna alla fabbrica in quanto nel contempo il Sorella è stato lavoratore e attivista sindacale nonché a lato e in parallelo si è acculturato fino a laurearsi all’Università . Un vissuto esistenziale in cui lavoro ed azione sindacale con complementarietà si compenetrano a volte in modo conflittuale a volte in modo armonioso ed innovativo . Due poteri si contrappongono all’Altissimo : il potere padronale e quello delle maestranze in larga parte sindacalizzate che hanno acquisito nel loro tempo di lavoro per lo più a tempo indeterminato una coscienza di classe , guidati dal filo rosso intrecciato della politica aziendale e da quella sindacale. Il Capitale privato o finanziario che fosse, con le sue articolazioni materiali strutturate sul territorio : i capannoni, i macchinari , le linee o le isole di produzione , l’organizzazione aziendale del lavoro.., i volumi di produzione vendibili … e l’ utilizzo della forza lavoro ; il “capitale umano” : una sintesi sempre essente tra lavoro manuale e allo stesso tempo supervisione mentale e personale del medesimo , reclutato nel sociale vicino e lontano (com’è accaduto all’ autore ).La carne viva operante che nella compartecipazione alla produzione quotidiana di oggetti , a compenso del lavoro svolto , porta a casa il salario. Lo stock di Capitale e il Capitale umano nella loro reciproca interazione produttiva sono sempre in equilibrio precario ( tant’è che a fronte di un bilancio aziendale annuo di quaranta miliardi nel periodo di relativa efficienza degli impianti e delle maestranze , il passivo ammontava a sette miliardi ) dovendosi districare tra il profitto spettante alla proprietà e la necessità di strappare dalla contrattazione aziendale qualche incremento salariale . E nei periodi di crisi aziendale e di riorganizzazione del settore dell’indotto è toccato al Sindacato dare suggerimenti costruttivi nella organizzazione del lavoro al fine di allontanare o ridurre la cassa integrazione , al fine di evitare i licenziamenti , come quelli ventilati dai manager dell’azienda dell’Altissimo che come contributo alla ricostruzione aveva richiesto dopo l’incendio della fabbrica un implemento della produzione del 25 % . Uno sforzo produttivo condiviso dai sindacati dietro un blando corrispettivo compensativo o monetizzato nonché attraverso una suggerita (spesso disattesa) , maggiore autonomia nell’organizzazione del lavoro . Ed è qui che paradossalmente colgo , in senso marxiano, un insolito scambio dei ruoli che vede l’azione sindacale rimediare alle inefficienze dirigenziali ( riluttanti nel ricostruire ciò che era andato in fumo ) comunque volta ad implementare i volumi di produzione per rendere competitivo soprattutto sul mercato estero il prodotto lavorato . Il paradosso in questo frangente si appunta sul fatto che i lavoratori pur di conservare il posto di lavoro in modo improprio attraverso la contrattazione sindacale si sostituiscono in parte ai doveri della proprietà invertendo in tal modo i ruoli. Infatti approntando i sindacati i loro contropiani di produzione si sostituiscono alle specifiche prerogative manageriali aziendali che , a prescindere , per merito acquisito nel ruolo , avrebbero dovuto contribuire al successo economico della parte padronale .

