IL
SILENZIO SINESTETICO
DELLA CREATIVITÀ
molisana
I
Bambara nel Sudan
Occidentale hanno un uso della
parola molto particolare. I membri della tribù
non parlano molto; non con
i loro simili, non
con gli stranieri. Sostengono la parola
come proprietà
più importante dell’umanità. Per tanto
bisogna strategicamente parlare quanto meno possibile
per poter non sbagliare. La parola nell'uomo è la sua
parte più vulnerabile e i Bambara la considerano come
la coda degli animali: la parte anatomica meno difesa, l’anello più
debole della catena organica. Se un animale viene catturato per la coda può più
fare nulla per liberarsi così, al pari, l'uomo può essere
preso e fatto cadere attraverso la parola. Il
silenzio interiore è meditazione, “precettore” del
pensiero che se rimane limpido non ha bisogno di
esternazioni o di essere posto in pericolo tramite la
parola. Per certi versi anche gli
Arabi
del Nord-Africa
considerano il silenzio una parte importante della loro
esistenza. Dicono di avere due anime; una rivolta verso
il mare e l'altra verso il deserto. Il mare porta verso
il progresso e la convivenza internazionale, la sabbia
porta a
chiudersi in se stesso facendo rifuggire dal vivere
sociale per un
mondo cristallizzato nel tempo. La solitudine del
deserto è meditazione, è preghiera, è filosofia,
elementi che inducono
ad essere schivi da ogni incontro con il mondo
esterno.
Anche
in occidente il culto del silenzio evoca la ricerca di
se. Era metafora del Santo di Pietralcina parlare della vera e giusta visionarietà come l’immagine
di un broccato. Qui
se si pensa al silenzio
come il rovescio della parola si tratta di comportarsi con il
silenzio come ci si comporta quando si rovescia un
broccato: il disegno da una parte è molto chiaro,
rigoroso, molto colorato. Girato, dall’altra parte,
presenta molti
fili intrecciati e complicati. E’ questa immagine che
traduce figurativamente il nostro concetto silenzioso di
trasmissione
sinestetica tra le arti.
Si tratta di un principio, di un atto creativo
che parte dalla poesia
intesa come il veicolo più immediato e tangente
al gesto comunicativo prossimo all’idioma originario,
adamitico, apparentato stretto con
linguaggio muto della pittura. E’ un cenno
del silenzio vicino alla verità degli archetipi e dei
moti nascosti, celati come la visiera sul volto del
cavaliere medievale, del crociato in terra santa o di quanto è contenuto negli effetti semiologici
e delle relative espressioni delle passioni il
cui inizio remoto si è assottigliato quasi all’
invisibilità, lungo il percorso che porta alla
contemporaneità. Porta a noi: qui e ora.
Dalle
poesie giovanili del Papa, alla ricerca della verità
del Leopardi, il Foscolo, Hesse, Tangore, Pavese,
Pasolini recitate dalla voce dell’attore Aldo Gioia,
all’ascolto silenzioso e interpretativo del pittore
emblematico Antonio Pettinicchi, alla traduzione
musicale dei
colori e delle forme dell’opera visiva da parte di
Franco Nesi e Giulio Costanzo partecipi con i Ketoniche e
Ivana De Luca alla composizione dei suoni e del
linguaggio econico che parte da una sensazione
primordiale, un Big-Beng e si espande nel cosmo per
rinascere in un ciclo esistenziale senza tempo dove la
vita è suono, presenza sonora che stabilisce
inconsapevolmente la forma, la funzione e il gesto
ripreso dagli artisti visivi e ritradotto in immagini
oculari. Giordano, Mastrangelo, Gentile Lorusso,
Mascia, Manes, Carafa, Pellegrini, Pietroniro, Macolino,
Mignogna, Verrilli, Borrelli, Marini, Faralli, Barone,
Peri, Frani, Janigro, Laurelli, Napoli, De Soccio,
e Lino Mastropaolo cui questa rappresentazione
continua si dedica. La sua tela bianca
suggerisce la scomparsa ma
grida la sua presenza ammonitrice sul riscatto
ereditario per la
promessa che tutti gli operatori delle arti in Molise,
avrebbero fatto sempre la cosa giusta per questa terra.
La cosa giusta è dare verità con le arti. E la danza
di T. Carano Lo Giudice e Peto dello studio di Renato Greco, chiude di la complessa macchina sinestetica
molisana, interpretando
la leggerezza antigravitazionale dei suoni aerei
dei fiati e l’euritmia terrestre
delle percussioni, una sorta di sospensione tra
volo aereo e sinuosità geo-serpentine.
Allora lo spettacolo ci dice che non ci sono più tempi per
compromessi e gli smarrimenti della nostra vera
identità, prima sannita poi molisana.
Antonio
Picariello
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