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CulturaGuglionesi
Pubblicato in data 14/10/2016 ● Click 1589

Come mosche sui vetri


Mario Vaccaro © FUORI PORTA WEB

Potrebbe il mio richiamo indirizzarsi ad altre metafore altrettanto efficaci: quella del plastico ad esempio, strumento tanto caro a Vespa. Tanto più che il riferimento alla plastica, quale materiale idoneo a rappresentare il concetto della modernità post boom economico, è appunto consacrato in alcune locuzioni - ex: mondo di plastica - evocanti proprio l’artificialità in contrapposizione al realismo-naturalismo. Nell’età contemporanea, poi, le possibilità fornite dalla telematica hanno consentito l’ingresso del concetto di realtà virtuale nella quotidianità, dunque nel linguaggio comune, sdoganando tuttavia una dimensione con cui l’uomo da sempre convive. A scuola scoprii che un tizio, tale Platone, circa 24 secoli fa già spiegava, elaborando il celebre Mito della caverna, che la realtà a cui ha accesso l’uomo comune è una sorta di ombra proiettata da quella autentica, non pienamente percepibile in virtù del nostro limitato stato di consapevolezza: solo una mente illuminata riesce ad avere immagini maggiormente nitide del reale. “Esse est percipi”, affermava un altro tizio, ovvero ciò che chiamiamo realtà materiale esiste solo in quanto la percepiamo.

Ma non è di filosofia in senso stretto che intendo discorrere ... ovvio. La virtualità del vissuto che intendo evidenziare è quella che riguarda essenzialmente l’esperienza di vita di noi contemporanei. Dunque nessun richiamo neppure alle moderne teorie della fisica quantistica che, in stile Matrix, descrivono la realtà quale un ologramma nelle cui singole parti risiede l’intera informazione (l’Uno e il Tutto trovano reciproca corrispondenza, ovvero ciascuna entità è interconnessa con le altre: niente di nuovo per gli antichi): la nostra mente agisce come un software che letteralmente crea quel prospetto grafico chiamato realtà, che dunque non esiste in termini oggettivi. Complicato? E infatti scartiamo tutto ciò e facciamo finta che la realtà in cui viviamo sia potenzialmente un dato oggettivo e non un inganno dei sensi. Almeno in quanto illusione, la realtà è un prodotto genuino? Poniamo attenzione, ad esempio, agli eventi più importanti della cronaca contemporanea, quelli di cui ci troviamo a discutere al bar o nei social, e rispetto ai quali di certo tutti ci siamo fatti un’opinione: terrorismo, immigrazione incontrollata, l’imminente referendum, ecc.. Riusciamo ad approcciare tali eventi con un certo qual grado di oggettività oppure la nostra percezione è inquinata?


In quanto antenne indirizzate per captare la realtà come fosse un segnale – perdonate la metafora un po’ burina -, decodifichiamo questo in maniera approssimativa. La nostra mente, educata alla concezione lineare del tempo, tende a ricostruire i fatti secondo lo schema causa-effetto. Nella realtà, tuttavia, spesso è l’evento a creare l’antefatto (Borges asseriva che è la porta che apriamo a sceglierci), oppure, come sosteneva Carmelo Bene - ispirato dal Lorenzaccio - l’atto domina nel reale, relegando antefatti ed eventuali motivazioni pregresse ad una condizione di assoluta precarietà, al punto da annullarsi nell’atto che, solo, fa ingresso nel reale (con buona pace della storiografia e dei processi in uso nel mondo dell’informazione). Roba alquanto astrusa, lo so. Mettiamola così: il futuro retroagisce cambiando il passato più di quanto avvenga in direzione contraria. La storia la scrivono i vincitori, recita una frase fatta. E la vittoria è appunto l’evento che irrompe nella realtà modificando la percezione del passato: a Cuba vincono i barbudos e Batista, e gli USA che lo sostenevano, diventano “mierda”: se quella rivolta fosse stata soffocata nel nascere, anche Cuba si troverebbe oggi in piena fase di orgia capitalistica. Il passato, il batistismo, da allora è invece descritto come esercizio di imperialismo americano nei confronti del popolo cubano.

La nostra memoria pure, e ce lo dice la scienza, pare essere poco obiettiva, ricostruendo avvenimenti con una buona dose di creatività. Nella dimensione collettiva, poi, la memoria si identifica proprio nella funzione attiva e ricostruttrice di quei ricordi mediante i quali un gruppo costruisce la propria identità. Insomma, pare proprio la realtà essere qualcosa di sfuggente, ovvero che non vi siano manifestazioni della stessa comprensibili con una sufficiente dose di genuinità ... che l’oggettività sia dunque una chimera. Allora il nome della nostra specie è una sorta di ossimoro? Homo sapiens sapiens ... uomo che sa che sa. Sapere, conoscenza, coscienza ... consapevolezza. Ci autodefiniamo esseri consapevoli. Ma lo siamo davvero? O meglio – a parte i disturbi di segnale appena descritti - questa nostra consapevolezza può condurre ad una rappresentazione autentica, vera della realtà? Ad esempio gli avvenimenti prima citati, topici della contemporaneità, come li consapevolizziamo?

