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“Ci vuole un Albero” per infiammare rispetto e amore al verde
La Giornata Nazionale dell’Albero in tempo di Coronavirus – Le piante e il
loro distanziamento sociale
“Ci vuole un Albero” per infiammare rispetto e amore al verde
Quanti alberi abbattuti negli anni scorsi da raffiche rabbiose di vento, caduti
come birilli. Quanti alberi bruciati nella scorsa estate e in una domenica di
fuoco. Boati di canader sul lago ad aspirare acqua il 30 agosto: ventisette
eventi dolosi e simultanei nel Molise. Roghi a Santo Stefano di Campobasso,
Castropignano, Montelongo, Palata, Campomarino, Montecilfone. Attorno a
Guglionesi le fiamme si alzano e avanzano a tenaglia, lì dove frattanto è
incenerita la chiesa di S. Antonio Abate. Carbonizzati trenta ettari di macchia
mediterranea sui pendii di Casacalenda, quel lussureggiante polmone di verde
dirimpetto a Guardialfiera.
C’era una volta la Festa degli Alberi istituita nel 1898 dallo statista Guido
Baccelli il cui fascino s’andava dolorosamente smorzando. Nel 2013 il Ministero
dell’ambiente e tutela del territorio, la riesuma ed eleva a “Giornata Nazionale
dell’Albero” per “infiammare” devozione e amore alla natura e per dichiarare
guerra ai mutamenti climatici. Per coinvolgere vigorosamente cittadini, scuole,
ambientalisti a interessarsi del verde e della silvicoltura. La ricorrenza,
rimasta bloccata alla data del 21 novembre, è inghirlandata dal titolo di
“gloriosa cerimonia forestale” con un imput capace di creare la sana coscienza
naturalistica e l’urgenza di proiettarla a generazioni future, sempre più
esposte ad emergenze ambientali su scala planetaria.
In tempo del Coronavirus – perfido mostro ancora troppo duro a crepare - è
vietato ai ragazzi, alle scuole, agli ecologi di celebrare “in presenza” la
lunghissima vita degli alberi ed esaltare la loro saggezza, per scoprire e
magnificare il loro insegnamento. Ma parla il silenzio e l’esempio e la sapienza
degli alberi. Tacitamente ci spiegano il loro “distanziamento sociale”. Proprio
quello intimato adesso a più testardi esseri umani per le odierne emergenze
globali. Gli alberi ci chiariscono la maniera di praticare, meglio di noi,
questa spaziatura fisica e sottrarsi da disastri epidemici.
Anche nei nostri boschi notiamo che le coperture arboree rispettano, fra le
chiome, un misterioso e rispettoso spazio personale. Questa rivelazione
conosciuta come “timidezza della corona”, aiuta gli alberi a condividere le
risorse, a mantenersi in salute e a privilegiare le penetrazioni di luce,
essenziali alla fotosintesi clorofilliana. Si tratta d’una distanza sociale e
strategica attraverso la quale viene agevolato il germogliare di nuovi rami e il
rallentamento dei colpi sferrati dalle piante vicine. Consente inoltre la
fortificazione del troco e la protezione delle ”frasche fresche” pullulanti di
bellezze e ritenute gemme preziose della natura arborea.
E, intanto, sperimentiamo due pandemie. Una è il Covid-19, l’altra è la pandemia
climatica, quella serie di eventi estremi derivanti dall’aumento delle
temperature ed alle conseguenti bombe d’acqua, trombe d’aria e scioglimento di
ghiacciai. E’ terrificante!
“Ci vuole un albero”, perché è solo la saggezza dell’Albero a tutelare la mappa,
su cui è costruito l’universo. “Ci vuole un albero”, quello della splendida
canzone istillata di purezza mentale, scritta nel 1974 da Giovanni Rodari -
giornalista, scrittore, pedagogista - autore della “Grammatica della Fantasia e
delle “Parole per giocare”. E c’è voluta la delicatezza di Sergio Endrigo a dare
il suono perfetto alle parole, alla semplicità di un messaggio potente e ad una
metafora, purtroppo ancora inascoltata. Il 21 novembre - Giornata Mondiale
dell’Albero – occorre, perciò, stipulare un ideale Contratto Sociale tra l’uomo
di oggi e l’albero di sempre. Le piante, i boschi profondi ed ombrosi, vivono in
costante armonia fra loro, e anche con l’uomo che seguita però a profanare le
regole naturali per ignobili fluttuazioni speculative. Tutto viene dall’Albero
da cui prendiamo quanto ci è utile, ridandogli un delittuoso profluvio di scorie
e veleni che sconquassano l’equilibrio dell’ecosistema. E, per rintracciare
tutto questo senso bello e profondo, basta meditare i primi due versi della
Canzoncina che ha modellato l’infanzia di tanti ragazzi: “le cose di ogni giorno
raccontano segreti/ma a chi le sa guardare e ascoltare”!
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