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CulturaGuglionesi
Pubblicato in data 31/10/2016 ● Click 1464

"Funere Mersit Acerbo": la nuova democrazia guglionesana dei luoghi di rito...


Arcangelo Pretore © FUORI PORTA WEB

[FUNERE MERSIT ACERBO: la nuova democrazia guglionesana dei luoghi di rito che accompagnano i defunti]

Non si è mai pronti, per morire ( e non aiutano molto i fuorvianti eufemismi dell’ ” è venuto a mancare”…” è tornato alla casa del Padre…” ecc.) ciò, nonostante la confortante preparazione avvolgente , mitigante , accompagnatrice , che spesso si snoda lungo tutta una vita, con cui la religione sacralizza l’accadimento (qui il sacro, al fine di individuare ed imparare a riconoscere i luoghi che lo caratterizzano , viene dato nel senso inteso da Mircea Eliade, ovvero come quell’aura speciale degna di considerazione, rispetto e devozione circoscritta all’interno e nell’immediato intorno dei luoghi di culto”consacrati”: ambiti di ieratica sontuosa solennità facilmente riconoscibili rispetto alla vastità laicizzata dei territori che li accolgono , poiché verosimilmente in quei luoghi, l’ovvia materialità delle cose : altari , croci lignee , statue, icone … si sacralizzano trascendendo la scontata , persistente presenza della stessa materia di cui sono costituite quando altrove danno forma e sostanza sia ad opere d’arte che ad altri oggetti d’uso comune) . Siamo soli , di fronte all’unico irreversibile evento certo che in quanto viventi ci appartiene e ci distingue dagli altri animali per l’esatta coscienza che abbiamo oggi del suo prodursi a venire nel corpo e nel suo doloroso esternarsi agli altri , investendo dell’evento la famiglia , le famiglie allargate del defunto , un paese un territorio e, talvolta perfino ,una nazione a seconda del “peso “sociale, culturale del defunto ( è vera in parte la constatazione , di per sé oggettiva, che le morti nella loro ineluttabilità sono tutte uguali , ma è altrettanto vero che la “morte sociale”di un individuo può avere tempi di estinzione nella memoria collettiva perfino millenaria . Al fine di supportare la veridicità dell’assunto si pensi all’assassinio di Cristo : un crudele fatto di sangue terreno , ben radicato nella nostra memoria di oggi , benché dalla crocifissione del Salvatore ad oggi siano trascorsi più di due millenni . Non solo siamo impreparati nell’affrontare la morte , ma preludendo la nostra , restiamo smarriti perfino nell’affrontare la morte altrui. Non era preparato ad accettarla neppure Giosuè Carducci (nel 1906, primo italiano insignito del Premio Nobel per la letteratura ) colpito dal dolore per la repentina morte del suo caro “pargoletto” Dante avvenuta a soli tre anni . Non si rassegnava inel constatare l’ indifferenza della Morte di fronte alla tenerezza dell’età del figlio e al dispiacere struggente che la stessa gli avrebbe indotto , tanto da fargli mettere in versi il suo immenso sconforto per quel corpicino esanime che per lui era diventata una consustanziale parte di sé , del suo “carnale” futuro , ora destinato a marcire sottoterra, facendo , al ricordo, di nuovo sciogliere il poeta in un “Pianto antico” : Sei ne la terra fredda , Sei nella terra negra , Né il sol più ti rallegra , Né ti risveglia amor . Da un’altra poesia del Carducci , pure in memoria del figlioletto, ho tratto il titolo dell’articolo ( a sua volta mutuato da Virgilio) a suggello dell’evidenza del fatto che qualunque morte al di là dell’età del deceduto è sempre prematura . E, venendo alle nostre consuetudini paesane : è parte della nostra costruzione sociale locale , quando si ha notizia di una morte annunciata o di un lutto che si è già consumato , che i parenti, le famiglie parentali allargate, i compaesani , chiunque, anche del circondario abbia coltivato rapporti di amicizia ,fosse stato semplicemente un conoscente o fosse stato in affari con il defunto, con la sua famiglia… colpito dalla morte imminente del proprio caro , dell’amico, del conoscente , si senta in dovere di fargli visita , per porgergli un ultimo saluto di conforto , se ancora in vita , per manifestare personalmente anche ai parenti del morente i’ affetto ,la considerazione che gli aveva portato in vita . Al fine di meglio inquadrare la caratterizzazione sociale della morte rispetto ad altri eventi , si può osservare oggi, come accadeva in passato come le case private familiari difficilmente si aprivano oltre che ai parenti anche ad altri, conosciuti e sconosciuti . Non accadeva né in occasione delle nascite, di battesimi e , neppure nei matrimoni, pur connotando tali eventi tappe esistenziali importanti nella vita di un individuo , generalmente altalenanti tra sacro e profano . In occasione di una morte imminente di un decesso, invece, seguendo un’antica tradizione , coloro che sono motivati a farlo convengono a casa del morente o del defunto senza che da parte dei famigliari, con gratitudine accoglienti, vi sia alcun filtro o invito , spinti da quell’immediato istintivo “sentire” collettivo di compartecipare il lutto, attivando la forte l’empatia dello stato d’animo prevalente