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CulturaTermoli
Pubblicato in data 2/5/2018 ● Click 986

Ricchezze storico-culturali: le istituzioni non impediscano le manifestazioni


Gianfranco De Luca © FUORI PORTA WEB

I recenti fatti della Carrese di San Martino impongono a tutti, non solo ai soggetti e alle istituzioni direttamente interessate e coinvolte, una riflessione ad ampio raggio sugli stretti rapporti e sulle inevitabili ripercussioni tra comunità locali, responsabilità amministrative, libere associazioni, sensibilità culturali diverse, storia, cultura, tradizioni e devozioni popolari.

La fede di ogni comunità, consolidata e tramandata da secoli, si incarna nel vissuto quotidiano e assume tutte le forme culturali in cui si esprime la vita del popolo, profondamente legata ai ritmi delle stagioni, al lavoro della terra, al rapporto simbiotico con gli animali, fedeli collaboratori nelle attività quotidiane, fonte di reddito, essenziali e meritevoli di attenzione e cura dai nuclei familiari di cui sono componente costitutiva.

Nel succedersi delle generazioni questo humus profondo non si perde ma si rinnova e si riattualizza coniugando l’essenziale con le esigenze della modernità, con i cambiamenti epocali e le norme che le istituzioni devono predisporre affinché quel nucleo culturale, autentico, identitario venga conservato, vissuto, celebrato tenendo fermo l’obiettivo di favorire i valori di cui, nelle sue forme tipiche, quella particolare comunità vive.

Allargando lo sguardo (e anche il cuore) non possono, a questo punto, non sorgere interrogativi su specifici rapporti tra uomo e animale, istituzioni ed eventi culturali locali, manifestazioni pubbliche e sicurezza, ideologia e genuine tradizioni culturali, interrogativi che sollecitano risposte concrete e chiare perché non si smarrisca il fine ultimo di eventi che sono tappe annuali vitali per una comunità. A tale proposito, papa Francesco nella esortazione apostolica Gaudete et Exsultate pubblicata nei giorni scorsi, afferma al paragrafo 6: “Non esiste identità senza appartenere a un popolo”.

Da sempre le nostre comunità locali hanno vissuto a stretto contatto con gli animali, per il lavoro, per l’alimentazione, per la compagnia, e anche per esprimere e vivere momenti di festa e di devozione. Le generazioni che ci hanno preceduto hanno vissuto in rapporto simbiotico con la natura: la terra, il clima, le stagioni, le colture, gli animali, ben consapevoli che dentro questo rapporto era garantita la loro sopravvivenza e il loro futuro se esso non veniva stravolto, violentato.

Gli animali sono stati rispettati, amati, anche temuti, curati, custoditi gelosamente, gestiti secondo le loro esigenze naturali, perché membri a tutti gli effetti delle famiglie e delle comunità. Il lavoro dei campi, unica fonte di sostentamento, dipendeva dalla fatica insostituibile degli animali; per questo spesso venivano affidati ai santi perché li proteggessero e li conservassero in salute. A sottolineare queste sinergie la Chiesa, “ab immemorabilis”, benedice gli animali e celebra le ROGAZIONI e le TEMPORA delle stagioni.

La realtà quotidiana della comunità ha sempre richiesto norme e prescrizioni per il bene comune; queste mutano con il mutare delle epoche e il sorgere di nuove esigenze, di ritmi diversi, di sensibilità diverse. Così sono intervenute regole, obblighi e divieti, che determinano anche, positivamente, i rapporti con la natura, con il terreno, con le piante, con gli animali. Le pubbliche amministrazioni, da quelle centrali a quelle periferiche, adeguano le normative, impartiscono nuove prescrizioni, provvedono alla loro osservanza, predispongono protocolli e ordinamenti man mano che sorgono nuove problematiche, specie riguardanti la sicurezza, il bene delle persone direttamente coinvolte, il rispetto di cose ed animali. Ma, certo, lo scopo di tutto questo è la conservazione della cultura e della storia di una comunità, e per favorire un corretto e sicuro svolgimento di eventi e manifestazioni, non dimenticando che la norma è per l’uomo, come l’evangelico “il sabato è per l’uomo e non l’uomo per il sabato”.

Se la norma si limita a reprimere, sopprimere, proibire, in questi casi viene meno alla sua genuina finalità; il legislatore sa molto bene che non può e non deve lasciarsi condizionare da pregiudizi ideologici, di qualunque natura, nei confronti di pubbliche espressioni di popolo che da secoli sono retaggi culturali che rafforzano i suoi valori fondanti, ma deve far sì che questi possano esser riaffermati pur dentro un adeguato quadro normativo, anzi proprio grazie a questo.

L’auspicio è che da parte di tutti ci sia sempre la volontà di procedere con uno stile di reciproco ascolto, di condivisione effettiva, di rispetto delle esigenze di tutti, evitando pregiudizi, sguardi ideologici, chiusure preventive, decisioni improvvise calate dall’alto, in un clima di pacata ragionevolezza.

Le singole comunità sono invitate non a rinunciare alla loro cultura e alle tradizioni, ma ad elaborare progetti e ‘sognare prospettive’ proprio in vista della conservazione e della continua rivitalizzazione delle loro ricchezze storico-culturali, pretendendo che le istituzioni non impediscano le manifestazioni, ma dialoghino con le parti in causa per la buona riuscita delle manifestazioni stesse”.


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