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PoliticaGuglionesi
Pubblicato in data 8/1/2018 ● Click 1373

C’era una volta la pensione dello Stato sociale


Arcangelo Pretore © FUORI PORTA WEB

Prendo spunto dal recente articolo di M. Antonietta Cacchione per riprendere il tema pensioni ,inquadrando la problematica nel contesto storico e sociale in cui tale emolumento previdenziale si è evoluto. Com’era largamente prevedibile la previdenza pubblica ha avuto origine da un moto di protezione da parte del potere costituito nei confronti della casta che lo serviva. Infatti le prime “pensioni di grazia” ( vitalizi) sono state elargite dal Sovrano ad alcuni notabili per i servizi resi al re o al suo reame in segno di gratitudine o munificenza; un’ evidente individuazione discrezionale delle persone da beneficiare. Sono tuttavia da rintracciare nello Stato Sardo-Piemontese le prime pensioni di diritto , intese come salario differito accordate nel 1772 ai professori universitari di Torino e Genova .Tale diritto mediante successivi provvedimenti viene esteso ai militari ed agli impiegati dell’erario , agli insegnanti delle scuole Medie. Tuttavia è la legge n°6 del 5 gennaio 1807 “Sulle pensioni e soldi di ritiro” a rendere organico il diritto alla pensione attraverso i suoi 98 articoli che ne disciplinano i requisiti , l’entità , le condizioni per ottenerla , nonché le specificità erogatorie in caso d’invalidità, normando anche la reversibilità . Il Ministero delle Finanze viene individuato come soggetto unico pagatore , inscrivendo di fatto le pensioni nelle Spese Correnti dello Stato. Anche dopo il 1861 con l’istituzione dello Stato unitario e la relativa inclusione del Regno di Napoli il diritto alla pensione non ha prodotto squilibri normativi, né perequazioni di sorta derivante dall’integrazione di territori diversi dal punto di vista amministrativo poiché la legislazione del Regno di Napoli già ricalcava a grandi linee quella dello Stato Sardo. La legge del 14 aprile n°1831 del 1864 che regola le pensioni degli impiegati civili rappresenta solo un primo approccio al Testo Unico che è invece parte integrante della legge n°70 del 21 novembre 1895 . L’estensione della legge 70 ai lavoratori del settore privato ha origine dalla mobilitazione operaia ,sulla spinta delle Società di Mutuo Soccorso che già si erano costituite intorno al 1850 a Torino ; a Milano erano operanti ancor prima , nel 1804, anche se limitate ad alcune categorie di lavoratori . Gli interventi delle Società di Mutuo Soccorso, tuttavia , erano finalizzati più alla disoccupazione ( interruzione del lavoro ) che alla previdenza di vecchiaia. La protezione sociale, così come la conosciamo oggi, è un’invenzione del modello europeo di società . In Italia nasce con l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro nel 1898 . Come si evince da questi essenziali richiami legislativi, per quanto attiene la protezione sociale vi furono dopo l’unità d’Italia una serie di tentativi e iniziative politiche volte a configurare una protezione sociale che fosse più organica e articolata ; andava in tale direzione la legge del 15 luglio 1859 che prefigurava una Cassa di Rendite vitalizie per la vecchiaia che tuttavia più che alla previdenza mirava al risparmio . Ma fu l’ azione congiunta , messa in campo dallo Stato e dalla Chiesa con l’enciclica di Leone XIII : la “Rerum Novarum “ del 15 -5-1891 a spingere i politici a mettere in cantiere la legge 350 del 17 luglio 1898 che istituiva la Cassa Nazionale di Previdenza per l’invalidità e la vecchiaia degli operai senza tuttavia prevederne l’obbligatorietà poiché la legge, come parzialmente avveniva in passato, ancora configurava l’accantonamento del risparmio .La legge non ebbe un grande riscontro tra i lavoratori poiché gli iscritti in vent’anni non