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AgricolturaTermoli
Pubblicato in data 2/8/2018 ● Click 2207

Agricoltura molisana in crisi, cosa resterà dei campi?


Giorgio Scarlato © FUORI PORTA WEB

Questa lunga e grave crisi, pare senza fine, che sta attraversando il settore agricolo ha determinato per tanti coltivatori monoreddituali quell'assenza di reazione e allo stesso tempo di rassegnazione che, unita sicuramente alla mancanza di reddito ha influito negativamente sulla stessa vita civile.
Lo si nota, e questo da tempo, ancor di più, percorrendo le varie strade provinciali e regionali del Basso Molise. Si scorgono centinaia e centinaia di ettari di terra non più interessati da colture irrigue; quest'ultime che di anno in anno diminuiscono ad essere prodotte e, sfortunatamente, si iniziano ad intravedere campi lasciati addirittura in abbandono.

Questa terra che qualcuno continua ancora a coltivare per affezione e per necessità, "questa terra" che da sola riusciva a far vivere in tranquillità le famiglie contadine, a mandare all'universita' i figli del "cafone", ora non riesce manco a far portare al proprietario una fetta di pane alla propria famiglia. Sa dell'inverosimile ma è proprio così.

Non entrando minimamente negli irraggiungibili PSR, l' agricoltura basso molisana sta perdendo sempre più colpi dovuti ai costi sproporzionati di produzione in rapporto ai ricavi prodotti, spesso inesistenti per non dire quasi sempre in perdita, dovuti alla concorrenza sleale dei prodotti agricoli importati ( che ogni anno aumentano sempre di più ) ed ai prezzi delle derrate prodotte fermi a 30 anni fa, a causa quindi delle gravi distorsioni di mercato che nelle aziende agricole hanno prodotto solo deflazione. Il grano duro ed il pomodoro da industria ne sono l' esempio.
Il solo pensare che un tempo si riusciva a vivere, a fare investimenti aziendali mentre oggi si rasenta la fame, fa davvero rabbia.

Ormai si sta rafforzando l'idea, e molti "soloni teorici" del settore la stanno divulgando che: <<Di solo agricoltura non si vive più e dovete farvene una ragione. L' agricoltura che verrà dovrà essere concepita come secondo lavoro.>>
Si chiede: ma il primo quale dovrebbe essere?

In quelle terre che prima c'erano vigneti, oliveti, frutteti, ortaggi, barbabietole da zucchero, mais, gli stessi pomodori da industria, ora, sempre più, si coltivano colture povere quali il grano duro, le foraggere o, peggio, restano incolte.

Come esempio prendiamo la coltivazione del pomodoro da industria. I suoi costi di produzione sono diventati insostenibili (dai 7.000 ai 7.500 euri ad ettaro quando va bene).Di contro, il prezzo di vendita è fermo a quello di oltre 30 anni addietro. Facile comprendere la sproporzionalita' e quindi la convenienza (?) a produrre.
Non è minimamente concepibile che il pomodoro italiano costi il 20% in più rispetto a quello prodotto in Spagna o addirittura competere con il triplo concentrato prodotto in Cina o da altri Paesi "convenienti".
Con queste prospettive si è fuori mercato e rimane una cosa sola che molti hanno già fatto: non produrlo più. Precedente molto amaro già conosciuto in regione per la barbabietola da zucchero.
Di questo passo sarà la fine del pomodoro molisano e italiano ed il nostro Paese sarà "conquistato" da prodotto estero a basso prezzo ( e forse di bassa qualità )?
Il Centro Studi di una nota Organizzazione agricola nazionale, visto l'accordo 2018 sul pomodoro (circa 8 cent/kg al Nord e 8.7 cent/kg al Sud) lo critica in quanto stima i costi di produzione sui 12 cent/kg.
Se il pomodoro viene venduto a 8 - 6 - 4 cent/kg, dov'è la convenienza a produrlo?

E, peggio, allargando al fattore acqua irrigua dei consorzi di bonifica con i relativi costi sperequati tra costi fissi e variabili, tra i vari lotti anomali del comprensorio, le molte perdite lungo le condotte o addirittura dalle stesse vasche di raccolta ed unito al costo di energia elettrica, diventa addirittura proibitivo il suo uso.
Quindi, quali i benefici reali al consorziato obbligato? Nessuno. Anche su questa annosa vicenda la Regione, come ha fatto per decenni, non può restare impassibile

Ritornando alla questione dei prezzi infimi delle derrate, ha preso piede il concetto di filiera ( "strozzatrice" ?) del cosiddetto " contract farming " ( contratti agricoli ) che dietro la difesa della biodiversita' e qualità dei prodotti impone agli agricoltori dei modelli di produzione insostenibili con un potere contrattuale messo sempre più in discussione a favore di una valorizzazione dell' industria agroalimentare in cerca di materia prima indifferenziata ed a basso costo.

Alcuni mesi addietro incontrai un agricoltore pugliese che mi disse:《 Ascoltami, sono una persona che amo profondamente il lavoro che ho sempre fatto. Non sono un fallito; e se sto per gettare la spugna è solo perché non sono più disposto ad " essere munto", a vendere a prezzi da fame le mie derrate ai " (im) prenditori " di turno. Preferisco chiudere che continuare in questa agonia.》

E qui, con una digressione, bisogna allargare il tema.
Questa economia neoliberista, come si può ben vedere nella concretezza, ha totalmente fallito. Ha prodotto un capitalismo sempre in guerra, una globalizzazione senza regole alcune e portando solo violenze, ha acuito uno scontro mortale tra i vari popoli del Globo. Non può continuare così. Il concetto di neoliberismo racchiuso nel guadagno a tutti i costi, nel rendere schiavi i lavoratori rubando la libertà e del rendere un mito il progresso infinito è giunto alla resa dei conti. È miseramente fallito portandosi dietro fallimenti e suicidi.

Visti i risultati negativi che ha prodotto, bisogna rivedere il tutto. È giunto il momento per un radicale cambiamento. Sbagliare è umano, ma perseverare è diabolico. E la politica deve interessarsi, augurandosi, visti i tanti precedenti negativi, che, chi di dovere, non consumi solo ossigeno.
Il mondo agricolo non può morire, non può più aspettare.


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