Articolo
tratto dal
"Messaggero di Sant'Antonio"
(edizione italiana per l'estero) del febbraio 1999
Da
anni il professor Richard Juliani dedica il suo lavoro di ricerca alla
storia dell’emigrazione italiana negli Usa: un mosaico da
ricostruire; un modo per riscoprire la propria cultura.
Philadelphia
«Tutto iniziò nel 1914, quando stava per scoppiare la Prima Guerra
Mondiale. I miei nonni decisero di fare il grande passo e si
imbarcarono per l’America». Le parole scorrono lente nel racconto
del nipote di quell’iniziale nucleo italiano che, come tanti, scelse
di prendere la strada delle migrazioni oltreoceano. E il racconto
della sua vita, il professor Richard N. Juliani, lo distilla ancora
una volta nelle pagine di un libro, dedicato agli italiani
d’America. Lui, docente di Sociologia alla Villanova University in
Pennsylvania (fondata e diretta dai Gesuiti), e due volte presidente
dell’AIHA (American Italian Historical Association), di libri ne ha
già scritti diversi, e il soggetto erano sempre loro: gli italiani
d’America. Ora è uscito anche il suo ultimo lavoro, dedicato
all’emigrazione italiana dell’Ottocento a Philadelphia, a quella
prima carovana di connazionali che precedette il grande flusso di fine
secolo e inizio Novecento. Building Little Italy (Philadelphia’s
Italians Before Mass Migration), l’ultima fatica editoriale del
professore, fa seguito ai titoli The Italians in Philadelphia (1980)
e New Explorations in Italian American Studies (1994), che
hanno visto l’italoamericano alle prese con il movimento migratorio
italiano.
Uomo
di successo in campo professionale, Juliani non ha mai dimenticato le
sue origini dedicandosi allo studio antropologico dell’etnia
italiana con la passione di un neofita. «Mia madre nacque a Roma nel
1908 e la sua famiglia ha sempre abitato in Piazza di Spagna. Ancora
oggi esiste un negozio della sua famiglia nelle vicinanze di Piazza
del Popolo. Mio nonno invece era di Amatrice, e lui si considerava un
vero abruzzese (il paese è poi passato entro i confini dell’attuale
Lazio, ndr). Mio padre proveniva da Guglionesi pur essendo nato
a Petacciato, anch’esso una volta abruzzese (attualmente in Molise),
e la sua famiglia aveva la proprietà del palazzo ducale del paese,
nonché uno studio notarile. Mio padre, reduce dalla Grande Guerra,
decise di intraprendere la strada della migrazione nel 1922 e con sé
portò la sua professione di sarto. A Philadelphia incontrò mia madre
per poi sposarla e formare una nuova famiglia nella città di Camden,
nel New Jersey. Mio padre è morto da pochi anni mentre la mamma,
all’età di 90 anni, è ancora in buona salute: nessuno dei due ha
mai potuto rivedere l’Italia!».
La
storia della famiglia Juliani abbraccia un intero secolo di esperienza
migratoria e ripercorre i difficili momenti dell’isolazionismo
americano del primo dopoguerra. Risale a quell’epoca la necessità,
da parte degli italiani, di camuffare le proprie origini con la nuova
realtà americana. Siamo ai tempi di Sacco e Vanzetti, del
proibizionismo... tempi in cui essere italiani era davvero difficile,
ed essenziale era la conoscenza della lingua inglese. «I miei
genitori si adeguarono alle necessità, e noi figli crescemmo senza
conoscere, se non in qualche sfumatura, l’idioma delle nostre
origini. Quando crebbi e iniziai questa professione, sentii
l’esigenza di riprendermi la mia lingua e reiniziai a studiarla».
Una
riappropriazione, quella di Juliani, che molti italiani hanno dovuto
fare sulla propria pelle. «Sono pochi in Italia a conoscere la vera
natura della migrazione italiana negli Usa - dice Juliani. A
differenza degli emigranti di altre nazionalità, l’italiano non è
mai fuggito - con il cuore - dal suo Paese natale. Vecchi italiani che
vivono nelle metropoli americane, ancora oggi si portano dentro il
ricordo indelebile delle loro origini, l’amore per l’Italia...
"Noi dovemmo partire perché era l’unico mezzo per aiutare le
famiglie"... Sono queste le parole che ancora ripetono per
spiegare la loro nostalgia. I nipoti di questi emigrati hanno invece
due tipi di atteggiamento, diametralmente opposti. C’è chi ormai di
italiano porta solo il nome e non conosce più niente della storia
d’Italia, e chi invece si aggrappa con tutte le forze alla propria
origine, cercando segni e tracce della storia familiare in ogni
occasione; sono questi gli italiani che tornano in Italia per
ripercorrere il viaggio a ritroso... è quello che ho fatto anch’io
per riscoprire i luoghi dei miei nonni e per scoprire angoli
d’Italia fuori dalle comuni cartine turistiche. Al di là di questo,
però, c’è da rammaricarsi per come l’immagine dell’italoamericano
sia stata completamente falsata da numerose produzioni
cinematografiche. In esse la nostra etnia è stata stereotipata nei
soliti canoni della stupidità, della criminalità e della
buffoneria... e sono davvero pochi i prodotti che ci ritraggono come
siamo realmente: uomini integrati che hanno dato molto agli Stati
Uniti in campo umano e professionale».
Anche
il professor Juliani, approfittando degli inviti da parte di varie
università, è spesso in Italia per esplorare le terre dei propri
avi. E, al di là dei luoghi, quella che ritrova nei paesi d’origine
è una sensazione particolare. «È come trovare un amico sui banchi
dell’università e scoprire che è della stessa città, della stessa
famiglia. Ecco, noi italiani d’America siamo forse nella stessa
situazione. Con voi siamo fratelli, ma lo scopriamo sempre a un certo
punto della nostra vita. E quando troviamo i nostri fratelli in Italia
(cugini, prozii, altri parenti e compaesani) non riusciamo ad
esprimere tutta la nostra "sete" di conoscenza, frenati da
una lingua e da una cultura che ci impediscono di sciogliere i tanti
lacci che le diverse società ci hanno cucito addosso».
Padre
di due figli: Alessandra che vive a Los Angeles e Riccardo che insegna
nelle riserve indiane dell’Arizona, il professor Juliani sta già
lavorando a un nuovo volume, questa volta incentrato sulla storia di
Santa Maddalena de’ Pazzi, la prima chiesa italiana di Philadelphia.
Tra un libro e un altro, tra un anno accademico e l’altro, Juliani
continua il suo cammino verso l’Italia, dedicandosi alla lettura e
alla visione di film di registi italiani (Moretti, Tornatore, Scola
sono i suoi preferiti). «Il
mio lavoro mi ha portato a incontrare tantissimi italiani d’America.
E in molti esiste la consapevolezza di aver pagato a caro prezzo la
fetta di felicità conquistata in questa terra ospitale. Il prezzo
consiste nella perdita delle proprie origini. Senza lingua, senza
conoscenze storiche, senza folklore, senza legami parentali, è
davvero difficile sentirsi parte di un popolo. Ed è difficile anche
sentirsi parte integrante di una cultura che non è la nostra ma
mediata da quella anglosassone. Molti hanno davvero la sensazione di
aver perso tutto e vagano con una domanda fissa: chi siamo noi?»
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