superarono i 660.000 e, il numero delle pensioni erogate furono all’incirca 20.000 . Da lì a poco, tuttavia , poiché i tempi erano maturi si delinea la pensione come assicurazione obbligatoria ; la Legge 606 promulgata il 21 aprile 1919 istituisce la “Cassa Nazionale per le assicurazioni sociali “ : una normativa , che di fatto per 10 milioni di lavoratori nel contempo istituiva la” pensione di diritto” . Non è estranea alla formulazione e successiva approvazione della Legge il clima politico “ risarcitorio” dal punto di vista sociale della fase storica post Prima Guerra mondiale. Sin dall’inizio l’impianto legislativo coinvolgeva il lavoratore nella contribuzione insieme al datore di lavoro e allo Stato ( che elargiva una quota annua per ogni pensione in pagamento) . Ma è solo con la riforma attuata nel 1969 con la Legge 153 che si pone l’accento sulla “sicurezza sociale”, con l’introduzione, appunto, della pensione sociale ( a carico dello Stato) per i cittadini italiani aventi 65 anni e determinate condizioni di reddito. Un’attenzione legislativa che pone le basi per una concreta giustizia sociale volta ad un’effettiva redistribuzione del reddito . Come per altri versi accadde a conclusione della prima Guerra mondiale , alla messa in cantiere della legge in questo formidabile periodo della nostra storia recente non furono estranei i sommovimenti del 1968 che favorirono un chiaro e deciso sbilanciamento della politica economica a favore del sociale . Dal versante macroeconomico era ancora in voga il paradigma keynesiano del “ più Stato , meno Mercato “ che istituiva di fatto lo “Stato del benessere” ( soprattutto nelle versioni di marca europea ) e, aveva nel contempo contrassegnato il periodo post Grande depressione del 1929, favorendone , con successo , il superamento, contro un Liberismo “laissez faire” ridotto ( sempre all’epoca) ad Accademia universitaria . Liberismo che tuttavia in seguito, negli anni ottanta del secolo scorso su impulso dell’economista Hayek , riprese rapidamente quota soprattutto ad opera della rinnovata formulazione monetarista di Milton Friedman : una visione economicistica ( intesa come unica chiave di lettura della società civile, della cultura… ) tuttora imperante , anzi, oggi fortemente rafforzata dalla globalizzazione, dalla speculazione finanziaria (una potente artificiosità del Mercato ) contrapposta all’economia reale , dalla deregolamentazione della legislazione sul lavoro ( vedi il nostro Jobs-act) e dall’ attuale incipiente , rapido passaggio allo “Stato leggero”. E’ di ieri la notizia che nel 2017 la Borsa ha superato il Pil ( fonte il Sole 24 ore Domenica 7 c.m.) .E, tornando alla rivoluzionaria innovazione legislativa del 1969 è bene rilevare che la stessa attraverso l’ importante estensione previdenziale che lo caratterizzava presupponeva un evidente patto sociale intergenerazionale interamente garantito dallo Stato . Ma al di là della temporanea pacificazione generazionale di cui fu portatrice all’epoca della sua entrata in vigore la spesa assistenziale nel bilancio INPS, anche in ragione della nuova imperante tendenza al conseguimento dell’equilibrio economico , da circa un ventennio ha fatto registrare un costante ritiro dello Stato dalla Previdenza sociale poiché oramai da tempo i trasferimenti diretti rappresentano solo alcuni punti percentuale del Pil , anche se lo Stato, in modo furbesco , presenta come sue uscite le somme che sono finanziate dai contributi a carico dei lavoratori e dei datori di lavoro . A livello locale lo” Stato leggero” lo si può percepire direttamente tenendo a mente la qualità e la quantità dell’offerta di servizi del nostro Sistema sanitario Nazionale sempre più cannibalizzato e surrogato dalla Sanità privata ( anche se spesso in regime di convenzione! ), dalla drastica riduzione dei