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CulturaGuglionesi
Pubblicato in data 26/7/2008 ● Click 1780

È ora di eliminare le circoscrizioni estero


Filippo Salvatore © FUORI PORTA WEB

  Dopo le elezioni nazionali italiane del 13 e 14 aprile scorsi urge cambiare profondamente la legge elettorale, perchè il voto per corrispondenza nelle quattro circoscrizioni estero presta il fianco ad illegalità ineliminabili e non ne garantisce la segretezza, un obbligo costituzionale. Si vorrebbe passare ad uno scrutinio da esercitarsi nelle sedi consolari o, per chi vive lontano, per corrispondenza dopo esplicita richiesta scritta del votante. Lo scopo è quello di far votare gli ‘italiani veri'. Comincia ad emergere il buon senso.
Fermo restando il diritto/dovere costituzionale di ogni cittadino italiano al voto, gli emendamenti alla legge Tremaglia hanno il merito di fare una cernita tra chi è italiano e desidera mantenere un rapporto concreto con l'Italia e chi è italiano per semplice ius sanguinis e poco o nulla sa del paese dei suoi antenati di cui non parla spesso neppure più la lingua.
Va sottolineato che nella tornata elettorale del 2008, quasi il 60% ,ossia 6 elettori su 10, NON hanno votato! E nella maggior parte dei casi gli eletti lo sono stati con il 30% del 41%, una frazione irrisoria. Un esempio. Basilio Giordano è stato eletto al Senato per la circoscrizione America Centr/ Nord con circa 13.000 voti. Quanto veramente rappresentativi della diaspora italiana sono i 12 deputati ed i 6 senatori? È una domanda legittima che, però, si scarta con la mano, anche se in realtà costituisce il problema di fondo del voto passivo all'estero.
Ben vengano quindi le modifiche e sia salvaguardato il diritto di voto all'estero. Ma quale voto? Quello passivo, che elegge i 18 vessilliferi dalle ‘colonie' italiane, o quello attivo che permette di votare per le circoscrizioni di origine o di ultima residenza in Italia? Il nocciolo della questione da affrontare e da risolvere è proprio questo. Gli eletti all'estero hanno la pretesa di conoscere i problemi e di rappresentare gli interessi degli italiani delle quattro circoscrizioni appositamente create.( Ma non è questo anche il ruolo del corpo diplomatico, dei COMITES e del CGIE?). Ripeto e sottolineo: hanno la pretesa perchè nella realtà dei fatti detta pretesa non corrisponde, né può corrispondere, a verità, data l'enorme estensione territoriale di ognuna delle circoscrizioni ed il tasso risicato di partecipazione al voto. I 12 deputati ed i 6 senatori che vanno a Roma e dicono di rappresentare i veri interessi degli italiani all'estero non fanno altro che vendere fumo e lo sanno perfettamente, come perfettamente lo sanno i vari partiti. Il voto passivo all'estero è in effetti una madornale presa in giro a cui si cerca di dare un crisma di legittimità, mentendo. Si abbia finalmente l'onestà di riconoscerlo e di dirlo e si traggano le dovute conseguenze. Ma dirlo significa nuotare controcorrente ed inimicarsi tanti galoppini, portaborse o tanti veri e propri professionisti dell'emigrazione.
Il voto passivo ha, inoltre, un altro gravissimo difetto: quello di imporre il principio della territorialità italiana sulle innegabili prerogative territoriali e nazionali dei diversi paesi. Il diverbio non ancora risolto tra governo canadese e quello italiano sulla liceità della extraterritorialità italiana, dovrebbe far riflettere sia i costituzionalisti che i legislatori italiani quando si appresteranno- e lo facciano al più presto- a modificare la legge elettorale Tremaglia. Tra l'altro le infrazioni innegabili da parte dei diversi candidati ed anche degli eletti durante la campagna elettorale appena conclusasi all'accordo firmato tra i due governi e capillarmente monitorato dalle autorità canadesi, costituiranno una più che plausibile giustificazione per impedire il diritto di voto passivo, e forse anche quello attivo, nella prossima tornata elettorale nazionale in Italia. Mi risulta che il Primo Ministro canadese Stephen Harper durante il suo incontro qualche giorno fa a Roma con il suo omologo italiano, Silvio Berlusconi, ha affrontato la questione sottolineando alcune anomalie giuridiche del voto passivo. Difficile dire a questo punto come verrà risolto il contenzioso che tuttavia rimane intero.