A questa domanda si può, con la psicologia, rispondere con maggior appropriatezza ma in modo accademico, oppure si può trovare una risposta di tipo empirico.
La prima risposta, complicata, è il frutto di un percorso di studi che parte da Freud per arrivare a Lacan. La psicanalisi ci spiega che la Verità, la vera voce dell’individuo, risiede nell’Inconscio, mentre il Sapere riguarda l’Io. Sapere ed Io sono rappresentazione, dominio di un oggetto, mentre il dato originario psichico è l’Inconscio, il solo ad aver accesso immediato alla realtà. A corredo, segue parentesi narrativa. All’origine c’e il cd. “stadio dello specchio”: a partire dall’età di sei mesi il bambino può riconoscere la propria immagine riflessa. Questa identificazione costituisce la matrice di tutte le altre, la più importante delle quali è rappresentata dalla figura della madre. Verso di essa si dirigono i desideri più autentici, provenienti dall’Inconscio. Tra le due figure viene tuttavia ad interporsi quella del padre – cd. “interdizione dell’incesto” ... ricordate il complesso di Edipo? – che rappresenta la Legge, l’ordine simbolico, la civiltà. L’ordine simbolico, che si manifesta nel linguaggio, si forma dalla scissione tra conscio ed inconscio, e segna l’accesso alla cultura, al sapere. Insomma, i simboli risiedono nell’inconscio ma, nel momento in cui il soggetto intende conferir loro un significato, egli è costretto ad accentrarsi in un’unità immaginaria, il Me. Ecco che l’uomo diventa eccentrico, ovvero perde la sua unità interiore “Io” per riconoscersi nell’immagine esteriore “Me”. Ricomporre Io e Me è impossibile, quindi il reale in sé non sarà più raggiungibile (il legame con la madre-inconscio è sempre interrotto dal divieto paterno-simbolico), quindi siamo destinati a desiderare ciò che non si ha, il reale, scopo irraggiungibile che perpetua il desiderio in eterno. La spiegazione da emicrania ci dice, in estrema sintesi, che non possiamo cogliere la realtà non avendo con essa un rapporto diretto ma mediato: il nostro sapere è solo una rappresentazione della realtà. E infatti l’arte, quella autentica, è più reale della realtà perché dialoga col nostro inconscio (nel teatro l’apertura del sipario rappresenta proprio l’accesso simbolico a questa nostra dimensione).

Questa cervellotica spiegazione è necessaria per comprendere che la realtà in sé, la Verità, è in partenza qualcosa di irraggiungibile. Ok. Dunque i fatti non esistono in quanto accadimenti oggettivi, ma sono interpretabili nella misura in cui sono narrati. Un filosofo, nonmiricordoquale, definiva l’uomo come “un point de vue sur la ville”: ciascuno osserva la realtà da una particolare angolazione, così che essa possa definirsi come la sommatoria di tutte le opinioni dei potenziali osservatori. Siccome sto indugiando nel più volte rimproveratomi difetto di dilungarmi, procedo all’utilizzo di metafore. Per nutrire la nostra consapevolezza ci serviamo del mondo dell’informazione, lo strumento principale che ci racconta il reale. I mass media, però, usano tecniche in stile “cavallo di Troia”: forniscono dei tasselli-informazioni che ci portano a ricostruire un puzzle-realtà deformata. L’abilitá nel disinformare sta proprio nel dare solo falsi indizi per indurre la gente a farsi un opinione sì personale, ma sbagliata perché basata su presupposti errati (ciò accade in quanto l’informazione, diventando essa stessa un Potere, collabora col re anziché denunciare la sua nudità. L’Iliade rappresenta appunto una metafora del sapere, che dovrebbe essere la sintesi che viene operata dal confronto di tesi diverse. Essa narra dello scontro tra due saperi, due mondi – Occidente ed Oriente (che la psicanalisi interpreta a sua volta come lo scontro/incontro tra i due emisferi cerebrali, l’“ingegnere” e il “poeta”). Tutti conosciamo però il finale: per 10 anni le due culture si confrontano, ma finirà con l’ingresso della simulazione nel reale, l’inganno di Ulisse. Nell’era digitale, come anticipato, la simulazione è diventata pane quotidiano, entrata com’e anche nella realtà del vissuto relativo ai rapporti interpersonali. Insomma, in quanto esseri dotati di consapevolezza, quale abilità mostriamo nell’utilizzo di tale strumento?

Arriviamo finalmente alla mosca che osserviamo sbattere di continuo contro il vetro, producendo quel fastidioso ronzio che pare un urlo, la denuncia dell’incapacitá di comprendere il motivo del mancato accesso a ciò che i suoi occhi indicano come reale ... già, perché essa non ha contezza dell’ostacolo. Per non fare la fine della mosca - dunque credere di avere consapevolezza, ostacolati invece nel relativo accesso da una barriera a noi invisibile - occorre dirigere le nostre superiori facoltà, il sapere, verso l’individuazione degli impedimenti. Esposta la teoria, come procedere con la pratica? Metafora da scuola guida a parte, stavolta non occorrono dritte filosofiche, psicanalisi o altre astrusità. Basta aver seguito uno dei tanti serial polizieschi o narranti indagini di qualsivoglia natura, giornalistiche, mediche ecc.: l’importante, per ricostruire pezzi di realtà, è farsi le giuste domande. Per saggiare la coerenza di una ricostruzione dei fatti occorre passarla al vaglio delle giuste domande. Magari non si giunge a ricostruire l’esatta realtà dei fatti ma almeno capiremo se ci raccontano stronzate, se siamo mosche capaci di individuare la presenza del vetro: le versioni fornite su terrorismo, immigrazione ecc., sono dunque attendibili? A tal fine potrebbe tornare utile rivolgersi a Holden, celebre personaggio letterario ... ma questa è un’altra storia: (ai pochi pazienti di seguire strade sì tortuose) ce la raccontiamo prossimamente.


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