nel visitatore nei confronti del morente o del defunto e della sua famiglia di appartenenza . Specie in passato (oggi, per una sorta di discrezione forse dovuta al prevalente individualismo dominante ,sempre meno,)il morente si andava a visitarlo in casa per manifestargli con la propria presenza l’affetto, la riconoscenza, la considerazione per l’esserci stato in quanto persona a questo mondo , ciascuno secondo le sue capacità ; per avere nel corso della sua vita almeno un po’ improntato di sé (se non per altro perché il defunto è stato per un tempo breve o lungo contemporaneo con il visitatore ), con la sua cultura pratica , teorica o comunicativa … che fosse, la comunità tutta . Una condizione quella del nostro vissuto con più efficacia esplicitata dal filosofo F. Savater ”nascendo portiamo nel mondo qualcosa che non c’è mai stato ,morendo ci portiamo via quello che non ci sarà mai più”
È una variegata composita compagine di persone , oggi sempre più attempata, quella che spontaneamente si aggrega in occasione delle esequie del defunto , che riunendosi in corteo: una cerimonia in passato più e meglio ritualizzata rispetto ad oggi , dopotutto, quello delle onoranze funebri è un trascorso ,tutto sommato a noi prossimo , quando, a dare maggiore solennità alla cerimonia precedevano e facevano ala al defunto corone di fiori offerte dai parenti , amici … segno , ai più ignoto, di una potenzialità procreatrice oramai conclusa ( i fiori sono gli organi sessuali delle piante superiori, se recisi, non svolgono più alcuna funzione impollinatrice) ma che vive rigogliosa nelle freschezza delle generazioni cui probabilmente il defunto ha dato luogo in vita ( l’omaggio floreale ha un’interpretazione similare indiretta anche per i defunti che non hanno avuto discendenza poiché attraverso il loro altruismo hanno rinforzato , con eventuali lasciti ereditari , con la semplice cura parentale di coloro con cui hanno convissuto in linea diretta la discendenza dei parenti stretti incrementandone il successo sociale ed eventualmente anche procreativo ). Alla luce di quanto scritto sopra appare pertanto quantomeno fuorviante la frase che in epigrafe a volte si legge sui manifesti listati a lutto : “non fiori, ma opere di bene” . Viene da chiedersi: ma quale opera di bene potrebbe ritenersi di maggior conto rispetto alla procreazione o all’altruismo familistico dei defunti che non hanno procreato e ,ancor più ,quello disinteressato verso l’Altro, anonimo ? Si può forse dubitare di coloro che per un tempo più o meno lungo sopravviveranno al defunto non si comportino in modo similare seguendo o avendo già seguito l’indole biologica di specie a moltiplicarsi o i canoni dei diritti reali della società di appartenenza o semplicemente il caritatevole donare disinteressato ? . Nella nostra comunità in genere Il tempo della veglia e delle esequie del defunto è un tempo sociale speciale , in particolare lo è per la famiglia che accoglie e vive quel lutto ; una veglia funebre che oggi è diventata davvero impropria poiché, sempre più dipendente dagli orari di apertura e chiusura degli obitori degli ospedali: luoghi delle ultime sofferenze di pazienti terminali , in cui con frequenza altissima oggi si muore . Pertanto si configura una “veglia” che si limita alle poche ore diurne che intercorrono tra il decesso e le esequie . Tuttavia, nonostante ciò oggi la veglia rappresenta ancora un tempo aperto ad una socialità improntata al conforto per la perdita , alla meditazione sulla morte , al ricordo degli episodi di vita salienti del morto . Una sintesi , talvolta, perfino ricordata durante la messa funebre in cui nell’omelia , la materialità del vissuto del defunto si coniuga con la trascendenza nella fede che lo ha supportato in vita nella speranza di una resurrezione che in chi crede verrà. Dopo l’aspersione e benedizione della salma il corteo, mesto , si instrada all’uscita della chiesa , per via Roma e , al limitare di Castellara i parenti , i convenuti porgono l’ultimo saluto di Paese al defunto , per poi dirigersi verso la Chiesa dei Cappuccini dove ricevono le condoglianze dei partecipanti alle esequie . In passato , il corteo funebre con in testa i parenti più diretti, al dissolversi alla vista degli astanti del carro funebre con il feretro che lentamente prendeva per la strada delle “ferriere” , con un rapido dietrofront ,accorato , frettoloso,con andatura svelta, si dirigeva verso l’abitazione del defunto per ricevere le condoglianze . Durante il percorso , quale che fosse la sua lunghezza, un po’ strascicato ,si udiva solo lo scalpiccio altalenante delle scarpe dei partecipanti sull’asfalto , talvolta commisto ad un mormorio sommesso , sottovoce . Oggi, come si è accennato prima, con minor frequenza capita di far visita al defunto in casa , vuoi perché le morti avvengono sempre più negli ospedali: luoghi dell’ultimo soffrire sempre più reso anonimo , forzato e specialistico “dall’industria sanitaria , nelle case di riposo dei paesi del circondario , nell’Hospice e pertanto per questioni pratiche e organizzative il defunto né viene più vegliato