trasferimenti agli Enti locali ; senza poi contare la recente infelice e tuttavia attuata autoriduzione locale del “ peso “ dello Stato nella Scuola che a Guglionesi da quest’anno ha decretato l’ istituzione della ” settimana corta” ( con il sabato : no scuola ) in ogni ordine e grado e in aggiunta , alle Superiori , sperimenta la formazione quadriennale anziché quinquennale, come dire meno scuola ... non so, per… più cosa? E, dal particolare, tornando ad occuparci del generale , avviandomi a concludere ,si può osservare come la legislazione precedente ll D.L. Fornero del 6 dic. 2011, che di fatto costituisce il vero spartiacque tra passato e presente nel nostro sistema previdenziale pensionistico , mirava, almeno nelle intenzioni del legislatore , ad una redistribuzione delle risorse equa e trasparente che doveva avvenire dai più ricchi ai più poveri e non viceversa. Tuttavia, sia la riforma Amato del 1992 che la riforma Dini del 1995 di fatto hanno disatteso tale principio. Il metodo contributivo introdotto dalla legge Fornero almeno ha l’indubbio merito di mettere a fuoco la trasparenza e una certa proporzionalità tra accumulo pensionistico e contribuzione . Mi soffermo volutamente su “una certa proporzionalità” poiché, fatto salvo il principio “forte” del contributivo rispetto al retributivo ( quest’ ultimo, com’è noto , nel tempo ha creato parecchie sperequazioni oltre a capitalizzazioni previdenziali insostenibili per l’erario) anche il metodo Contributivo che poi è il cardine della Legge Fornero sconta diverse arbitrarietà e sperequazioni ad iniziare dalla tripartizione dei lavoratori che ,semplificando, possono raggrupparsi :
a) nei “salvati” dal contributivo : ovvero coloro che al 31 dicembre’95 avevano raggiunto almeno 18 anni di anzianità
b ) i “parzialmente protetti” : ovvero coloro che avevano un’anzianità contributiva nel 1996 inferiore ai 18 anni per i quali la pensione è calcolata pro-rata, cioè in base alla regola retributiva per l’anzianità maturata al 95 e quella contributiva per quella accantonata dal 1996 .
c) “ gli indifesi”, sono invece i lavoratori che sono stati assunti dal 1996 la cui pensione sarà interamente contributiva .
La precarizzazione del lavoro dei giovani che oggi è l’unica vera “ innovazione” sostanziale, delle politiche economiche messe in campo dai governi che negli ultimi decenni si sono avvicendati nel Governo del Paese depone per un futuro in cui i figli dal punto di vista previdenziale staranno peggio dei padri e per avere accesso ad una pensione appena “ dignitosa” dovranno attingere da altri accumuli previdenziali , ovvero da pensioni integrative , nonché da” polizze Vita” individuali , racimolando in tal modo da più fonti pubbliche e private la loro futura pensione . In apparenza tale soluzione previdenziale multipla sembra perfino allettante poiché può far balenare nel singolo l’idea che ha libertà di “costruirsi” la propria pensione. Tuttavia tale presunta libertà è inficiato dal fatto che i giovani di oggi proprio in ragione sia della precarietà lavorativa che della probabile discontinuità del lavoro ( nonché della probabile versatilità dello stesso) non avranno granché da risparmiare e quindi da “integrare”ai fini pensionistici, dovendo stentare per tirare avanti . Ma questa è una discriminante storica sociale ricorrente che ha sempre contrapposto gli abbienti ai meno abbienti ; un aspetto che soprattutto oggi ha notevolmente aumentato il divario economico tra ricchi e poveri. Di fatto saranno solo i ricchi a poter accantonare sempre di più per il loro futuro previdenziale e, gran parte dei lavoratori , dovendo presumibilmente contare solo sulla loro misera pensione di Stato , saranno meno abbienti domani, da pensionati , di quanto lo siano oggi da lavoratori.


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