Il diritto di voto passivo,- le candidature dall'estero per intenderci -, va sic et simpliciter eliminato. È una anomalia legislativa impossibile da giustificare giuridicamente nei vari paesi in cui risiede la diaspora italiana ed ha anche il grave difetto di mettere in discussione la lealtà di appartenenza al paese in cui si vive e si è anche nella maggior parte dei casi cittadini. Questo è un principio volutamente occultato dai diversi candidati durante la campagna elettorale.
Va invece mantenuto e difeso il diritto di voto attivo - principio garantito da tutti i paesi che ammettono la doppia cittadinanza,come il Canada - e va accettata la possibilità di candidature dei residenti all'estero sul territorio italiano. Questa sì che sarebbe una novità, una vera rivoluzione nel modo in cui si concepisce l'italianità e darebbe concretezza al significato che un italiano ha parità di diritti e doveri ovunque egli risieda o viva. Il diritto di voto attivo va esteso a tutti i livelli, (referenda, elezioni europee, nazionali, regionali, provinciali e comunali). Con quali conseguenze? Quella di garantire pienamente il diritto/dovere di voto, ( cosa che la legge Tremaglia non fa perchè esclude la possibilità di votare a livello europeo, regionale, provinciale e comunale. È quindi un diritto monco che è stato concesso, cosa che i difensori del voto passivo volutamente ignorano quando lo difendono). Un'altra conseguenza, ancora più importante, sarebbe quella di contare veramente nella realtà italiana.
Il pericolo, soprattutto nelle regioni piccole, è di essere inondati da un ‘voto estero' che potrebbe ribaltare quello espresso dai residenti in Italia. Ma proprio in questo rischio consiste la novità da accettare perchè definisce la complessità e specificità dell'identità italiana rispetto ad altri paesi, in parte risultato di una componente emigratoria durata oltre un secolo. Chi si fa interprete del timore del ‘ribaltamento' deve tenere presente questo principio: il voto attivo degli italiani residenti all'estero si eserciterebbe nelle regioni di origine per cui un lombardo voterebbe in Lombardia, un molisano nel Molise, un sardo in Sardegna e così di seguito. L'appartenenza al territorio verrebbe a costituire un principio sacrosanto e l' anello di congiunzione tra residenti all'estero ed in patria.( É quello che i vari politici regionali sottolineano con tanta foga e retorica quando vanno all'estero ed incontrano i loro corregionali. Se sono loro a dire che noi siamo i migliori figli della terra a cui appartengono sia loro che noi, com'è possibile negare poi questa verità nei fatti? Evidentemente quando si tratta di mettere in gioco la propria poltrona è immancabilmente la difesa del proprio utile che prevale).
A guardar bene anche politicamente il rischio il rischio del voto attivo si riduce a ben poco. Una volta assorbito lo choc della novità del voto 'estero', si farà una campagna elettorale mirata ad ottenere il consenso dei residenti all'estero. I risultati elettorali delle elezioni del 2006 e del 2008 hanno dimostrato che le preferenze di fondo di chi vive fuori dal territorio italiano non si differenziano di molto da quelle espresse dagli italiani residenti in Italia. Va soprattutto tenuto conto di questo dato: il tasso di partecipazione dei residenti all'estero si aggira sul 35-40% e con gli emendamenti proposti scenderà ancora di piu'.Voterà plausibilmente circa il 30% dei circa 3,5 milioni dei possibili elettori dall'estero. Diventerebbe così una variabile di circa il 2% di cui tenere che potrebbe essere assorbita nelle piccole regioni a rischio di ‘ribaltamento' permettendo ad esponenti qualificati delle comunità regionali più numerose di essere candidati.
Il pericolo del ribaltamento del voto espresso dai residenti italiani si ridurrebbe ancora di più se venissero create le 12 macro-regioni raccomandate dalla Fondazione Agnelli qualche anno o gli 8 compartimenti in cui l'ENEL divide il territorio italiano e venissero eliminate le province. La riduzione del numero delle regioni in compartimenti di-6-8 milioni ognuno ad eccezione della Sardegna, modifica veramente auspicabile, avrebbe il merito di ridurre di molto il costo della politica e di essere in sincronia con il riemerso discorso sul federalismo e sulla sussidiarietà economica che il risultato positivo della Lega Nord obbligherà a fare in tempi brevi.

Info: http://www.newsitaliapress.it/pages/dettaglio.php?id_lnk=3_821


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