in casa e, neppure esce più defunto dalla sua abitazione , ad eccezione di qualche caso fortuito . Pertanto in un lasso di tempo breve ( accadeva correntemente solo qualche decennio fa, anche qui da noi) è sostanzialmente mutato il paradigma rituale della morte . Alla maggior parte dei defunti, benvenuta, si applica oggi una nuova democrazia che avendo accentuato l’esternalità delle esequie pubbliche riconduce di fatto tutte le morti ad un denominatore comune il cui itinerario di rito è piuttosto similare . Il corteo funebre, costituito da coloro che lì sono convenuti per accogliere l’arrivo della salma ,si forma di fronte alla chiesa del SS. Rosario, procede portandosi verso la Chiesa S. Maria Maggiore : la chiesa in cui prevalentemente viene officiata la messa funebre, per poi ripercorrere, a scendere, la stessa strada, dirigendosi appena la salma si è instradata per il cimitero per le condoglianze presso la Chiesa dei Cappuccini . Perché , parlando del rito sociale dei defunti , mi riferisco ad una nuova democrazia , rispetto alla ritualità del passato che vedeva la maggior parte dei decessi ( come le nascite) avvenire in casa; allora si aveva esperienza di un commiato confortato da una coralità familiare che si inscriveva nella cornice ambientale dell’abitazione in cui il defunto aveva declinato una parte significativa della sua quotidianità ; in un luogo in cui anche i muri erano impregnati del vissuto respirato del defunto ; una cornice familiare nota in cui la componente privata dell’abitazione anche attraverso la sua struttura: catapecchia, stamberga, abitazione comune o signorile , anche da morto associava con immediatezza nel bene o nel male (offrendo spesso distraenti spunti pettegoli a qualche onnipresente necrofilo ) gli ambienti di vita allo status del defunto . Oggi , quantomeno quest’associazione , seppure sussistente e supponibile viene superata da una più equa “livella” ( Totò ) perché è a tutti evidente come formandosi e sciogliendosi i cortei funebri con modalità pressoché simili per la maggior parte dei defunti ciò abbia di fatto esteso nei comportamenti collettivi la democrazia della morte riconducendola alla sua essenza : un evento della vita ancora avvolto nel mistero , ma inesorabilmente ed irreversibilmente uguale per tutti . Un protocollo simile per tutti i defunti, pertanto, in quanto segno dei tempi, spazza via d’un colpo considerazioni sulla miseria sulla povertà, sull’agiatezza sulla signorilità presunta o reale del defunto eliminando così alla radice anche quel tarlo nostro tipicamente provinciale di spettegolare anche nelle occasioni in cui il doveroso rispetto per il defunto richiede una dignitosa composta riflessione sul nostro destino ultimo terreno . Di necessità e non tanto per convinzione, favorito dalle distanze dell’abitazione del defunto dai luoghi di culto, come possono risultare il quartiere S. Margherita , le Case Fiat, le abitazioni della campagna limitrofa al paese , si livella il censo , la pretenziosità eventuale della casa di abituale dimora del defunto riconducendo in tal modo il defunto all’essenzialità della sua condizione umana . Tutti nasciamo nudi ( e meno male che nessuna “camicia” veste il nascituro); dopotutto la nascita , come la morte definiscono gli estremi del nostro calendario biologico : un segmento vita che rimanda alla naturalità del parto . alla naturalità della morte ; eventi cifrati, sulle pietre tombali (sui documenti) che rimandano al calendario cosmico cui si accordano le nostre vite , che all’ interno del segmento temporale che ci è dato , senza alcuna discontinuità racchiuderà tutta la nostra esperienza di una vita . Per meglio rendere l’emotiva contraddittorietà con cui la nascita e la morte vengono accolti all’interno delle comunità umane , indipendentemente dalle diverse geografie in cui tali eventi avvengono prendo di nuovo a prestito le parole di F. Savater “ veniamo al mondo accolti dalla felicità dei genitori , ce ne andiamo via tra grida strilli e pianti “. Tutti nasciamo nudi e ci congediamo da questo mondo indossando un vestito: la nostra seconda pelle sociale: riepilogo dell’acquisita civiltà ; un vestito senza tasche , secondo la tradizione tedesca,perché non servono. Nulla porteremo nell’aldilà ( posto che sia ipotizzabile un aldilà della nostra già complicata realtà ), ma lasceremo in eredità un passato : corrente , banale o speciale che sia stato , che si inscriverà per un tempo più o meno lungo nella memoria di chi, avendo convissuto con noi o in modo più ampio ed impersonale avendo con noi condiviso lo stesso territorio , con generosa continuità vorrà ancora portare con sé qualcosa di noi ( ciò non è affatto straordinario , già avviene perché comunque siamo contemporanei a tanti cui in parte socializziamo il nostro vissuto ) nel suo cervello nei luoghi della memoria comune , per le strade del nostro paese , in ogni altrove in cui il ricordo potrà suscitare nostalgia o possa eventualmente servire da esempio e testimonianza ad altri .
Arcangelo Pretore 30 ottobre 2016


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