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CulturaGuardialfiera
Pubblicato in data 4/9/2024 ● Click 249

Gocciolanti memorie


Vincenzo Di Sabato © FUORI PORTA WEB

“Era di maggio, erano giorni” ridenti quelli di 70 anni fa, quando il sole di Avellino agiva con onesta pacatezza sulla cupola del cielo in via Ferriera; sul luogo dove le fanciulle erano in fiore. Ed io ero lì, ospite degli zii, per studiare con la forza e la caparbietà di un mulo, assieme a Maria Villani, cugina mia. Sembrava addirittura piacevole sfidare con lei una sfilza di materie nuove e a comprimere piani scolastici – solitamente spalmati per un corso di quattro anni - in sgobbate anche notturne, infittite nel ventaglio di pochi mesi.

Alle cinque d’un un mattino con i colori dorati, eravamo a stiracchiarci sul terrazzo - spalancato in direzione dell’oriente – e a soffermarci su D’Annunzio e sul concetto di vita come opera d’arte. E, in quel momento fui sorpreso dall’<incanto>, di cos’è l’incanto! Venni a capire cos’è, e a rendermi conto d’aver a che fare con l’animuccio distillato di Maria; con il suo gusto di percepire “la bellezza del vivere ”; con il bisogno di sfondare il muro soffocante del limite; e la voglia di scagliarsi nell’infinito. Nata a Guardialfiera, vissuta a Campobasso, Avellino, Taranto. E’ ora residente a Roma.

Come per una sfilata di moda, vedevo nella immaginazione, il procedere in passerella di “modelli” ideali di vita; osservavo in lei movenze signorili, sentivo linguaggi ornati di nozioni, rilevavo maniere dignitose e l’essenza di grazia, tutte racchiusa nell’intimità di Maria Villani. “Ho ritrovato il lei le meraviglie” avrebbe poetato Alda Merini. Io ho trovato in lei la fisionomia dell’ARTISTA, in una creatura geniale predisposta a vivere la vita come un’ “opera d’arte”, proprio come la figura trattata nell’analisi dannunziana dell’alba. Ho riscontrato In Maria Villani, lo status elegante di un vissuto morale ed estetico, amalgamato in un unico indistinguibile flusso di creatività e di virtù.
A luglio, quand’ero appena rientrato a Guardia, mi perviene l’annuncio del primo grande amore di Maria: ”la pittura”. Fu, per caso, che una sua collega di Atripalda, chiacchierando e investigandola, ne scoprì il talento e la impose di sporcare col pennello, la prima piccola tela.

Smaniavo di capirci, di sentirla; ma in quel tempo chi avrebbe mai potuto farmela sentire? Non era ipotizzabile l’irruzione dei telefonini. In assenza della teleselezione, neppure la “Timo” riusciva ad allargare il bacino d’utenza; e chi avrebbe sognato allora il trionfo globale dell’Internet? Fui capace solo di recarmi a piedi presso una centrale idroelettrica operativa lungo il Biferno, dotata di telefono aziendale, con il quale collegarmi, finalmente, con il papà (il mio zio Peppino) figura preminente alla “Sedac” (Società Elettrica della Campania) e parlare con Maria.
Sull’istante ella studia Claudio Monet, Augusto Renoir; ma pure gli italiani Telemaco Signorini, Vincenzo Cabianca, Silvestro Lega. E via - senza indugio - a dipingere dovizia di quadri con impostazione inizialmente elementare, ma con indovinato sistema cromatico, ricchi di istantaneità e di colori.
Per i tratti rapidi e leggeri, umili e tenui, per i tocchi svelti e decomposti, Maria è riconosciuta ad Avellino fra i giovani virtuosi dell’ “Impressionismo”: la corrente pittorica nata a Parigi nel 1874 per lo stile d’una tela di Monet: “Inpression soleil levant” impressione di un sole nascente.

Nella primavera del 1992, in occasione della 4^ Rassegna Molisana d’Arte Contemporanea, era a Guardialfiera il Prof. Carlo Savini, Presidente a Bruxelles dell’Unione Europea dei Critici d’Arte. In casa dei miei genitori egli intravede un quadro esposto in Sala da pranzo. E’ un dipinto di mia cugina e, ammirandolo. mi sibila più o meno così: “Maria ha bisogno di scavare, di scovare di trovare scenari, illusioni spunti, occasioni, fiori, uccellini, respiri di luce per sfidare l’usura del tempo; per cantare e prorompere, col pennello, il verso della sua espressività, l’ardore del suo poema. E’ acqua viva refrigerante per me; è una sintesi efficace dell’immaginario che, per l’uomo inaridito e irretito di oggi, era visibile soltanto nel sogno. Vedo nella raffinatezza di Maria Villani i tratti schietti pervasi da sentimenti robusti dai quali traluce il suo <animuccio distillato>. Savini mi fa sedere e, con la tazzina del caffè fra le dita dice di Paolo VI: “Ogni artista è come un profeta: ha la capacità di tradurre l’invisibile in forme visibili. Fa lievitare la materia per trovare il passato nel presente come preludio del futuro. Il pittore infrange il recinto di un mondo angoscioso in cui l’uomo è immerso nel <finito> per aprirlo sulla finestra dell’ <infinito>.


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