Si snoda nel libro , come accennato, un filo rosso che testimonia della lotta incessante , tra la parte padronale e le maestranze fatta di comunicati padronali , contrapposti a volantinaggi interni sindacali , fino all’organizzazione di scioperi portati all’esterno della fabbrica attraverso manifestazioni gridate per le strade di Moncalieri , di Trofarello… Il capitale “ tout court “ fatto di impianti , macchine utensili , materia in lavorazione da trasformare per l’industria di Altissimo in oggetti della fanaleria nel diffuso indotto al servizio dell’automotive dell’ hinterland torinese e non solo ; infatti , significative commesse per lunghi periodi provenivano anche dall’americana General Motors . D ‘altra parte , a vivificare lo stock di capitale degli imprenditori, contrapposto c’era il capitale umano ( mi si passi la locuzione , che non condivido poiché riduce l’uomo in rapporto mansionario con la sua macchina a cosa , ma il concetto è oggi in auge per la maggior parte degli economisti nonché di coloro che si occupano di politica industriale).
Ovviamente lo stock di capitale morto senza la complementare vivificazione oggettuale operata dalla componente umana ,risulterebbe materia inerte e improduttiva , incapace di generare profitto . Da qui la “pretesa” e la contrapposizione dei lavoratori , in genere proletari , di entrare in merito attraverso la mediazione sindacale dell’organizzazione del lavoro , di contrattare l’evoluzione in fabbrica della professionalità ( l’ascesa nei livelli ) a cui corrispondono retribuzioni maggiorate . Il conflitto, o meglio ,la contrapposizione Padronato-Sindacato è di natura politica e non solo attiene alla giusta titolarità della proprietà degli impianti , dei macchinari e dei suoi organizzatori aziendali del lavoro e all’altrettanto giusta rivendicazione del ruolo svolto dai lavoratori riluttanti nel venir considerati come alienati Charlie Chaplin del film “ Tempi moderni “del 1936, a cui sfugge il prodotto poiché di fatto compartecipano ciascuno in minima parte alla sua realizzazione poiché vedono e lavorano solo pezzi e non hanno cognizione e coscienza dell’intero assemblaggio … nel caso specifico, di un fanale . Allora si rende necessario superare in fabbrica il vecchio fordismo della desueta linea di produzione , con l’avanzamento metodico in successione dei pezzi da lavorare, di superare anche il taylorismo e perfino il “giusto in tempo “ dei giapponesi per approdare ad un sistema “isola” , circolare , che ingloba al suo interno più democrazia permettendo la rotazione delle mansioni operaie all’interno del gruppo di lavoro con un oggettivo aumento della professionalità di ciascuno lavoratore .

Da qui ha origine e si sostanzia la sacrosanta richiesta da parte sindacale di una maggiore retribuzione , avversata dalla parte padronale che ha avuto sempre la tendenza a contrastare e perfino a disfare tale relativamente autonoma organizzazione del lavoro anche a discapito di una maggiore produttività riscontrata nelle isole di produzione sperimentali . Tuttavia la lotta incessante tra Proprietà e Maestranze per estrarre profitto e remunerazione dal capitale che nel difendere i margini di guadagno spesso ha operato , attraverso fusioni e parziali delocalizzazioni nell’indotto un ridimensionamento delle maestranze , a velate minacce di licenziamenti, al ricorso alla cassa integrazione o ha incentivato i prepensionamenti. E, soprattutto , negli avvicendamenti generazionali si è assistito al passaggio dal lavoro a tempo indeterminato al lavoro a tempo determinato precario flessibile , specie giovanile . Non entro in merito della flessicurezza poiché nel libro, essendo la fabbrica di vecchio stampo non ha un significativo rilievo pur essendo oggi il lavoro flessibile a tempo determinato quello maggiormente richiesto e praticato dalla parte padronale lasciando l’onere della spesa allo Stato degli ammortizzatori sociali attivabili nei periodi di transizione da un lavoro ad un altro .

Purtroppo tutti i governi più che puntare sull’eliminazione delle cause del lavoro precario hanno sempre tentato di calmierarne gli effetti , di modo che una debole pace sociale potesse eterizzare lo status quo. Dopo l’incendio, ma le avvisaglie c’erano già prima, la fabbrica dell‘ Altissimo ha fatto registrare un lento declino dell’attività industriale , testimoniato dagli innumerevoli passaggi di proprietà fino alla chiusura degli impianti avvenuta nel 2005 . Concludo con un’ ultima osservazione tutta interna al lavoro che ha caratterizzato la vita adulta di ciascuno di noi al punto da identificare gli aspetti esistenziali ( che non coincidono affatto solo con uno scontato vivere la riproduzione corporea del nostro quotidiano) con l’attività lavorativa prendendo a prestito una frase tratta dal Genet di J.Paul Sartre :” l ‘importante non è quello che hanno fatto di noi ( gli altri ) ma quel che facciamo noi di ciò che hanno fatto di noi “; una frase che ci solleva parzialmente dalle nostre responsabilità e in parte rimette responsabilmente il nostro destino ( perché nella terza età la progettualità sociale diventa destino) nelle nostre mani .

Arcangelo Pretore
Guglionesi 11 settembre 2024


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